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Il medico competente e il rischio stress lavoro correlato

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Medico competente

26/03/2010

I ruoli del medico competente, in relazione al rischio stress lavoro correlato, sono vari: dalla collaborazione, alla valutazione del rischio, alla sorveglianza sanitaria. Un documento in rete riporta alcune criticità e alcuni suggerimenti.

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Sul numero di Luglio/Settembre 2009 del Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia è presente un capitolo dedicato a “Lo stress occupazionale: dalle metodologie scientifiche agli strumenti applicativi”, con particolare riferimento al Decreto legislativo 81/2008.

Di questo capitolo, da cui abbiamo già tratto in passato alcuni approfondimenti, presentiamo il contributo “Il medico competente e il rischio stress lavoro correlato: dalla collaborazione alla valutazione del rischio alla sorveglianza sanitaria” a cura di R. Buselli e A. Cristaudo (Unità Operativa Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana).


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Gli autori ricordano che “ogni volta che esce una normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro che introduce un nuovo rischio, il medico del lavoro si trova di fronte all’occasione di fare riflessioni su cosa siano e in che cosa consistano alcuni elementi essenziali della sua attività di operatore della prevenzione”.
In particolare il D.Lgs. 81/2008 e, più recentemente, il D.Lgs. 106/2009, sottopongono all’attenzione del medico del lavoro il rischio stress lavoro correlato, un rischio che tuttavia “presenta delle caratteristiche che lo rendono molto difficile da gestire, esiste infatti un divario fra conoscenza scientifica, politiche di prevenzione e pratiche quotidiane, che progetti europei stanno cercando di colmare”. 
I problemi principali in relazione alla “gestione dello stress lavoro correlato per il medico competente nascono soprattutto dalla partecipazione alla valutazione del rischio e dall’attuazione della sorveglianza sanitaria”.

La valutazione del rischio 
Il contributo ricorda che per i rischi psicosociali, diversi autori hanno sostenuto “un approccio della gestione del rischio che è ampiamente basato sui tipi di valutazione del rischio che sono utilizzati per i rischi fisici e che consentono meglio di impostare interventi di prevenzione primaria”. 
Se tuttavia teniamo conto dei cinque step della valutazione suggeriti dall’Health and Safety Executive (“cercare i pericoli, decidere chi possa essere danneggiato e come, valutare i rischi e decidere se le precauzioni esistenti sono adeguate o se dovrebbe essere fatto di più, registrare i risultati, riesaminare la valutazione e cambiarla se necessario”) sono evidenti alcune difficoltà. Ad esempio:
- i rischi fisici tendono ad essere in contesti specifici, “mentre i rischi psicosociali possono essere trovati ovunque”;
- “mentre è possibile determinare per una sostanza chimica quale livello di esposizione diventa pericoloso, non è possibile definire il livello al quale il carico lavorativo può causare un danno specifico”;
- “i rischi fisici di solito tendono ad avere effetti immediati; invece gli effetti di esposizione per esempio ad un evento traumatico possono rimanere latenti”;
- “i rischi fisici tendono ad avere sempre effetti negativi, mentre alcune condizioni che possono essere alla base dei rischi psicosociali possono qualche volta avere anche avere effetti positivi”.
Tra l’altro anche “il danno psicosociale rispetto al danno fisico rivela alcune differenze”.

Un altro aspetto critico riportato dagli autori è la “limitazione dell’intervento del medico competente alla valutazione dei rischi ai soli casi in cui si renda necessaria la sorveglianza sanitaria” (comma 1 art. 29 D.Lgs 81/2008): nel caso dello stress lavoro correlato, si pone “il problema di chi possa valutare la vulnerabilità del lavoratore, elemento importante per completare questo adempimento preventivo, e che, gestendo dati che riguardano anche la salute del singolo lavoratore, sono per legge posti sotto la tutela del medico competente, che nello specifico compito è responsabilizzato da sanzioni penali”.

Il documento, che vi invitiamo a leggere, riporta poi alcune definizioni del rischio che possono essere un riferimento importante per orientare il processo di valutazione e affronta alcune metodologie che possono costituire dei metodi di approccio più adatti al rischio stress.
Viene anche ricordata la presenza di “esperienze di valutazione del rischio, come le linee di indirizzo della regione Toscana sullo stress lavoro correlato”, che “hanno avuto l’opportunità di essere condivise dalla varie figure private e pubbliche degli operatori della prevenzione, così da rendere più chiaro il percorso di interpretazione della normativa”.

La sorveglianza sanitaria
La sorveglianza sanitaria, una delle principali attività del medico competente, ha “le sue basi nella valutazione del rischio ed è un importante fonte di verifica dei risultati della valutazione del rischi”. 
Il Testo Unico ribadisce che la sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente “quando i rischi sono individuati per legge o quando individuati dalla valutazione del rischio”.
In particolare per poter attivare la sorveglianza sanitaria “è necessario che il rischio venga ritenuto tale da poter realizzare danno e ciò deve essere previsto nel Documento di valutazione del rischio”. In questo modo – ricordano gli autori - si “ripropone il problema di individuare un valore soglia, difficilmente definibile per quanto riguarda lo stress”.

Ricordando poi che l’atto finale della sorveglianza sanitaria è il giudizio di idoneità alla mansione specifica, si indica che - secondo una sentenza della Corte di Cassazione del 7/7/1987 – “nel valutare l’idoneità alla mansione specifica il medico del lavoro competente deve prendere in considerazione il possesso da parte del lavoratore dei requisiti psico-fisici comunemente indispensabili per lo svolgimento della mansione e non il possesso dei migliori requisiti psicofisici necessari per lo svolgimento della stessa. E “il riscontro di soli indicatori organici non è sufficiente per la sorveglianza sanitaria nel campo di un rischio da stress, se non accompagnato dalla raccolta relativa a dati relativi alla sfera psichica e comportamentale, che potrà essere facilitata da strumenti utilizzati nello screening”.
A questo proposito particolarmente delicato è “l’ambito della vulnerabilità individuale, che può essere indagata attraverso strumenti che valutino la personalità del lavoratore”, ma l’approccio a questa tipo di indagine presenta alcuni limiti. Infatti tali strumenti:
- “richiedono competenze specialistiche”;
- “possono offrire occasione per strumentalizzare la scelta dei lavoratori durante la fase di assunzione, passando dalla sorveglianza sanitaria a pratiche di selezione del personale, rischiando di cadere così in un comportamento non solo poco etico, ma anche al di là dei limiti della normativa”.

Nelle conclusioni si sottolinea che, riguardo alla gestione dello stress lavoro correlato, le attività di sorveglianza sanitaria e valutazione del rischio sono ancora più interdipendenti che con i rischi tradizionali.
E ciò sottolinea la centralità del ruolo del medico competente che, “anche quando debba rivolgersi alla consulenza dello specialista, rimane il principale riferimento per la tutela della salute e della riservatezza del lavoratore”.
Tuttavia è opportuno che su questi temi “vengano date indicazioni precise dagli organismi incaricati, come la Commissione Consultiva Permanente, che consentano di attivare i necessari percorsi preventivi anche laddove il contributo della scienza non riesce a fornire risposte chiare”.



Il medico competente e il rischio stress lavoro correlato: dalla collaborazione alla valutazione del rischio alla sorveglianza sanitaria” a cura di R. Buselli e A. Cristaudo (U.O. Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana), in Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Volume XXXI n°3, luglio-settembre 2009 (formato PDF, 25 kB).




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