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Orario di lavoro: l’Europa vuole cambiare
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La Commissione europea è pronta a cambiar le regole sull’orario di lavoro. Nei giorni scorsi è stata infatti approvata una proposta per aggiornare alcuni aspetti della direttiva sull’orario di lavoro (direttiva 2003/88).
Secondo il Commissario per l’occupazione e gli affari sociali, Stavros Dimas, “la proposta affronta i difetti dell’attuale sistema, emersi nel corso della sua attuazione.Si tratta di un insieme equilibrato di misure a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori che introduce maggior flessibilità e mantiene la competitività.”
La direttiva 2003/88/ce prevede che la durata media dell'orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non deve superare le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario [art. 6 della direttiva]. Il periodo di riferimento per tale calcolo (durata massima settimanale del lavoro) non deve essere superiore a 4 mesi.
La proposta prevede che gli Stati membri possano estendere da 4 a 12 mesi il periodo di riferimento normale per calcolare la durata media della settimana di lavoro di 48 ore, purché consultino le parti sociali. Ciò, nelle intenzioni della Commissione, “conferirà alle aziende maggior flessibilità e capacità di adattarsi alle esigenze dell’impresa.”
La proposta inoltre prevede che gli Stati membri possano introdurre provvedimenti nazionali che consentano di non applicare a casi individuali il limite di 48 ore settimanali. Le condizioni che devono essere rispettate in caso di accordo tra datore di lavoro e dipendente sono più esplicite. Il datore di lavoro, ad esempio, non potrà ottenere tale consenso all’atto della firma del contratto di occupazione e il dipendente potrà ritirare il suo consenso in qualsiasi momento. La facoltà di non applicare a casi individuali del limite di 48 ore settimanale sarà contemplata dal contratto collettivo o garantita da accordi tra parti sociali di un settore o di un luogo di lavoro. “Una persona singola può convenire direttamente con il suo datore di lavoro di non applicare il limite delle 48 ore se, per legge o per tradizione, la contrattazione collettiva non può essere usata per negoziare accordi sull’orario di lavoro. È il caso che ricorre laddove non sia in vigore alcun contratto collettivo e non esista rappresentanza del personale a livello aziendale autorizzata a concludere siffatti accordi."
La direttiva 2003/88/Ce prevede che gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici: nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive; per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero.
In caso di deroga, devono essere concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo.
La proposta di modifica alla direttiva prevede che il riposo compensativo sia effettuato entro 72 ore.
La proposta eleva inoltre a nuova categoria del periodo di “permanenza a disposizione” la parte “inattiva” di tale periodo: è il tempo che il lavoratore, pur disponibile sul luogo di lavoro, non esercita funzioni. Tale periodo non sarà contato come orario di lavoro, a meno che la legge nazionale o il contratto collettivo non stabilisca altrimenti.
La Commissione europea è pronta a cambiar le regole sull’orario di lavoro. Nei giorni scorsi è stata infatti approvata una proposta per aggiornare alcuni aspetti della direttiva sull’orario di lavoro (direttiva 2003/88).
Secondo il Commissario per l’occupazione e gli affari sociali, Stavros Dimas, “la proposta affronta i difetti dell’attuale sistema, emersi nel corso della sua attuazione.Si tratta di un insieme equilibrato di misure a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori che introduce maggior flessibilità e mantiene la competitività.”
La direttiva 2003/88/ce prevede che la durata media dell'orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non deve superare le 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario [art. 6 della direttiva]. Il periodo di riferimento per tale calcolo (durata massima settimanale del lavoro) non deve essere superiore a 4 mesi.
La proposta prevede che gli Stati membri possano estendere da 4 a 12 mesi il periodo di riferimento normale per calcolare la durata media della settimana di lavoro di 48 ore, purché consultino le parti sociali. Ciò, nelle intenzioni della Commissione, “conferirà alle aziende maggior flessibilità e capacità di adattarsi alle esigenze dell’impresa.”
La proposta inoltre prevede che gli Stati membri possano introdurre provvedimenti nazionali che consentano di non applicare a casi individuali il limite di 48 ore settimanali. Le condizioni che devono essere rispettate in caso di accordo tra datore di lavoro e dipendente sono più esplicite. Il datore di lavoro, ad esempio, non potrà ottenere tale consenso all’atto della firma del contratto di occupazione e il dipendente potrà ritirare il suo consenso in qualsiasi momento. La facoltà di non applicare a casi individuali del limite di 48 ore settimanale sarà contemplata dal contratto collettivo o garantita da accordi tra parti sociali di un settore o di un luogo di lavoro. “Una persona singola può convenire direttamente con il suo datore di lavoro di non applicare il limite delle 48 ore se, per legge o per tradizione, la contrattazione collettiva non può essere usata per negoziare accordi sull’orario di lavoro. È il caso che ricorre laddove non sia in vigore alcun contratto collettivo e non esista rappresentanza del personale a livello aziendale autorizzata a concludere siffatti accordi."
La direttiva 2003/88/Ce prevede che gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici: nel corso di ogni periodo di 24 ore, di un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive; per ogni periodo di 7 giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero.
In caso di deroga, devono essere concessi ai lavoratori interessati equivalenti periodi di riposo compensativo.
La proposta di modifica alla direttiva prevede che il riposo compensativo sia effettuato entro 72 ore.
La proposta eleva inoltre a nuova categoria del periodo di “permanenza a disposizione” la parte “inattiva” di tale periodo: è il tempo che il lavoratore, pur disponibile sul luogo di lavoro, non esercita funzioni. Tale periodo non sarà contato come orario di lavoro, a meno che la legge nazionale o il contratto collettivo non stabilisca altrimenti.
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