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Sulla responsabilità del lavoratore nel caso di comportamento esorbitante

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Lavoratori

27/06/2011

In materia di sicurezza sul lavoro il lavoratore risponde del suo comportamento e delle conseguenze ad esso connesse nel caso in cui lo stesso è esorbitante rispetto al normale procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute. A cura di G. Porreca.

 
 
Commento a cura di G. Porreca.
 
Bari, 27 Giu - Viene confermato in questa sentenza del Consiglio di Stato un principio ormai consolidato nella giurisprudenza e cioè che in materia di infortuni sul lavoro il datore di lavoro è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentano i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute. La condotta colposa del lavoratore infortunato, infatti, assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando non sia riconducibile all’area di rischio propria della lavorazione svolta.


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Il caso e la sentenza del T.A.R.
Un  medico ricercatore universitario in servizio assistenziale presso l'AUSL ha presentato al Tribunale Amministrativo Regionale un ricorso inteso ad ottenere il risarcimento del danno subito a seguito di un contagio da virus HCV (epatite virale di tipo C) contratto a causa del malfunzionamento di un dispositivo per il prelievo del sangue (c.d vacutainer) che l'aveva costretto alla eliminazione manuale di un ago utilizzato su un paziente affetto, a sua volta, da virus HCV.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha respinto il ricorso del medico ricercatore evidenziando che nel caso di rapporto di dipendenza tra un lavoratore e il datore di lavoro pubblico l’onere della prova dell’esistenza e dell’entità del danno è a carico del ricorrente e sostenendo altresì che, mentre nel caso in esame è apparso pienamente provato il nesso causale tra la puntura accidentale dell’ago infetto e la malattia contratta, non è stato pienamente provato invece il nesso causale tra il presunto difetto dell'apparecchiatura e la susseguente puntura. Il ricorrente inoltre, per quanto riguarda la presupposta difettosità del dispositivo vacutainer, non ha spiegato, secondo il T.A.R., in cosa consistesse il difetto dello stesso potendo il mancato sfilamento dell'ago essere dipeso in concreto, oltre che da errore umano, anche da fattori casuali non collegati al malfunzionamento dell’apparecchiatura.
 
Per quanto riguarda poi il nesso causale tra il presunto difetto e la puntura (evento) la normale diligenza, secondo il T.A.R., avrebbe dovuto suggerire al medico, in caso di mancato funzionamento dell'apparecchio, di procedere manualmente ma previa congrua protezione della mano con guanti, garze o simili, facilmente reperibili in ambiente ospedaliero, posto che le norme sulla prevenzione degli infortuni richiedono non solo l'attivazione di informazioni e operazioni da parte delle aziende sanitarie, ma anche l'attiva compartecipazione e collaborazione degli operatori così come  confermato anche dall'art.5 del D. Lgs. n. 626/1994 e dagli artt. 1 e 9 del D.M. 28.9.1990 nonché dalle linee guida dettate dal Ministero della Sanità, applicabili a tutte le malattie trasmesse dal sangue (G.U. n. 235 del 28.9.1990), ove si impone agli operatori assistenziali, tra l'altro, l'uso dei dispositivi di protezione individuale (DPI), quali guanti, mascherine, occhiali e visiere adatti alla manovra.
 
Nel caso in esame ancora non è risultato con sicurezza che il ricorrente, al momento dell'incidente ovvero appena accortosi del malfunzionamento,  avesse indossato guanti adatti o altra idonea protezione per cui non sono risultati provati, secondo il T.A.R., né la difettosità dell'apparecchio  e quindi la correlativa responsabilità dell'Amministrazione né il nesso causale tra le eventuali carenze funzionali di esso e la ferita accidentale subita dal ricorrente essendo emerso anzi il sospetto che questi fosse stato negligente nel rispettare la citata normativa di prevenzione antinfortunistica.
 
Il ricorso e le decisioni del Consiglio di Stato
Il medico ricercatore ha proposto appello al Consiglio di Stato contro le decisioni del T.A.R. sostenendo che era erroneo affermare che il ricorrente avesse l'onere di dimostrare, oltre alla difettosità dell'apparecchio, anche il perché esso non avesse funzionato, essendo invece onere dell'Amministrazione dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie per evitare il verificarsi dell'evento dannoso e precisando altresì che lo stesso, al momento in cui ha operato lo sfilamento dell'ago, indossava i guanti di protezione.
 
Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso del medico confermando con diverse motivazioni la sentenza del T.A.R. impugnata. Lo stesso Consiglio di Stato ha rilevato, nel caso in esame, che il ricorrente avrebbe dovuto provare che il mancato disinserimento dell'ago dal macchinario fosse stato anzitutto dovuto ad un malfunzionamento del dispositivo (nocività dell'ambiente) e che, poi, l'operazione materialmente causativa del danno (estrazione manuale dello stesso) fosse rientrante nelle modalità della sua normale attività di lavoro, soggetta alle direttive ed alla vigilanza, in funzione preventiva degli infortuni, incombenti sull'Amministrazione (nesso eziologico in concreto) ponendo in evidenza che nessuno di tali elementi è risultato invece essere stato provato. Ciò che è appunto mancato già in fase di allegazione, secondo il Consiglio di Stato, è stata la prova dell'esistenza di un difetto o di un guasto, che potesse far imputare all'Amministrazione l'inosservanza (presuntivamente colposa) di regole di prevenzione su di essa incombenti potendo la mancata estrazione dell'ago essere stata dovuta ad una causa non identificata ed estranea ad un guasto o un difetto, quale l' errore umano o la mancata completa attivazione di una procedura materialmente prevista.
 
Il Consiglio di Stato ha quindi ricordato l’indirizzo della Corte di Cassazione in base al quale, con riguardo ad una mancata prevenzione di prevedibili errori umani da parte di un lavoratore dipendente,  la responsabilità del datore di lavoro non è esclusa dalla semplice imprudenza, imperizia o negligenza del lavoratore stesso (Cass.Sez. lav. 28 ottobre 2009, n. 22818, 18 maggio 2007, n. 11622). Secondo la Corte di Cassazione invece “in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando non sia riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta, esonerandosi da responsabilità il datore di lavoro quando appunto il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (Cass.pen. IV, 22 dicembre 2009, n. 10448)”.
 
Nel caso in esame comunque per non escludere le responsabilità del datore di lavoro occorreva tuttavia la ulteriore dimostrazione che l'operazione di estrazione manuale dell'ago fosse rientrante nelle concrete modalità di esplicazione dell'attività del lavoratore e che queste modalità fossero conformi ad un protocollo essenziale di svolgimento delle sue incombenze. Il mancato sfilamento automatico dell'ago non imponeva invece al medico di pervenire comunque all'estrazione dell’ago mediante operazione manuale nel qual caso fra l’altro l’uso dei guanti di protezione non sarebbe neanche servito in quanto gli stessi sono utili per prevenire il rischio della irrorazione o del contatto della cute delle mani con liquidi in fuoriuscita, ma non il taglio o la puntura provocate da oggetti metallici quali appunto un ago. Né è risultato affermato che l'operazione manuale si rendesse necessaria a causa della permanenza dell'ago stesso nei vasi del paziente, elemento che avrebbe potuto far pensare alla giustificabilità dell'intervento del medico a salvaguardia della sua salute.
 
L'estrazione manuale dell’ago, ha quindi concluso il Consiglio di Stato a giustificazione delle propria decisione di rigettare il ricorso del lavoratore, si è connotata “come un'operazione abnorme,  tale cioè da esondare dal normale protocollo dell'attività in concreto incombente sul lavoratore medico e da pervenire alla causazione di un evento non riconducibile all'area di rischio specificamente connessa a tale attività, anche estensivamente intesa, provocandosi per contro una serie causale appunto abnorme ed esclusivamente determinante dell'infortunio”.
 
 
 
 
 


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Rispondi Autore: mimmo sisto - likes: 0
27/06/2011 (12:10:51)
Perchè nel settore pubblico ci si fanno molte meno domande ? Nel settore privato (giustamente) il giudice, prima di dare la colpa (grave) al lavoratore, si accerta anche mediante testimonianze (1) del tipo di mansione assegnata o comunque pacificamente svolta come consuetudine e pacificamente accettata dai dirigenti che ne erano a conoscenza (2) nel caso confermato al punto 1 l'esistenza delle procedure di sicurezza e l'attività di formazione informazione addestramento con verifica di apprendimento, effettivamente svolte dal lavoratore (3) l'applicazione delle cartellonistiche di pericolo e di obbligo e di divieto come prescritto dalla normativa (4) la consegna di adeguati DPI antipuntura e la verifica costante dell'uso degli stessi.
Si vede che tra pubblico e privato si fanno due pesi e due misure.
Se fosse successo in un laboratorio d'analisi privato sarebbe successo il finimondo e il datore di lavoro sarebbe stato condannato, e l'INAIL avrebbe chiesto la rivalsa, con tutte le multe annesse e connesse.
Se per il privato può essere (in alcuni casi) un eccesso, per il settore pubblico significa una vera e propria impunibilità.
Leggiamola così: il settore pubblico non può sopportare le spese risarcitorie degli infortuni o malattie professionali, e quindi i giudici in questo caso hanno fatto voli pindarici interpretativi per arrivare al risultato finale: non si può risarcire.
Rispondi Autore: anna di giacobbe - likes: 0
26/09/2013 (10:07:02)
E' evidente l'imperizia del Medico e giusta quindi la motivazione della sentenza a lui sfavorevole.
Mi chiedevo invece, nella contestualità, gli obblighi del lavoratore in generale sul declamare la eventuale affezione di malattia virale come al epatite (qualsiasi forma) e AIDS.
Grazie per la risposta e norme o giurisprudenza in materia

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