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RSPP interno obbligatorio anche nelle attività commerciali?

RSPP interno obbligatorio anche nelle attività commerciali?
Emilio Del Bono

Autore: Emilio Del Bono

Categoria: Normativa

14/03/2013

Il contrasto tra dottrina e giurisprudenza: industriale deve ritenersi qualsiasi azienda imprenditoriale che abbia ad oggetto la produzione di beni o servizi? Di Emilio Del Bono.

 
Brescia, 14 Mar - L’art. 31 del D.Lgs. n. 81/2008 al comma 6 prevede la obbligatorietà di un servizio di prevenzione e protezione interno e quindi di un RSPP interno “nelle aziende industriali sopra i 200 lavoratori”.
 
Ci si è posti il problema di come si debba interpretare la definizione di “impresa industriale” e se tale misura numerica riferita ai lavoratori si debba applicare solo ad alcune imprese e non ad altre (agricole, commerciali, di servizi…).
 
La risposta della dottrina e della giurisprudenza non appare, a un approfondimento, univoca.
 
Infatti nelle definizioni classiche di economia aziendale l’impresa industriale è intesa come “un’azienda di produzione diretta che attua la trasformazione fisico tecnica di materie prime o semi lavorate in prodotti finiti, attraverso due tipi fondamentali di processi: la produzione in senso stretto, il montaggio o assemblaggio”
 
E sempre in dottrina troviamo definizioni del tipo: “per Lavorazione industriale o artigianale”: si intende qualsiasi attività di produzione di beni, anche condotta all'interno di un'unità locale avente carattere prevalentemente commerciale o di Servizio, purché tale lavorazione sia identificabile in modo autonomo e non sia finalizzata esclusivamente allo svolgimento dell'attività commerciale o di servizio”.
 
Tale lettura della dottrina sembra essere confortata da alcune disposizioni di legge tra le quali quelle richiamate dallalegge n. 49 del 1989 che all’articolo 49 disciplina la classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali ed assistenziali indicando i seguenti criteri:.
 
a) settore industria, per le attività: manifatturiere, estrattive, impiantistiche; di produzione e distribuzione dell'energia, gas ed acqua; dell'edilizia; dei trasporti e comunicazioni; della pesca; dello spettacolo; nonché per le relative attività ausiliarie;
 
b) settore artigianato, per le attività di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443;
 
c) settore agricoltura, per le attività di cui all'art. 2135 del codice civile ed all'art. 1 della legge 20 novembre 1986, n. 778;
 
d) settore terziario, per le attività: commerciali, ivi comprese quelle turistiche; di produzione, intermediazione e prestazione dei servizi anche finanziari; per le attività professionali ed artistiche; nonché per le relative attività ausiliarie;
 
e) credito, assicurazione e tributi, per le attività: bancarie e di credito; assicurative; esattoriale, relativamente ai servizi tributari appaltati.
 
O ancora, sembra confortare questa interpretazione la Circolare del Ministero del Lavoro n. 89 del 27 giugno del 1996 (“con l’aggettivo industriale si è voluto escludere le aziende agricole e si è voluto fare riferimento esclusivo a tutte le attività dirette alla produzione di beni materiali”, escludendo così “le attività dirette alla produzione di servizi (amministrative, finanziarie, turistiche, di distribuzione, commerciale, spettacolo, pulizia ecc.)”.

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L’orientamento giurisprudenziale prevalente dalla metà degli anni 90 non va tuttavia verso questa lettura univoca se si ragiona della materia della sicurezza sul lavoro, come ha annotato anche il dott. Raffaele Guariniello, Procuratore capo a Torino.
 
Infatti la Cassazione penale, sez Unite nella sentenza n. 9616 del 14 settembre 1995 ha così sancito: “Secondo le nozioni della scienza economica e quelle giuridico privatistiche (art. 2915 c.c.), le attività industriali e quelle commerciali sono dirette rispettivamente alla produzione e allo scambio di beni e servizi. Con il termine “servizi” in economia si intendono tutte quelle utilità che non rientrano nella categoria dei beni materiali ma concorrono a soddisfare i bisogni dell’uomo”. Tuttavia una azienda che produce beni o servizi “può svolgere una attività industriale o una terziaria ma è sempre una azienda industriale”.
 
