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Modifiche al decreto 81: intervista a Lorenzo Fantini

Modifiche al decreto 81: intervista a Lorenzo Fantini
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Interviste e inchieste

15/07/2013

In relazione al Decreto legge 69/2013 e alle modifiche al D.Lgs. 81/2008 PuntoSicuro intervista Lorenzo Fantini, dirigente del Ministero del Lavoro. Il passato e il futuro del decreto legge, le risposte alle contestazioni e le proposte di modifica.

Roma, 15 Lug – Il cosiddetto “decreto del fare”, il  decreto legge n. 69 del 21 giugno 2013, ha raccolto in queste settimane, ancor prima della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, una miriade di commenti negativi e positivi, di critiche, di richiesta di chiarimenti. Commenti che non potevano mancare in un decreto legge che viene a modificare sensibilmente molti aspetti del Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (Decreto legislativo 81/2008).
 
Su questo tema PuntoSicuro ha pubblicato diversi  articoli di approfondimento, ha ospitato i commenti di molti esperti, ad esempio in ambito giurisprudenziale o in ambito edile, ha riportato per conoscenza le  posizioni assunte dalle parti sociali.
Non potevamo tuttavia esimerci dall’intervistare direttamente il Dott. Lorenzo Fantini, dirigente della Divisione Promozione della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro del Ministero del lavoro, per comprendere non solo come si è arrivati al decreto legge, ma anche quale sarà il suo prossimo futuro.
In fase di intervista abbiamo inoltre appreso dell’approvazione, da parte della Commissione Lavoro della Camera, di un parere che propone modifiche e stralci di parti decreto legge. Approvazioni di cui abbiamo subito dato notizia in un  articolo apparso su PuntoSicuro venerdì scorso.
 
L’intervista entra poi anche nello specifico dei vari punti “contestati” del  DL 69/2013 e, in conclusione (questa parte della lunga intervista sarà presentata nei prossimi giorni) Lorenzo Fantini si sofferma sulla  procedura d’infrazione n. 2013/4117 del 26 giugno 2013 (in fase di pre-contenzioso), sull’atteso decreto in materia di sicurezza antincendio, sulla revisione dei programmi per i corsi di formazione per RSPP/ASPP e sul più volte annunciato, ma mai arrivato, SINP ( Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione di infortuni e malattie professionali).

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Quella che presentiamo oggi è dunque la prima parte dell’intervista, tutta incentrata sul decreto del fare e sulle modifiche al D.Lgs. 81/2008.
 
Come sempre diamo ai nostri lettori la possibilità di leggere l'intervista trascritta o di ascoltarla.
 
 
 
 
Parliamo delle modifiche del decreto 81 che dipendono dal cosiddetto “decreto del fare”. Intanto raccontiamone la storia: abbiamo avuto la percezione che alcune modifiche al decreto 81 dovessero passare attraverso un disegno di legge, ma sono poi slittate in un decreto legge...
 
Lorenzo Fantini: L’intero provvedimento, il DL 69/2013, serve a dare una sferzata all’economia nazionale attraverso delle misure che in assenza di risorse evidentemente possono facilitare l’adempimento di alcuni obblighi di natura documentale, cartacea e burocratica. Cercando lo snellimento di procedure, snellimento che ha un valore economico. Partendo da questo presupposto ci è stato chiesto di tener conto delle proposte del recente passato e cercare di individuare quelle che potevano e possono avere un impatto più immediato sulla capacità economica dell’impresa di gestire gli adempimenti in materia di salute e sicurezza.
Quindi non credo che ci debba essere stupore se noi abbiamo utilizzato molte delle proposte che negli anni scorsi erano state fatte. Molte delle proposte che adesso noi troviamo nel DL 69 erano infatti già nel’atto Camera n. 5610 che è un atto di semplificazione che nel precedente governo non fu mandato avanti per ragioni eminentemente politiche.
Siamo stati anche noi come ufficio a proporre norme di semplificazione con notevoli modifiche rispetto a quanto è stato fatto in passato, cercando di tener conto delle esperienze del passato. Quindi io capisco che si possa essere stupiti, ma il DL è dipeso da una volontà di accelerazione che io, francamente, condivido.
Ritengo che si tratti di misure che possono tranquillamente portare a raggiungere l’obiettivo che, ripeto, è quello di non abbassare i livelli di tutela, ma di migliorare le modalità e la velocità con cui vengono adempiuti gli obblighi di tipo burocratico e documentale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Questo è l’obiettivo che il governo ci aveva chiesto di perseguire e mi pare che, nonostante i primi commenti che pare che siano stati abbastanza critici, si possa dire che il risultato potrebbe essere realizzato. Dico potrebbe perché comunque è ancora tutto da definire visto che siamo in una fase di discussione con le Commissioni parlamentari.
 
