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Cassazione Sezione IV Penale - Sentenza n. 6694 del 18 febbraio 2010 - Pres. Rizzo – Est. Foti – P.M. Gialanella - Ric. D. P.
Commento a cura di G. Porreca (www.porreca.it)
E’ importante tale sentenza perché individua e suggerisce i termini di applicazione temporanea delle disposizioni di cui all’art. 3 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, a quelle attività indicate nello stesso articolo per le quali il legislatore si è riservato di emanare apposita decretazione finalizzata a contemperare le esigenze della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori in esse impegnati, che è un diritto costituzionale, con le particolari esigenze delle strutture e delle organizzazioni nell’ambito delle quali sono chiamati ad operare, attività che, oltre alle strutture penitenziarie fra le quali è ricompresa quella nell’ambito della quale si è verificato l’infortunio di cui si è occupato in questa sentenza la suprema Corte di Cassazione, riguardano diversi altri settori di attività quali le Forze armate, la Polizia, il Dipartimento dei vigili del fuoco, il soccorso pubblico e la difesa civile, i servizi di protezione civile, le strutture giudiziarie, quelle destinate alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, le università, gli istituti di istruzione universitaria, le istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica, gli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, i mezzi di trasporto aerei e marittimi, e le altre attività indicate nel comma 2. primo periodo dello stesso art. 3 del D. Lgs. n. 81/2008, così come modificato ed integrato dal decreto correttivo D. Lgs. 3/8/2009 n. 106.
"Le particolari esigenze connesse al Servizio penitenziario", sostiene la suprema Corte, riguardano evidentemente, come del resto è sempre sembrato a seguito di una interpretazione logica delle disposizioni legislative contenute nello stesso articolo, problemi di organizzazione e di sicurezza interna alle strutture e non possono portare ad una sostanziale abrogazione di precise norme di legge nonché all’azzeramento o alla compressione delle garanzie che la legge riserva, senza differenza di sorta, a tutti i lavoratori ed a tutti i luoghi di lavoro nessuno escluso.
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Sulla responsabilita' nel caso di un infortunio ad un detenuto lavoratore
Cassazione Sezione IV Penale - Sentenza n. 6694 del 18 febbraio 2010 - Pres. Rizzo – Est. Foti – P.M. Gialanella - Ric. D. P.
Commento a cura di G. Porreca (www.porreca.it)
E’ importante tale sentenza perché individua e suggerisce i termini di applicazione temporanea delle disposizioni di cui all’art. 3 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81, contenente il Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, a quelle attività indicate nello stesso articolo per le quali il legislatore si è riservato di emanare apposita decretazione finalizzata a contemperare le esigenze della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori in esse impegnati, che è un diritto costituzionale, con le particolari esigenze delle strutture e delle organizzazioni nell’ambito delle quali sono chiamati ad operare, attività che, oltre alle strutture penitenziarie fra le quali è ricompresa quella nell’ambito della quale si è verificato l’infortunio di cui si è occupato in questa sentenza la suprema Corte di Cassazione, riguardano diversi altri settori di attività quali le Forze armate, la Polizia, il Dipartimento dei vigili del fuoco, il soccorso pubblico e la difesa civile, i servizi di protezione civile, le strutture giudiziarie, quelle destinate alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, le università, gli istituti di istruzione universitaria, le istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica, gli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, i mezzi di trasporto aerei e marittimi, e le altre attività indicate nel comma 2. primo periodo dello stesso art. 3 del D. Lgs. n. 81/2008, così come modificato ed integrato dal decreto correttivo D. Lgs. 3/8/2009 n. 106.
"Le particolari esigenze connesse al Servizio penitenziario", sostiene la suprema Corte, riguardano evidentemente, come del resto è sempre sembrato a seguito di una interpretazione logica delle disposizioni legislative contenute nello stesso articolo, problemi di organizzazione e di sicurezza interna alle strutture e non possono portare ad una sostanziale abrogazione di precise norme di legge nonché all’azzeramento o alla compressione delle garanzie che la legge riserva, senza differenza di sorta, a tutti i lavoratori ed a tutti i luoghi di lavoro nessuno escluso.
