Riconoscimento facciale: ma davvero si può usare?
La tecnologia di riconoscimento facciale può verificare o identificare un soggetto, partendo dalla ripresa del suo volto. L’uso commerciale di tecnologie di riconoscimento facciale, con relativi problemi di accuratezza e tutela dei dati personali, si sta allargando a macchia d’olio, purtroppo in assenza di un quadro normativo di riferimento sufficientemente specifico. Per inquadrare correttamente il problema, faccio riferimento all’immagine che segue, che mette chiaramente in evidenza la differenza che vi è fra l’utilizzo a fini di verifica, e l’utilizzo a fini di identificazione.
L’utilizzo a fine di verifica viene utilizzato, ad esempio, per lo sblocco di un telefono cellulare: l’applicativo, inserito nel telefono cellulare, fa un confronto tra il volto che viene ripreso della telecamera ed un volto che era stato precedentemente memorizzato. Se vi è un ragionevole grado di coincidenza delle due immagini, il telefono si sblocca.
L’utilizzo al fine di identificazione è completamente diverso, perché la telecamera cattura un volto e successivamente avvia un processo di confronto di questo volto con una serie di volti memorizzati in un archivio centrale, per trovare una possibile corrispondenza, e quindi identificare il soggetto che è stato ripreso.
Cominciamo a vedere quali sono i problemi di accuratezza.
Non v’è dubbio che negli ultimi anni gli applicativi siano diventati sempre più intelligenti ed accurati, anche se ancora una volta viene messo in evidenza il fatto che la gran parte degli applicativi funziona decisamente meglio quando vengono ripresi dei volti eurasiatici, rispetto a volti camitici; parimenti, gli applicativi sono in grado di riconoscere con più accuratezza gli uomini, rispetto alle donne; infine, gli applicativi non funzionano granché bene inquadrando i volti di bambini e di persone anziane. Queste differenze creano spesso degli errori di identificazione, che possono avere conseguenze negative alquanto imbarazzanti, come ad esempio quando un cliente di un supermercato viene erroneamente riconosciuto come un taccheggiatore. Ancora oggi, gli esperti di software non hanno individuato le ragioni per cui questi applicativi si comportano in modo diverso; alcuni hanno attribuito questo funzionamento difettoso alla illuminazione del volto, altri a fattori legati ad un eventuale angolazione dell’inquadramento. Ciò non toglie che ad oggi bisogna ancora fare parecchia strada per garantire un livello omogeneo di riconoscimento di volti di varie tipologie di soggetti.
Parliamo adesso di protezione dati personali.
È inutile dire che gli esperti di protezione dei dati personali sono molto perplessi su un utilizzo allargato di questi applicativi, perché grazie ad essi un interessato non può rimanere anonimo in un ambiente pubblico, perché l’applicativo può riconoscerlo anche a sua insaputa e senza il suo consenso.
Anche diversi enti governativi si sono preoccupati di questo fatto, anche se talvolta potrebbe essere difficile dare un’informativa a tutta la popolazione, circa il fatto che un’amministrazione comunale abbia attivato applicativi di riconoscimento facciale, funzionanti sulle telecamere che tengono sotto controllo il territorio.
Ad oggi, purché l’interessato sia stato informato ed abbia dato il consenso, nulla osta all’utilizzo di impianti di riconoscimento facciale per il controllo accessi ad aree riservate, ma per ogni altra applicazione su larga scala i problemi da risolvere sono ancora numerosi.
Lo studio "GAo - Facial recognition technology" (PDF)
Adalberto Biasiotti
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