L’importanza del diritto all’oblio per la Corte di giustizia europea
La sentenza della corte di giustizia europea, numero 572 del 2016 ha creato un collegamento tra la convenzione universale dei diritti dell’uomo e le disposizioni legislative in tema di protezione dei dati personali.
Vediamo brevemente i termini di questa sentenza e il contesto nel quale è stata recentemente richiamata in causa.
La sentenza abbinava due distinti procedimenti, che fra loro avevano molti punti in comune.
I lettori certamente ricordano che, come principio generale, il titolare del trattamento deve conservare i dati personali per il tempo minimo necessario per le finalità, per le quali vennero raccolti. Possono comunque esservi delle eccezioni, determinate da leggi, diverse da paese a paese, come ad esempio il termine di 10 anni, previsto in Italia per i documenti di natura amministrativa.
Solo dopo questo periodo, infatti, è possibile cancellare questi dati.
In tutt’altro settore, i dati sanitari afferenti all’attività dei donatori di sangue devono essere conservati per trent’anni, per poter essere in grado, anche a grande distanza di tempo, di ricostruire scenari sanitari afferenti a donazioni di sangue.
I gestori di servizi di telecomunicazione hanno, in quasi tutti i paesi europei, ricevuto istruzioni per una conservazione per tempi piuttosto lunghi dei dati di traffico e di posizionamento delle apparecchiature cellulari. La ragione di queste disposizioni è facilmente comprensibile, ove si tengano a mente i numerosissimi casi in cui un’attenta analisi delle comunicazioni, svolte attraverso un telefono cellulare, nonché il tracciamento dei movimenti del cellulare stesso, hanno dato preziosissime indicazioni alle forze dell’ordine, per individuare i sospetti di reato. Ricordo ancora una volta che stiamo parlando di dati che non fanno riferimento al contenuto delle comunicazioni, ma solo, ad esempio, ai metadati, vale a dire gli orari delle chiamate, la durata, il numero chiamato e via dicendo.
La ragione per la quale in molti paesi si è ampliato in modo straordinario il periodo di conservazione di questi dati è stato giustificato dalla necessità di ricostruire eventi delittuosi di varia natura.
La corte di giustizia europea, nel suo pronunciamento, ha ritenuto che una durata eccessiva della conservazione dei dati potesse reclamare essere giustificata soltanto in casi specifici, come ad esempio per combattere il terrorismo o crimini particolarmente gravi. Questa lunga durata non è accettabile a fronte di altre situazioni, che presentino rischi inferiori per la società civile.
Ma non è finita.
In alcuni paesi è stata creata una differenziazione fra la durata di conservazione dei dati e la possibilità di accedere ad essi da parte delle forze dell’ordine o della magistratura inquirente. La corte di giustizia europea ha chiarito che non vi è alcuna differenza tra queste due attività e quindi la durata della conservazione e la possibilità di accesso da parte della magistratura inquirente sono due fattori strettamente collegati. Nonostante il diverso parere dell’avvocato generale, vale a dire il procuratore, la corte ha ritenuto che fosse opportuno introdurre ulteriori limiti alla possibilità di accesso ai dati da parte della magistratura inquirente, proprio perché l’accesso dovrebbe essere possibile solo a fronte di rischi legati ad eventi terroristici o gravi crimini.
La corte ha precisato che, in questo caso, occorre istituire un’autorità indipendente, ad esempio un giudice della magistratura giudicante, che possa esaminare la richiesta avanzata dalla magistratura inquirente o dalle forze dell’ordine e decidere se o meno concedere l’accesso.
Viene così introdotto un ulteriore elemento a garanzia di tutti cittadini europei, i cui dati relativi alle comunicazioni vengono conservati dai gestori.
Ho accennato in precedenza che questa pronunzia della corte di giustizia europea è stata recentemente richiamata in causa da un piccolo gestore telefonico, che non riteneva di dover spendere una somma assolutamente spropositata per la custodia dei dati relativi alle comunicazioni dei suoi clienti, senza che vi fosse una sufficiente motivazione.
La magistratura giudicante di un Land della Germania federale ha accolto questa osservazione, proprio sulla base della sentenza appena illustrata, concedendo al ricorrente di conservare i dati per un lungo periodo solo a fronte di specifiche richieste della magistratura inquirente o delle forze dell’ordine.
Appare evidente il ben diverso atteggiamento assunto dalla corte di giustizia europea, rispetto all’atteggiamento assunto dalla national security agency degli Stati Uniti. L’approccio americano è quello di catturare per lungo periodo tutti i dati di qualsiasi tipo, per avere la possibilità di poterli a posteriori esplorare attentamente per individuare indizi di possibili attività criminose.
L’approccio scelto dalla corte di giustizia europea invece conferma che sia possibile custodire i dati, ma solo a seguito di sospetti documentati, magari anche di natura generale, ma ribaltando del tutto il concetto che i sospetti possano essere giustificati dall’analisi dei dati conservati.
Come appare evidente, siamo davanti ad un’impostazione sostanzialmente diversa, che deve però essere in grado di essere mantenuta, a fronte di una crescente attività terroristica ed una sempre più pressante richiesta, da parte della società civile, di tenere sotto controllo i fenomeni terroristici, preferibilmente anticipandoli, invece che reagendo ad essi.
La sentenza (pdf)
Adalberto Biasiotti
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