Vale a questo riguardo richiamare la sentenza n. 21987 del 19 maggio 2003 della Cassazione, sez. III: “ai sensi dell’art. 2195 comma 1 c.c., industriale deve ritenersi qualsiasi azienda imprenditoriale che abbia ad oggetto la produzione di beni o servizi”. Infatti il codice civile nell’esplicitare l’obbligo di iscrizione nel Registro delle imprese fa riferimento agli imprenditori che “esercitano una attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi”.
 
La Cassazione, richiamando l’art. 2195 del Codice civile, tende quindi a non distinguere tra impresa industriale ed impresa di servizi. Ciò sembra quindi spingere ad una lettura estensiva dell’art. 31 comma 6 del D.Lgs. n. 81/2008, ovvero che è obbligatorio avere un RSPP interno anche per le imprese commerciali, in quanto “industriali” in senso esteso.
 
Con tutta evidenza è quindi difficile dare una indicazione netta ed esaustiva giacché entrambe le letture (dottrina e legislatore assicurativo da una parte e giurisprudenza dall’altra) sono confortate da valide argomentazioni, anche se la lettura giurisprudenziale pare assai più estensiva e in apparente contraddizione con quanto la legislazione speciale è andata producendo di altro e di oltre al codice civile.
 
Non risultano, inoltre a riguardo, indicazioni precise ed univoche da parte degli organi di controllo come le ASL.
 
Sarebbe quindi opportuno o un pronunciamento del legislatore o in subordine una interpretazione da parte della Commissione permanente per la salute e sicurezza sul lavoro presso il Ministero del lavoro, investita dal legislatore del D.Lgs. n. 81/2008 (art. 6), proprio del ruolo di soggetto che può dirimere letture controverse per portare unità ed armonia nel corpo normativo.
 
Emilio Del Bono




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Pubblica un commento

Rispondi Autore: Frank Vella - likes: 0
14/03/2013 (07:52:41)
E' giunta l'ora di definire meglio la figura del RSPP interno, in particolare per il compenso economico. Risulta facile incaricare le persone per rispetto della norma, ma norma deve pure definire un adeguato onorario. Sperando in un fututo migliore per gli RSPP interni delle aziende (pubbliche o privae) saluto.
Rispondi Autore: Riccardo Pirola - likes: 0
14/03/2013 (08:33:43)
La differenza di tipologia, quantità e entità dei rischi in una fabbrica (insediamento produttivo) o in una impresa di solo deposito e commercio di prodotti finiti realizzati e imballati altrove è oggettivamente abissale: non ritengo logica una estensione interpretativa così appiattente di differenze sostanziali di fatto concretamente eistenti
Rispondi Autore: Giorgio Carozzi - likes: 0
14/03/2013 (11:00:25)
Una precisazione importante: INTERNO non vuol dire DIPENDENTE e chi fa questa confusione (in verità voluta da certi ambienti burocratici e/o sindacali) sbaglia sotto diversi profili.
La tipologia di rapporto contrattuale tra RSPP e Azienda è esclusa dalle previsioni del D.Lgs 81/08, e di sicuro non è elemento determinante ai fini della valutazione.
Questione questa che abbiamo evidenziato da sempre in ambito AIAS, producendo anche articoli e documenti pubblici, mai smentiti da nessuno (e non sarebbe possibile: gli argomenti sono inoppugnabili)
Certo, INTERNO significa costituire un rapporto stretto ed operativamente funzionale, di maggior impegno per l'RSPP rispetto alla "naturale" e normale funzione di "consulente" che comunque non viene stravolta nè modificata. Come le parti regolano tale tipologia di rapporto è cosa che rientra nella loro autonomia contrattuale, e non può essere limitata.
Ovviamente, in sede di verifica, si dovrà valutare l'efficacia e congruità della soluzione adottata, partendo tuttavia dal punto fermo che la posizione di "dipendente" anche a tempo pieno non significa affatto aver ottemperato alla norma ai fini della Sicurezza e Salute sul Lavoro, laddove un contratto professionale (o un distacco, o altre soluzioni equivalenti) se sono rispettate le condizioni minime di efficace gestione del Servizio di P&PR può rappresentare in molti casi la soluzione ottimale.
Rispondi Autore: Mario ingegnere - likes: 0
14/03/2013 (11:22:22)
...condivido Carozzi... interno non vuol dire RSPP con contratto di lavoro dipendente....
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 0
14/03/2013 (11:35:08)
Ma davvero c'è ancora qualcuno che crede che il problema sia la tipologia di rapporto di lavoro?
Non perdiamoci in analisi giuridiche stucchevoli che in concreto non portano da nessua parte.

