Una rivoluzione nel trattamento di dati personali da parte della magistratura inquirente
Il 2 marzo è stata pubblicata una sentenza della Corte di giustizia europea, che merita la massima attenzione da parte di tutti coloro che sono coinvolti nella acquisizione, trattamento e protezione di dati personali. Tanto per cominciare, è bene sottolineare come questa sentenza nasca dal fatto che, nell’ambito di una controversia della quali siano investiti i giudici degli Stati membri, essi possono interpellare la corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione.
La Corte quindi non risolve la controversa nazionale.
Spetterà al giudice nazionale risolvere la causa, conformemente alle decisioni della Corte. Di particolare importanza è il fatto che una decisione della corte vincola egualmente tutti gli altri giudici nazionali, di paesi europei, ai quali venga sottoposto un problema simile a quello trattato in questa sentenza.
Ciò premesso, vediamo i fatti.
Un cittadino estone è stato condannato per vari reati dal tribunale di primo grado estone, ad una pena detentiva di due anni. La decisione è stata confermata in appello. I verbali su quali si fonda la constatazione dei reati sono stati redatti sulla base dell’acquisizione di dati personali, generati nel quadro della fornitura di servizi di comunicazione elettronica. Il cittadino condannato ha proposto un ricorso in cassazione, che ha sollevato dei dubbi riguardo le modalità di acquisizione e trattamento di questi dati ed ha pertanto interpellato la corte europea.
La sentenza della corte, riunita in Grande Sezione, ha affermato che la direttiva sulla vita privata e comunicazioni elettroniche osta ad una normativa nazionale, che permetta l’accesso delle autorità pubbliche a dati relativi al traffico ed a dati relativi all’ubicazione, al fine di trarre precise conclusioni sulla vita privata di un interessato indagato, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati. Queste operazioni sono consentite soltanto nel contesto di procedure aventi per scopo la lotta contro le gravi forme di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, come ad esempio indagini afferenti ad attività terroristiche.
Per quanto riguarda la competenza conferita al pubblico ministero ad autorizzare l’accesso di una struttura a pubblica ai dati relativi al traffico ed ai dati relativi all’ubicazione di apparati di telecomunicazione, come smartphone, nel contesto di un’istruttoria penale, la Corte ricorda che spetta al diritto nazionale stabilire i presupposti per tali accessi.
La legittimità di tali accessi può essere consentita solo dopo controllo preventivo effettuato o da un giudice o da un’entità amministrativa indipendente; le decisioni di tali giudici o di tali entità possono intervenire a seguito di una richiesta motivata delle autorità suddette.
Perché l’autorità amministrativa sia indipendente, è necessario che tale autorità abbia la qualità di terzo, rispetto a quella che chiede l’accesso ai dati; questa affermazione fa sì che non possa essere la procura della Repubblica l’autorità autorizzata a effettuare tali accessi, in quanto parte in causa.
Inutile dire che una tale sentenza, che deve obbligatoriamente essere recepita in ogni paese europeo, in circostanze similari, può portare a una autentica rivoluzione nel mondo delle intercettazioni e geolocalizzazioni, che in Italia è oggi governato da decisioni autonome della procura della Repubblica, senza una verifica da parte di un soggetto terzo indipendente.
Sulla base di questo principio, un gran numero di attuali procedimenti penali in corso, ed anche di condanne penali, probabilmente dovrebbe essere sostanzialmente rivisto.
Raccomando a tutti i soggetti coinvolti nella protezione dei dati personali di leggere attentamente la sentenza allegata e trarne le appropriate conclusioni.
Allegato sentenza C746/18(pdf)
Adalberto Biasiotti
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