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Per cambiare la cultura della sicurezza il management deve fare la sua parte

Per cambiare la cultura della sicurezza il management deve fare la sua parte

Autore: Riccardo Borghetto

Categoria: Leadership

16/06/2022

La cultura della sicurezza è quello che i lavoratori e loro capi fanno, ovvero come si comportano. Se si vuole cambiare i comportamenti e migliorare la cultura della sicurezza, bisogna lavorare molto bene anche sulla parte alta dell’azienda.

Come ricordato anche nei documenti dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA), è necessario lavorare insieme per la prevenzione dei rischi. La sicurezza deve essere un progetto condiviso e portato avanti da tutti gli attori aziendali, a partire dalla parte alta dell’azienda, del management, del datore di lavoro.

Il problema è che in qualche caso, non in tutti, questo non accade e alla base degli infortuni più o meno gravi ci sono anche problematiche connesse a carenze del management, all’attenzione eccessiva per la produttività e alla mancanza di misure organizzative efficaci.

 

A parlarne è l’Ing. Riccardo Borghetto, consulente HSE ed esperto di Behavior Based Safety (BBS), nel contributo “Per cambiare la cultura della sicurezza il management deve fare la sua parte”.


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Per cambiare la cultura della sicurezza il management deve fare la sua parte

 

Non è possibile cambiare la cultura della sicurezza di tutti i collaboratori mandandoli a qualche corso che parla della cultura della sicurezza o ricorrendo a qualche iniziativa estemporanea.

 

La cultura della sicurezza in definitiva è quello che i lavoratori e capi fanno, ovvero come si comportano. È la somma dei loro singoli comportamenti motori (azioni muscolari) e verbali (quello che dicono). Quindi cambiare la cultura, cambiare il pensiero, cambiare il modo con cui si lavora ha a che fare con il comportamento umano.

 

Sappiamo dalla scienza del comportamento umano, behavioral science, che il comportamento umano si modifica con le conseguenze immediate e quindi ha molto a che fare con le relazioni umane, il loro numero, la loro qualità e l’organizzazione del lavoro.

 

Faccio un esempio concreto per farmi capire meglio.

 

Una grande azienda su cui stiamo implementando un protocollo Behavior Based Safety (B-BS), ha tutti i documenti a posto, ha tutte le certificazioni di sistema di gestione e modello 231. Insomma, a prima vista, sembra a posto. E tutti gli audit che si sono succeduti hanno confermato questa visione.

 

Faccio un giro e in molte occasioni vedo che i carrellisti corrono molto, troppo.

 

Non ci vuole molto a scoprire il perché. Se c’è un comportamento ad alta frequenza come “correre veloci”, vuol dire che quel comportamento è rinforzato in modo immediato e certo. E parlando con i carrellisti la cosa è ovvia. Ci sono tanti pallet da muovere, rispetto al numero di carrellisti che operano.

 

Se vengono rispettate le “regole” che sono state insegnate ai corsi (e che sono ben note a tutti), in una situazione del genere si accumulano ritardi che fanno scattare minacce da parte dei responsabili.

 

Si corre veloci per evitare seccature con i capi. Si tratta di rinforzo negativo (R-), ovvero una conseguenza comportamentale in cui il comportamento aumenta per evitare una conseguenza nefasta.

 

Per ridurre la velocità, non serve a nulla scrivere nuove procedere, spiegarle ai carrellisti, mandare gli stessi ad altre sessioni formative. Non è utile organizzare una sessione di leadership o teatro della sicurezza o chiamare un invalido del lavoro nel Safety day per sensibilizzare tutti sul tema: se il numero di carrellisti continua ad essere limitato rispetto al lavoro da svolgere, continueranno a correre per garantire la produttività che l’azienda chiede ed evitare contestazioni.

 

La misura più efficace in questo caso è organizzativa: assumere qualche carrellista in più e ripartire il carico di lavoro in modo che, andando a velocità sicura, si riesca a garantire la produttività che l’azienda chiede.

