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L’apparato GPS a bordo delle autovetture dei dipendenti: sì, ma…
L’utilizzo di un apparato GPS, in collegamento più o meno costante con una stazione centrale di monitoraggio, può rappresentare un validissimo elemento di ottimizzazione del servizio, che le autovetture svolgono. Ad esempio, ormai da molti anni le ambulanze convenzionate con il servizio 118 sono dotate di questo dispositivo, che permette alla centrale operativa di gestire con efficienza ed efficacia la movimentazione di questi mezzi di emergenza.
In altri casi, il dispositivo viene utilizzato dalle autovetture destinate ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria su reti di interesse pubblico, come reti idriche, elettriche, fognarie e simili. Il centro di coordinamento degli interventi ha così la possibilità di ottimizzare l’intervento di questi mezzi.
D’altro canto, appare evidente che bisogna anche contemplare il bilanciamento degli interessi, nell’utilizzo di questi dispositivi, che potrebbero mettere a disposizione del titolare dati estremamente invasivi, che non fanno solo riferimento agli spostamenti, ma anche ai tempi di sosta, alla velocità di spostamento e via dicendo. Questo è il motivo per cui la installazione di questi dispositivi a bordo degli automezzi aziendali è sottoposta alla approvazione dell’ispettorato territoriale del lavoro, che analizza attentamente le richieste e, nell’ottica del bilanciamento degli interessi, dà una autorizzazione, per solito accompagnata da numerosi vincoli e limitazioni.
![]() | Approfondimento della normativa ISO 11064 e altre norme per la progettazione delle sale di controllo, a cura di di Adalberto Biasiotti. |
Nella fattispecie afferente all’azienda, cui il garante ha applicato una significativa sanzione, è apparso chiaro che nell’utilizzo normale l’azienda catturava e gestiva dati assai più invasivi, rispetto a quelli minimi, previsti dall’autorizzazione dell’istituto territoriale del lavoro.
È in questo contesto che può essere assai utile per i nostri lettori leggere attentamente una sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo, che proprio fa riferimento alla necessità di bilanciare gli interessi del titolare del trattamento e dell’interessato al trattamento, che nella fattispecie era un promotore commerciale.
Ecco i fatti.
Nel 1994 il ricorrente viene assunto come promotore farmaceutico presso un’azienda specializzata. Nel 2002 l’azienda attivò una procedura per gestire le richieste di rimborsi dei costi associati agli spostamenti dell’autoveicolo, affidato al proprio promotore.
Venne installata una applicazione, che era in grado di registrare le attività giornaliere, settimanali e mensili, le visite effettuate, le assenze, le spese ed una pianificazione delle prossime visite commerciali. Nel 2011 l’azienda installò un GPS nelle vetture aziendali, informando gli interessati coinvolti.
Poco dopo, un interessato coinvolto presentò un ricorso alla autorità garante nazionale, contestando l’attivazione del sistema di geo localizzazione e le modalità di trattamento dei dati raccolti. Nel 2014, l’autorità garante coinvolta ritenne che l’azienda non avesse violato alcuna disposizione; l’azienda successivamente licenziò il dipendente, perché dall’esame dei dati non risultava che egli avesse rispettato gli impegni previsti dal contratto di lavoro. L’interessato contestò il licenziamento l’intero caso venne sottoposto all’attenzione della corte europea per i diritti umani.
Il fatto che il dispositivo fosse attivo ventiquattr’ore su 24 e non potesse essere disattivato evidentemente consentiva all’azienda di acquisire dati anche afferenti alle attività svolte dall’interessato fuori degli orari di lavoro, con possibile violazione del suo diritto alla protezione della sua vita privata.
La corte ha innanzitutto accertato che l’interessato coinvolto era stato compiutamente informato della installazione e delle funzionalità del dispositivo, firmando un documento di accettazione. Questo documento inoltre metteva in evidenza che i dati catturati dal sistema di geo localizzazione avrebbero potuto essere utilizzati dall’azienda, a supporto di contestazione di possibili comportamenti anomali da parte dell’interessato.
Nel corso del giudizio, il titolare del trattamento fece presente che, anche se venivano acquisiti molti dati, in realtà gli unici dati significativi per il titolare del trattamento facevano riferimento ad un chilometraggio eccessivo, che veniva addebitato all’azienda da parte del dipendente, rispetto al chilometraggio effettivo.
A questo punto, la corte europea ha ritenuto che non vi fosse alcuna specifica intrusione nella vita privata del dipendente, in quanto l’unico argomento di contestazione riguardava un fatto oggettivo, che nulla aveva a che fare con l’intrusione nella vita privata del dipendente stesso.
Al proposito, tuttavia, chi scrive fa presente che il giudizio finale della corte non è stato unanime, ma è stato emesso con quattro voti di approvazioni e tre contrari. Ciò significa che l’argomento potrebbe essere in futuro oggetto di ulteriori esami e forse potrebbe portare a diverso giudizio.
Nel frattempo, raccomandiamo caldamente i lettori di leggere la sentenza della corte europea, soprattutto perché siamo parlando di diritti umani, vale a dire un tema assai più ampio rispetto alla protezione vera e propria di dati personali.
Vedi allegato (pdf)
Adalberto Biasiotti
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Pubblica un commento
| Rispondi Autore: Natale Mozzanica | 26/03/2025 (08:51:31) |
| Il mezzo è tuo, il dipendente è pagato da te, fa i cavolacci suoi e non fa il suo dovere e tu non hai il diritto di chiederne conto. Bella giustizia, chi froda ha sempre ragione grazie alla privacy. | |