Un'azienda commerciale seria, prenderà sul serio il problema sicurezza e si organizzerà di conseguenza.

Un'azienda commerciale non seria, non prenderà sul serio il problema sicurezza e non farà nulla al riguardo.

Il fatto che il RSPP sia o meno un dipendente, non cambierà di una virgola lo stato delle cose.

Conosco molte aziende "commerciali" di grandissime dimensioni dove il problema sicurezza è visto come qualcosa di totalmente estraneo al proprio business con il RSPP dipendente che è visto come un alieno.

Conosco molte aziende "commerciali" di piccole dimensioni dove il problema sicurezza è visto come qualcosa di integrato al proprio business con il RSPP consulente esterno visto come un supporto indispensabile per l'attività.

Sono i valori ed i principi condivisi in un'azienda che fanno la diferenza.
Rispondi Autore: Giorgio Carozzi - likes: 0
14/03/2013 (12:25:58)
Ebbene sì, caro Catanoso, purtroppo sì, magari fosse solo qualcuno che crede che il problema sia la tipologia di rapporto di lavoro!
Con la mia professione di legale specializzato nella materia potrei mettere insieme uno stupidario di dimensioni sorprendenti, e le questioni sulla tipologia del rapporto di lavoro sono più frequenti di quanto non si immagini (e parlo di contenziosi anche recenti, sollevati da funzionari ASL o da RLS aziendali).
C'è ancora molto da fare prima che si formi una accettabile cultura della sicurezza, vissuta come "valore aggiunto" e come investimento produttivo, e siamo perfettamente d'accordo sul fatto che sono i valori ed i principi condivisi in un'azienda che fanno la diferenza: ma vallo a dire a certa gente ...
Rispondi Autore: cippa lippa - likes: 0
14/03/2013 (14:43:35)
...ci mancava pure questa, dal sublime al ridicolo il passo è breve...
Rispondi Autore: Pietro Caridi - likes: 0
14/03/2013 (19:44:45)
Per rispondere a Giorgio Carozzi
Secondo me la differenza sostanziale tra RSPP esterno ed interno non sta tanto nel tipo di rapporto contrattuale che si instaura ma quanto alla tutela assicurativa del RSPP ossia, se sei interno e quindi dipendente a tutti gli effetti sei tutelato sia dal punto di vista penale sia civile, se non sei dipendente di quella azienda oppure se hai un contratto chiamiamolo atipico, non hai tutele assicurative, e quindi in caso tu venga chiamato a rispondere in sede di giudizio dovrai pagarti personalmente l'avvocato penalista piuttosto che l'avvocato civilista.
Rispondi Autore: Filippo Pataoner - likes: 0
15/03/2013 (07:31:31)
L'articolo 31, comma 7, del decreto legislativo 81/08 stabilisce che nelle ipotesi di attività indicate nel comma 6 (tra le quali le aziende a rischio rilevante),  il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) deve essere interno.
Come anticipato, l’interpretazione del c. 7 dell’art. 31 TUS  non è univoca e non ci risulta ci sia giurisprudenza sul punto.
Il Ministero del Lavoro, in risposta ad un quesito del 30.3.2010, ha individuato due possibili interpretazioni:
“è possibile ipotizzare che il legislatore abbia inteso riferirsi al fatto che i componenti del servizio di prevenzione e protezione, compreso il RSPP, devono far parte obbligatoriamente dell'organico interno all'azienda (a prescindere dalla tipologia del contratto di lavoro, e, quindi, ad esempio, anche con forme di collaborazione a progetto) ovvero essere necessariamente legati al datore di lavoro da un vincolo di subordinazione continuativa”.
optando quindi per la prima delle due:
“Un’interpretazione logica e non meramente formale della norma in esame porta a propendere per la prima soluzione, atteso che il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 non si riferisce in maniera esplicita ai dipendenti dell’azienda”.
Tale interpretazione sembra essere condivisa anche dall’INPS (nel sito del quale viene pubblicato un articolo di commento alla FAQ sopra indicata, all. 2) e dall’assessorato alla tutela della salute sanitaria della Regione Piemonte che ha pubblicato un documento “quesiti sulla sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Secondo queste interpretazioni, la ratio della norma sarebbe sostanzialmente quella di individuare, per particolari tipologie di aziende, un soggetto in grado di fornire internamente la dovuta assistenza, garantendo, indipendentemente dalla tipologia del contratto di lavoro, la propria presenza costante in azienda, la dipendenza funzionale dal datore di lavoro, l’ efficacia di ruolo, la possibilità di essere velocemente raggiunto e di garantire una rapida presenza in caso di necessità impreviste, la disponibilità di efficaci canali di comunicazione secondo necessità.
In senso contrario  con la suddetta interpretazione ricordiamo l’opinione espressa da Confindustria Varese, la quale ha fornito risposta negativa in merito alla possibilità di “legare alla società, con un contratto a progetto, un RSPP esterno, quando  la legge stabilisce l'obbligatorietà del Rspp interno”:
“L'articolo 31, comma 7, del decreto legislativo 81/08 stabilisce che nelle ipotesi di attività indicate nel comma 6, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) deve essere interno. 
Tale scelta fatta dal legislatore, in considerazione delle particolari attività di cui al comma 6, si ritiene sia avvenuta per garantire la costante presenza del Rspp sul posto di lavoro. 
Peraltro, gli stessi compiti individuati dall'articolo 33, correlato con il citato comma 6, non sembrano lasciare discrezionalità circa la scelta del rapporto di lavoro, atteso che il contratto a progetto, ai sensi dell'art. 61 e seguenti del decreto legislativo 276/03 si caratterizza per la determinatezza o la determinabilità della prestazione. Tali imprescindibili condizioni sembra che contrastino con il principio introdotto dal comma 7 dell'articolo 31 del decreto legislativo 81/08 che, prevedendo che il Rspp sia interno all'azienda, ne presuppone l'inserimento nell'organizzazione anche ai fini di una continua presenza”.
Concludendo, quindi, la interpretazione più accreditata è nel senso che l'elemento della "internità" dell'RSPP può prescindere dal rapporto di lavoro subordinato, potendo essere anche diversa la forma contrattuale adottata nel rapporto tra azienda ed RSPP, ma non può prescindere dai requisiti della presenza costante (che potrebbe essere anche part-time) in azienda, della dipendenza funzionale dal DL e dalla possibilità di essere velocemente raggiunto per garantire una rapida presenza in caso di necessità; il tutto nella logica di garantire i compiti attribuiti dalla legge (art 33 TUS) al Servizio di Prevenzione e Protezione. 