Il caso e l’iter giudiziario
Il caso posto all’esame della Corte di Cassazione riguarda questa volta l’infortunio occorso in una casa di reclusione ad un detenuto facente parte di una squadra di manutenzione del fabbricato carcerario, durante dei lavori di imbiancatura delle pareti di un locale della struttura medesima, a seguito del quale lo stesso subiva delle lesioni personali gravi, consistite nella perdita funzionale dell'occhio sinistro, con indebolimento permanente dell'organo della vista, cagionata da uno spruzzo di calce viva che lo stesso stava versando in un recipiente. Dell’accaduto era stato ritenuto responsabile il direttore del carcere e, al termine di un procedimento avviato su denuncia – querela proposta dall’infortunato, era stato condannato dal Tribunale, alla pena di 200,00 euro di multa ed al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, il direttore della casa di reclusione nella qualità di datore di lavoro del detenuto e ciò per colpa consistita nella violazione del D. Lgs. n. 626 del 1994, articoli 21 e 22, per avere omesso di provvedere affinché i detenuti lavoranti componenti la squadra, tra cui l’infortunato, ricevessero un'adeguata informazione sui pericoli connessi all'uso di sostanze e preparati pericolosi per la salute nonché un'adeguata formazione in materia di sicurezza, con specifico riferimento alle mansioni assegnate, tanto che era stato avviato al lavoro con la qualifica di "apprendista muratore", formazione che avveniva "sul campo" ad opera di un capo d'arte il quale, tuttavia, il giorno dell'infortunio non era presente perché era stato assegnato ad altro servizio. Non era risultato del resto dal dibattimento che il direttore avesse mai sollecitato uno stanziamento di fondi di bilancio da parte delle autorità competenti per l'organizzazione di corsi professionali. Un ulteriore profilo di colpa specifica era stata individuata nella circostanza dal PM a carico del direttore, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, per la violazione dell'articolo 43 del citato D. Lgs. n. 626/1994 per avere lo stesso tollerato che il detenuto infortunato non indossasse gli appositi occhiali di protezione.
Su appello proposto dal direttore del Carcere, la Corte d'Appello, in riforma della decisione del primo giudice, assolveva lo stesso da ogni addebito perchè il fatto non costituisce reato e revocava, in conseguenza, le statuizioni civili. La stessa Corte, dopo avere affermato la piena applicabilità al caso di specie del D. Lgs. n. 626/1994, il quale, all'articolo 1, comma 2, espressamente estende l'applicazione delle norme contenute nello stesso decreto anche alle strutture penitenziarie, ha tuttavia sostenuto che gli obblighi nascenti da detta normativa devono essere, nel contesto carcerario, rapportate ed articolate secondo i limiti e le caratteristiche proprie di tale struttura, che presenta un'organizzazione del tutto diversa rispetto all'impresa vera e propria, cui sono tipicamente riferiti gli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. In particolare poi, per quanto riguarda l'addebito della mancata formazione ed informazione dei detenuti lavoratori, la Corte di Appello ha sostenuto che quanto rilevato dal primo giudice non poteva ascriversi a colpa dell'imputato, trattandosi, si legge nella sentenza, "di settore d'intervento sottratto alla sua competenza" ed inoltre che non spettava al direttore dell'istituto sollecitare fondi per la qualificazione professionale delle maestranze per cui concludeva che nessun profilo di colpa poteva rilevarsi nella condotta dell'imputato. Né spettava al direttore, secondo la stessa Corte di Appello, accertarsi dell'effettivo uso, da parte del detenuto, degli occhiali, che, in ogni caso, l'istituto aveva messo a disposizione dei detenuti lavoratori.
Il ricorso e la decisione della Corte di Cassazione.
Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso la parte civile contestando in particolare la dichiarata non applicabilità o parziale applicabilità della normativa antinfortunistica dettata dal richiamato D. Lgs. in ragione delle asserite particolarità connesse con il luogo di lavoro e ponendo l’attenzione sull’obbligo da parte del direttore dell’Istituto di formare ed informare le maestranze nonché di verificare che il lavoratore avesse ricevuto la formazione e le informazioni necessarie per l'espletamento dell'attività per la quale era stato avviato al lavoro, nonché, in ogni caso, di evitare l'avviamento al lavoro di personale impreparato e non qualificato e rimarcando il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale risponde dell'infortunio subito dal lavoratore il datore di lavoro che omette di accertare, direttamente o a mezzo di propri incaricati, che il dipendente si avvalga degli strumenti di protezione idonei a salvaguardare la sua incolumità.
L’imputato ha contestata la fondatezza del ricorso ed ha chiesto che lo stesso venisse dichiarato inammissibile, ovvero venisse rigettato. La Corte di Cassazione ha invece ritenuto fondato il ricorso della parte civile ed ha annullata la sentenza impugnata, limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello e nel far ciò ha fornito degli utili indirizzi circa l’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 a quelle particolari attività citate nell’art. 3 comma 2. primo periodo. “In realtà” secondo la Sez. IV penale, “la corte territoriale, pur partendo dal corretto presupposto dell'applicabilità, anche alla fattispecie in esame, delle norme dettate dal Decreto Legge n. 626 del 1994, è, tuttavia, in concreto, pervenuta a conclusioni del tutto erronee e sostanzialmente contrastanti con la normativa richiamata, avendo sostenuto che gli obblighi nascenti da detta normativa dovrebbero commisurarsi e raffrontarsi con le condizioni e le caratteristiche di una struttura carceraria, del tutto particolari e diverse da quelle di una normale impresa, ovvero del soggetto al quale sono tipicamente riferibili gli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro”. “In tal guisa”, prosegue la Corte suprema, “avendo la predetta corte sostanzialmente affermato lo sconcertante principio secondo cui gli istituti di pena debbano quasi considerarsi delle ‘zone franche’, impermeabili al rispetto delle norme di legge, invece che, al contrario, come luoghi in cui debba venir assolutamente perseguita e garantita l'osservanza delle leggi”. L’osservanza delle norme antinfortunistiche, sostiene ancora la Sez. IV, e di quelle che attengono alla sicurezza dei luoghi di lavoro, pretesa a carico dell'imprenditore privato, non può non essere richiesta anche a coloro che nella pubblica amministrazione ricoprono un ruolo di responsabilità del tutto simile a quello dell'imprenditore privato, rispetto delle norme che ancor più deve pretendersi in una struttura carceraria, a tutela di un lavoratore detenuto il quale, in ragione della propria condizione di grave subalternità e di soggezione derivante dalla carcerazione, non ha tutele di alcun genere, se non quella che deve garantirgli la struttura e chi la dirige.
In merito al riferimento fatto dalla Corte di Appello alla applicazione delle norme contenute nel D. Lgs. n. 81/2008 per tenere conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato ed individuate con decreto del Ministero competente di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità e della funzione pubblica di cui all’articolo 1, comma 2, del D. Lgs. sopra richiamato, la Corte di Cassazione ha osservato che “le particolari esigenze connesse al servizio espletato riguardano evidentemente problemi di organizzazione e di sicurezza interna alle strutture che certamente non possono portare alla sostanziale abrogazione di precise norme di legge ed all'azzeramento, o anche solo alla compressione, delle garanzie riconosciute dalla legge a tutti i lavoratori, senza differenze di sorta, e con riguardo a tutti i luoghi di lavoro, nessuno escluso” ed ha osservato inoltre che “il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, all'esigenza di ‘declinare’ gli obblighi discendenti dalla citata normativa ‘secondo i limiti e le caratteristiche proprie delle strutture carcerarie, profondamente diverse da quelle riferibili ad un'impresa o all'imprenditore’ costituisce osservazione del tutto apodittica e, nella sua totale genericità, pericolosa, oltre che inaccettabile, poiché finisce con l'attribuire al dirigente carcerario del momento il potere di individuare, di volta in volta, quali obblighi prevenzionali debbano essere rispettati e quali no, se non, addirittura, nei confronti di chi tra i lavoratori essi debbano essere osservati”.
