Robocall: le conoscete?
Gli esperti di comunicazione utilizzano la espressione che ho inserito nel titolo di questa notizia, “robocall”, anche se essa non è stata ancora definita formalmente in nessun documento. Il problema è che, indipendentemente dalla definizione, queste chiamate stanno diventando un vero incubo per molti utenti telefonici.
Fino a poco tempo fa, con questo nome si faceva riferimento a quelle chiamate che venivano gestite da un dispositivo automatizzato, che veniva contrassegnato da un acronimo specifico APVM- automated prerecorded Voice Message, vale a dire messaggio vocale preregistrato inviato in forma automatica.
Una prima citazione di queste attività fa riferimento al 2002, e venne utilizzata in maniera intensiva durante la campagna elettorale negli Stati Uniti. Successivamente questo termine fece riferimento a chiamate che non avevano funzioni promozionali, ma di utilità specifica, come ad esempio le chiamate dalle scuole alle famiglie, segnalando la mancanza presenza di un allievo, oppure, ancora più recentemente, l’utilizzo di questi messaggi su scala allargata, per comunicare ai soggetti coinvolti possibili emergenze.
Chi scrive utilizzò per la prima volta questo sistema, nell’ambito del Comune di Gallarate, per avvertire i cittadini, che si erano registrati nel sistema, della inagibilità di un sotto via, che spesso veniva allagato.
Nel 2011, la commissione per le comunicazioni del governo federale degli Stati Uniti affermò che l’espressione robotcall faceva riferimento a chiamate automatiche, specificamente di telemarketing.
È da notare il fatto che molte società di marketing utilizzano le chiamate automatizzate, che non sono seguite da alcun messaggio. L’obiettivo della chiamata è solo quello di verificare se, dall’altro lato della linea, qualcuno risponde. Se qualcuno risponde, il numero verrà successivamente inoltrato ai servizi di telemarketing presidiati da operatori.
Nel 2015, l’agenzia federale per le comunicazioni, sempre negli Stati Uniti, utilizzò l’espressione robotcall con riferimento alle chiamate che richiedono, per essere gestite, un consenso rilasciato dall’interessato chiamato. Dopo questo intervento, vennero organizzati numerosi convegni sul tema, mettendo a punto delle tecniche di blocco di queste chiamate. Occorre anche fare attenzione a che le chiamate che provengono da un numero non identificato, che in inglese vengono chiamate come ID spoofing, rappresentano un’attività diversa, rispetto alla chiamata fatta da un robot, che potrebbe anche lasciar vedere il numero chiamante, anche se poi, quando si richiama, il numero non è attivo.
La diffusione accelerata di questo tipo di chiamate ha fatto sì che negli Stati Uniti, e non solo, i tutori della protezione dei dati personali si attivassero per mettere sotto controllo questa attività, che risultava sempre più fastidiosa per gli utenti.
Resta inteso che le chiamate a sfondo fraudolento possono essere fatte sia da macchine, sia da persone. Certe volte le due funzioni si abbinano, perché la macchina pone certo numero di quesiti e, sulla base della risposta data dall’utente, può smistare l’utente su un operatore, che approfondisce il tema e sviluppa in maniera più efficiente ed efficace l’attività fraudolenta.
In Italia, ed anche in altri paesi, è noto che l’autorità Garante, affidandosi alla Fondazione Bordoni, ha creato un registro delle opposizioni, laddove un utente, che non desidera ricevere chiamate promozionali, neppure da una macchina, può registrarsi.
Purtroppo il registro non ha funzionato granché bene, perché le aziende di telemarketing hanno visto che in certi casi costa meno pagare una sanzione per violazione delle indicazioni del registro delle opposizioni, piuttosto che aggiornare costantemente i propri file del registro dell’opposizione, per evitare chiamate a utenti, che hanno voluto registrarsi.
La faccenda evidentemente diventa ancora complicata, quando l’ente che gestisce questi servizi si trova fuori dell’unione europea e diventa quindi piuttosto difficile riuscire a capire come sia possibile reprimere in modo efficace questa attività.
Ad oggi, l’associazione internazionale dei professionisti della privacy ha sollecitato, negli Stati Uniti, gli organismi di tutela a dare delle precise definizioni di queste attività, in modo che esse possano essere correttamente inquadrate e represse, se del caso.
In Italia, almeno per quanto a conoscenza dello scrivente, non esistono delle definizioni specifiche, che aiutino a inquadrare più correttamente queste attività, in modo che le eventuali sanzioni siano più chiaramente collegate a comportamenti non appropriati.
Adalberto Biasiotti
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