Saluti. FP
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
17/03/2013 (11:46:41)
La circolare 30 maggio 2008 della regione Lombardia Direzione Generale Sanità n. 21498 ritiene obbligatori che l'RSPP; laddove debba per legge essere interno, significa "designazione di un responsabile scelto tra i dipententi". Io ritengo invece più sensato un principio di effettività e interpreto interno come soggetot che, a prescindere dal rapporto di lavoro, sia sempre presente durante il normale orario di lavoro che avrebbe un rspp dipendente. La sicurezza avanza non con i formalismi burocratici, ma con la sostanza. Quando il legislatore ha voluto l'obbligo dell'Rspp interno lo ha fatto per garantire una presenza costante, non certo un determinato rapporto di lavoro. L'articolo 299 del d.lgs. n. 81 è il cardine del sistema di prevenzione, contano i poteri e i compiti effettivamente esercitati, e la stessa definizione di lavoratore è ora stata completamente svincolata dall'articolo 2 dal concetto di lavoro dipendente, perciò non si capisce a che titolo la regione Lombardia dia tanto rilievo ad un cocnetto ASSENTE dal D.Lgs. n. 81/2008 per quel che riguarda la prevenzione. Tra l'altro credo pure sia del tutto estraneo ai compiti e ai poteri della regione decidiere quali debbano essere le forme cotnrattuali dei rapporti che l'azienda debba instaurar eper rispettare la normativa di sicurezza sul lavoro.
Rispondi Autore: Mara Chilosi - likes: 0
18/03/2013 (10:57:34)
Gentile Carozzi,
puoi indicarci dove sono pubblicati questi documenti AIAS? Sul sito dell'Associazione io non li ho trovati. Grazie

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