 

Qualche anno fa ho seguito una grande falegnameria che ha avuto un infortunio mortale. Un lavoratore è intervenuto per sistemare un robot che si era inceppato. Ha introdotto una chiave bypass per entrare nella porta di accesso, ha sbloccato il robot che poi si è mosso e l’ha ammazzato. È una dinamica standard molto frequente.

 

Ma rimaniamo sull’aspetto della cultura della sicurezza. Perché un lavoratore ha agito in quel modo?

 

Non ha accettato di fermare la produzione per sistemare il robot. Ha voluto farlo in corsa. Per quale motivo? Beh, le motivazioni sono praticamente identiche al caso precedente. Il management era fortissimamente concentrato sulla produttività. Lavorando per grossi brand internazionali che vendono prodotti a basso costo, era importante produrre decina di migliaia di pezzi al giorno e questo messaggio veniva trasmesso in tutti i modi da tutti gli operatori. Fermare la produzione da parte di un lavoratore era probabilmente considerata una cosa da non fare mai, a tutti i costi, un tabù.

 

Difficile trovare qualcosa di scritto su questo punto. Il comportamento si controlla con le conseguenze.  In questo caso rinforzo negativo (R-) e punizioni (P+).

 

Tant’è che il lavoratore aveva a disposizione una chiavetta bypass. D’accordo che si può comperare sul web per meno di un euro, ma per quale motivo avrebbe dovuto acquistarla? Probabilmente era prassi l’utilizzo di tali chiavette in determinati momenti.

 

Anche in questo caso, se si vuole cambiare il comportamento dei lavoratori e la cultura della sicurezza, bisogna lavorare molto bene sulla parte alta dell’azienda, e sul processo. Bisogna fare in modo che non sia necessario fermarlo. E se raramente è necessario fermarlo, deve partire un messaggio dall’alto molto chiaro, che si può fermare una linea per il tempo necessario a risolvere il problema, che non è affatto un problema, anzi. La cosa che conta è che nessun lavoratore si esponga a rischi. Invece deve essere molto chiaro che l’azienda non tollera i bypass alle macchine, vigilando in modo opportuno su questo punto e sanzionando in modo esemplare le violazioni.

 

Il bypass delle protezioni alle macchine è una delle cause di infortunio grave tipico. E’ ben descritto dal video del Suva “ un Venerdi nero” ed è anche la causa della morte di Luana, stritolata nell’orditoio modificato per farlo funzionare senza protezioni e di moltissimi altri eventi.

 

È uno dei punti critici della sicurezza su cui l’alta direzione è chiamata a intervenire operativamente con indicazioni chiare a tutta la linea gerarchica. Qualche volta può capitare che l’alta direzione non accetti la manomissione temporanea o permanente delle macchine, ma che qualche manager di livello intermedio, valutato per la sua produttività, non capisca il messaggio, e dia direttive opposte e crei il problema.

 

Per quanto motivo è importante la vigilanza gerarchica, cioè del Datore di lavoro sui dirigenti (se presenti), e di questi sui preposti, oltre alla vigilanza dei preposti sui lavoratori, come ridefinita dal nuovo articolo 19.

 

Per la mia esperienza, le aziende non hanno ancora messo in campo un sistema di vigilanza gerarchica efficace: si sono focalizzate solo sulla vigilanza dei preposti, che è solo un anello della catena.

 

Il divieto di Bypass delle macchine è inserito all’interno delle Life Saving Rules (le regole salvavita più importanti). La vigilanza sui dispositivi di sicurezza è un obbligo che se non assolto può portare alla sospensione dell’attività imprenditoriale in base all’art. 14 e allegato 1 punto 12 del D.lgs. 81/08 recentemente modificato.

 

 

Ing. Riccardo Borghetto

Consulente HSE e BBS per grandi organizzazioni

 


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