La suprema Corte ha ritenuto, inoltre, di precisare che “il Decreto Ministeriale Giustizia n. 338 del 1997, articolo 2, che ha individuato le ‘particolari esigenze’ delle strutture penitenziarie (e giudiziarie) ai fini delle norme contenute nel Decreto Legge n. 626 del 1994, ha chiarito che dette esigenze sono quelle preordinate ad evitare la eliminazione di fortificazioni o strutture di vigilanza, ed ancora, pericoli di fuga, aggressioni, sabotaggi di apparecchiature o impianti, pericoli di auto o etera aggressività, autolesionismo, nonché il conferimento di posizioni di preminenza ad alcuni detenuti o internati per mantenere l'ordine e la disciplina all'interno del carcere; direttive che attengono a specifiche ed irrinunciabili esigenze di sicurezza della struttura carceraria, e di quanti la frequentano, che non possono essere, né sono dalle disposizioni vigenti, ritenute in competizione con le norme prevenzionali che specificamente attengono alla sicurezza del detenuto lavorante”.
La Sez. IV ha quindi ricordato che il D. Lgs. n. 626/1994 ha ricevuto, per quanto riguarda la nozione di “datore di lavoro” e la sua applicazione a tutti i settori di attività lavorative, privai e pubblici, ed a tutte le tipologie di rischio, una piena conferma dal D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 così come recentemente modificato dal D. Lgs. 3/8/2009 n. 106, ed ha concluso che “solo un'errata interpretazione della normativa di riferimento ha impedito al giudice del gravame di escludere l'esigibilità dal (direttore) del rispetto degli obblighi specifici ai quali era tenuto quale datore di lavoro dell'operaio infortunato. Obblighi che, come aveva correttamente osservato il primo giudice, gli imponevano, prima di avviare al lavoro un semplice apprendista, che non aveva nessuna pregressa esperienza lavorativa e nessuna competenza nel settore, di assicurargli una specifica formazione professionale e di fornirgli precise informazioni circa le regole minime di sicurezza da osservare, specie nella manipolazione di preparati pericolosi per la salute, di renderlo consapevole della necessità di utilizzare i dispositivi individuali di protezione, nel caso di specie gli occhiali”.
Il caso posto all’esame della Corte di Cassazione riguarda questa volta l’infortunio occorso in una casa di reclusione ad un detenuto facente parte di una squadra di manutenzione del fabbricato carcerario, durante dei lavori di imbiancatura delle pareti di un locale della struttura medesima, a seguito del quale lo stesso subiva delle lesioni personali gravi, consistite nella perdita funzionale dell'occhio sinistro, con indebolimento permanente dell'organo della vista, cagionata da uno spruzzo di calce viva che lo stesso stava versando in un recipiente. Dell’accaduto era stato ritenuto responsabile il direttore del carcere e, al termine di un procedimento avviato su denuncia – querela proposta dall’infortunato, era stato condannato dal Tribunale, alla pena di 200,00 euro di multa ed al risarcimento del danno in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, il direttore della casa di reclusione nella qualità di datore di lavoro del detenuto e ciò per colpa consistita nella violazione del D. Lgs. n. 626 del 1994, articoli 21 e 22, per avere omesso di provvedere affinché i detenuti lavoranti componenti la squadra, tra cui l’infortunato, ricevessero un'adeguata informazione sui pericoli connessi all'uso di sostanze e preparati pericolosi per la salute nonché un'adeguata formazione in materia di sicurezza, con specifico riferimento alle mansioni assegnate, tanto che era stato avviato al lavoro con la qualifica di "apprendista muratore", formazione che avveniva "sul campo" ad opera di un capo d'arte il quale, tuttavia, il giorno dell'infortunio non era presente perché era stato assegnato ad altro servizio. Non era risultato del resto dal dibattimento che il direttore avesse mai sollecitato uno stanziamento di fondi di bilancio da parte delle autorità competenti per l'organizzazione di corsi professionali. Un ulteriore profilo di colpa specifica era stata individuata nella circostanza dal PM a carico del direttore, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, per la violazione dell'articolo 43 del citato D. Lgs. n. 626/1994 per avere lo stesso tollerato che il detenuto infortunato non indossasse gli appositi occhiali di protezione.