Abbiamo parlato del passato e ora parliamo un po’ del futuro del decreto legge 69/2013. Cosa si prevede accadrà in fase di conversione: emendamenti, cancellazioni? Le polemiche sorte all’indomani del decreto hanno avuto conseguenze?
 
LF: Innanzitutto una mia considerazione puramente personale. I primissimi commenti sono stati improntati alla scarsa lettura del documento. Il documento, così come uscito, spesso non è stato proprio letto, altrimenti certi commenti non si giustificano. Questa la mia personalissima opinione.
Detto questo, una volta che abbiamo ricevuto queste critiche ci siamo subito preoccupati di andare a lavorare per evitare che si potesse realizzare quello che le critiche paventavano: un abbassamento dei livelli di tutela. Ripeto che non è possibile abbassare i livelli di tutela: gli obblighi di natura sostanziale (formazione, informazione, sorveglianza sanitaria, ...) non possono essere toccati perché le direttive comunitarie non ce lo consentono, né noi vogliamo toccarli.
E allora abbiamo iniziato un dialogo, che è tuttora in corso, ad esempio con i componenti delle Commissioni parlamentari. Ieri e l’altro ieri (9 e 10 luglio, ndr) abbiamo discusso lungamente, grazie alla disponibilità della Commissione Lavoro della Camera presieduta dall’ex ministro Damiano, gli articoli in materia di SSL per possibili modifiche del decreto legge che chiariscano il senso delle norme stesse.
Quindi vi posso anticipare che dovrebbe essere già uscito il parere della Commissione XI (Commissione Lavoro, ndr) - dovrebbe essere stato votato pochi minuti fa - da cui si evince chiaramente che ci sono una serie di proposte di modifiche notevoli rispetto al testo del decreto legge (proposte che PuntoSicuro ha anticipato in un breve articolo pubblicato venerdì 12/7, ndr).
 
Per esempio?
 
LF: Ce ne sono molte. Ad esempio la Commissione ci ha chiesto un passaggio più stringente in Conferenza Stato-Regioni o, ancora, ha amplificato il ruolo della Commissione Consultiva. Perché molte di queste semplificazioni, questo lo vorrei sottolineare, non sono direttamente operative, ma hanno bisogno di decreti che hanno come capofila il Ministero del Lavoro, che vanno poi condivise in Commissione Consultiva e Conferenza Stato-Regioni. Quindi questi aspetti vanno discussi con le parti sociali e le Regioni. Lo abbiamo ulteriormente sottolineato nel passaggio in  Commissione Lavoro. Questo proprio per evitare che qualcuno possa pensare che stiamo facendo un golpe per cercare di abbassare i livelli di tutela.
È chiaro tuttavia che questi decreti più vengono concertati e più saranno lenti. Faccio un esempio per tutti. Una serie di semplificazioni è legata al fatto che si possano fare solo per le aziende che hanno un rischio basso infortunistico. Quindi si deve fare un decreto del Ministero del Lavoro, adottato sulla base di criteri desunti dagli indici Inail. Ma abbiamo concordato con la Commissione Lavoro che i criteri non tengano conto solo degli infortuni ma anche delle malattie professionali...
Tutto questo ci permetterà di essere rigorosi nell’individuazione dell’area in cui possono operare le semplificazioni di tipo documentale. Questo tipo di concertazione rallenterà l’azione di semplificazione, ma aumenterà la concertazione delle azioni che verranno realizzate.
 
Altri esempi di modifiche proposte dalla Commissione Lavoro della Camera?
 