Su appello proposto dal direttore del Carcere, la Corte d'Appello, in riforma della decisione del primo giudice, assolveva lo stesso da ogni addebito perchè il fatto non costituisce reato e revocava, in conseguenza, le statuizioni civili. La stessa Corte, dopo avere affermato la piena applicabilità al caso di specie del D. Lgs. n. 626/1994, il quale, all'articolo 1, comma 2, espressamente estende l'applicazione delle norme contenute nello stesso decreto anche alle strutture penitenziarie, ha tuttavia sostenuto che gli obblighi nascenti da detta normativa devono essere, nel contesto carcerario, rapportate ed articolate secondo i limiti e le caratteristiche proprie di tale struttura, che presenta un'organizzazione del tutto diversa rispetto all'impresa vera e propria, cui sono tipicamente riferiti gli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. In particolare poi, per quanto riguarda l'addebito della mancata formazione ed informazione dei detenuti lavoratori, la Corte di Appello ha sostenuto che quanto rilevato dal primo giudice non poteva ascriversi a colpa dell'imputato, trattandosi, si legge nella sentenza, "di settore d'intervento sottratto alla sua competenza" ed inoltre che non spettava al direttore dell'istituto sollecitare fondi per la qualificazione professionale delle maestranze per cui concludeva che nessun profilo di colpa poteva rilevarsi nella condotta dell'imputato. Né spettava al direttore, secondo la stessa Corte di Appello, accertarsi dell'effettivo uso, da parte del detenuto, degli occhiali, che, in ogni caso, l'istituto aveva messo a disposizione dei detenuti lavoratori.
Il ricorso e la decisione della Corte di Cassazione.
Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso la parte civile contestando in particolare la dichiarata non applicabilità o parziale applicabilità della normativa antinfortunistica dettata dal richiamato D. Lgs. in ragione delle asserite particolarità connesse con il luogo di lavoro e ponendo l’attenzione sull’obbligo da parte del direttore dell’Istituto di formare ed informare le maestranze nonché di verificare che il lavoratore avesse ricevuto la formazione e le informazioni necessarie per l'espletamento dell'attività per la quale era stato avviato al lavoro, nonché, in ogni caso, di evitare l'avviamento al lavoro di personale impreparato e non qualificato e rimarcando il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale risponde dell'infortunio subito dal lavoratore il datore di lavoro che omette di accertare, direttamente o a mezzo di propri incaricati, che il dipendente si avvalga degli strumenti di protezione idonei a salvaguardare la sua incolumità.
L’imputato ha contestata la fondatezza del ricorso ed ha chiesto che lo stesso venisse dichiarato inammissibile, ovvero venisse rigettato. La Corte di Cassazione ha invece ritenuto fondato il ricorso della parte civile ed ha annullata la sentenza impugnata, limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello e nel far ciò ha fornito degli utili indirizzi circa l’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 a quelle particolari attività citate nell’art. 3 comma 2. primo periodo. “In realtà” secondo la Sez. IV penale, “la corte territoriale, pur partendo dal corretto presupposto dell'applicabilità, anche alla fattispecie in esame, delle norme dettate dal Decreto Legge n. 626 del 1994, è, tuttavia, in concreto, pervenuta a conclusioni del tutto erronee e sostanzialmente contrastanti con la normativa richiamata, avendo sostenuto che gli obblighi nascenti da detta normativa dovrebbero commisurarsi e raffrontarsi con le condizioni e le caratteristiche di una struttura carceraria, del tutto particolari e diverse da quelle di una normale impresa, ovvero del soggetto al quale sono tipicamente riferibili gli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro”. “In tal guisa”, prosegue la Corte suprema, “avendo la predetta corte sostanzialmente affermato lo sconcertante principio secondo cui gli istituti di pena debbano quasi considerarsi delle ‘zone franche’, impermeabili al rispetto delle norme di legge, invece che, al contrario, come luoghi in cui debba venir assolutamente perseguita e garantita l'osservanza delle leggi”. L’osservanza delle norme antinfortunistiche, sostiene ancora la Sez. IV, e di quelle che attengono alla sicurezza dei luoghi di lavoro, pretesa a carico dell'imprenditore privato, non può non essere richiesta anche a coloro che nella pubblica amministrazione ricoprono un ruolo di responsabilità del tutto simile a quello dell'imprenditore privato, rispetto delle norme che ancor più deve pretendersi in una struttura carceraria, a tutela di un lavoratore detenuto il quale, in ragione della propria condizione di grave subalternità e di soggezione derivante dalla carcerazione, non ha tutele di alcun genere, se non quella che deve garantirgli la struttura e chi la dirige.
In merito al riferimento fatto dalla Corte di Appello alla applicazione delle norme contenute nel D. Lgs. n. 81/2008 per tenere conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato ed individuate con decreto del Ministero competente di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità e della funzione pubblica di cui all’articolo 1, comma 2, del D. Lgs. sopra richiamato, la Corte di Cassazione ha osservato che “le particolari esigenze connesse al servizio espletato riguardano evidentemente problemi di organizzazione e di sicurezza interna alle strutture che certamente non possono portare alla sostanziale abrogazione di precise norme di legge ed all'azzeramento, o anche solo alla compressione, delle garanzie riconosciute dalla legge a tutti i lavoratori, senza differenze di sorta, e con riguardo a tutti i luoghi di lavoro, nessuno escluso” ed ha osservato inoltre che “il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, all'esigenza di ‘declinare’ gli obblighi discendenti dalla citata normativa ‘secondo i limiti e le caratteristiche proprie delle strutture carcerarie, profondamente diverse da quelle riferibili ad un'impresa o all'imprenditore’ costituisce osservazione del tutto apodittica e, nella sua totale genericità, pericolosa, oltre che inaccettabile, poiché finisce con l'attribuire al dirigente carcerario del momento il potere di individuare, di volta in volta, quali obblighi prevenzionali debbano essere rispettati e quali no, se non, addirittura, nei confronti di chi tra i lavoratori essi debbano essere osservati”.
La suprema Corte ha ritenuto, inoltre, di precisare che “il Decreto Ministeriale Giustizia n. 338 del 1997, articolo 2, che ha individuato le ‘particolari esigenze’ delle strutture penitenziarie (e giudiziarie) ai fini delle norme contenute nel Decreto Legge n. 626 del 1994, ha chiarito che dette esigenze sono quelle preordinate ad evitare la eliminazione di fortificazioni o strutture di vigilanza, ed ancora, pericoli di fuga, aggressioni, sabotaggi di apparecchiature o impianti, pericoli di auto o etera aggressività, autolesionismo, nonché il conferimento di posizioni di preminenza ad alcuni detenuti o internati per mantenere l'ordine e la disciplina all'interno del carcere; direttive che attengono a specifiche ed irrinunciabili esigenze di sicurezza della struttura carceraria, e di quanti la frequentano, che non possono essere, né sono dalle disposizioni vigenti, ritenute in competizione con le norme prevenzionali che specificamente attengono alla sicurezza del detenuto lavorante”.
La Sez. IV ha quindi ricordato che il D. Lgs. n. 626/1994 ha ricevuto, per quanto riguarda la nozione di “datore di lavoro” e la sua applicazione a tutti i settori di attività lavorative, privai e pubblici, ed a tutte le tipologie di rischio, una piena conferma dal D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 così come recentemente modificato dal D. Lgs. 3/8/2009 n. 106, ed ha concluso che “solo un'errata interpretazione della normativa di riferimento ha impedito al giudice del gravame di escludere l'esigibilità dal (direttore) del rispetto degli obblighi specifici ai quali era tenuto quale datore di lavoro dell'operaio infortunato. Obblighi che, come aveva correttamente osservato il primo giudice, gli imponevano, prima di avviare al lavoro un semplice apprendista, che non aveva nessuna pregressa esperienza lavorativa e nessuna competenza nel settore, di assicurargli una specifica formazione professionale e di fornirgli precise informazioni circa le regole minime di sicurezza da osservare, specie nella manipolazione di preparati pericolosi per la salute, di renderlo consapevole della necessità di utilizzare i dispositivi individuali di protezione, nel caso di specie gli occhiali”.
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