LF: Ce ne sono state molte. Forse quella su cui abbiamo avuto più difficoltà è la norma che prevede semplificazioni per le prestazioni lavorative di breve durata. Su quello c’è stata una discussione notevole e non siamo arrivati a spiegare alla Commissione che si tratta di una norma che vuole cercare di semplificare la gestione, per esempio. della documentazione relativa alla formazione per lavoratori che hanno rapporti di lavoro con diversi datori di lavoro.
Quindi, per esempio, evitare che si debba rifare automaticamente la formazione solo perché il lavoratore è differente. Magari quando la formazione fatta con il precedente datore di lavoro è sugli stessi rischi e con una durata equivalente rispetto a quella prevista dagli Accordi in Conferenza Stato-Regioni.
Ecco su questi punti evidentemente non ci siamo chiariti e la Commissione Lavoro della Camera ci ha chiesto lo stralcio.
Altre cose che abbiamo discusso. Ad esempio la durata del DURC.
Nel decreto legge è indicata in 150 gg e nel parere della Commissione Lavoro dovrebbe essere di 120 gg dalla data del rilascio. È evidente che l’allungamento dell’efficacia della validità del DURC è un adempimento che garantisce una minore frequenza da parte delle aziende della richiesta del DURC. Quindi è effettivamente una semplificazione che pone una serie di problemi a livello di responsabilità solidale. Per 120 gg si può dire che le aziende della filiera possono essere coperte dal DURC. É una materia delicata.
E poi ci sono state una serie di altre piccole modifiche introdotte nei vari articoli per ribadire quello che noi consideriamo già abbastanza scontato: vale a dire che queste semplificazioni non possono operare in terminati settori e con riferimento a determinate attività che espongono lavoratori a rischi come quelli da uso di agenti cancerogeni, mutageni, amianto e così via. Cosa che per noi era già pacifica, ma che, se si deve specificare, il problema non si pone...
 
Effettivamente queste attività non erano indicate...
 
LF: Secondo me erano indicate. Però ognuno legge le cose a modo suo. Poi, come dico spesso, le norme non è che le scrive il tecnico. Le norme vengono scritte da una penna e poi molti ci mettono le mani. Magari l’idea originaria della norma non corrisponde a come la norma viene poi estesa. Ma questo non significa che ci sia un complotto reazionario dietro la norma.
Questo lo vorrei spiegare. Questo lo rigetto con tutte le forze. Quello che noi come Ministero del Lavoro abbiamo sempre avuto come primo obiettivo è la tutela della salute dei lavoratori. Poi è chiaro che il problema è come coniugare la scrittura di una norma che ha come obiettivo costituzionale la salute delle persone e dei lavoratori, con l’esigenza di rendere la norma anche esigibile e, diciamo, applicabile con più facilità da parte delle aziende, soprattutto le piccole e medie imprese. Non è un’operazione semplicissima.
 
Entriamo nel merito di alcune questioni e di alcune modifiche al decreto 81 come richieste originariamente dal decreto legge. Riguardo all’eliminazione dell’obbligo del DUVRI per le aziende con attività a basso rischio infortunistico e per i lavori inferiori a 10 uomini-giorno, sarà sufficiente un incaricato, con competenze tipiche di preposto, a garantire il controllo dei rischi di interferenza nelle attività in appalto?
 
LF: Qui avrei molte cose da dire, ma cerco di essere sintetico. Questo è uno dei punti che abbiamo più discusso con la Commissione Lavoro della Camera, ma anche con altri interlocutori come i sindacati che ci hanno segnalato la criticità.
La prima cosa che mi sento di sottolineare è che tutti parlano dell’obbligo del DUVRI.
Ma rendiamoci conto che l’obbligo vero non è quello di scrivere il DUVRI, che è solo un obbligo derivato, l’obbligo di cui noi parliamo, ben più importante, è l’obbligo del datore di lavoro committente di fornire alle imprese appaltatrici e ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui luoghi di lavoro e di spiegare come si coordinano le attività di prevenzione del committente e degli appaltatori. Ricordiamoci questo.
Il DUVRI è semplicemente il documento che spiega come viene gestita l’interferenza. Quando si dice che l’obbligo è quello di fare il DUVRI, io un po’ mi arrabbio. Perché in realtà è più importante l’obbligo di dare informazioni che quello di scrivere nel documento come sono state date informazioni. Se noi ragioniamo dicendo che l’obbligo è quello del DUVRI evidentemente non lo possiamo toccare, lo possiamo solo arricchire e lo facciamo diventare una bella Enciclopedia giuridica Treccani, magari inutile, della prevenzione.
Fatta questa premessa, la direttiva comunitaria di riferimento sugli appalti non dice affatto che deve essere fatto un documento. Dice che semplicemente quando c’è l’affidamento del lavoro in appalto, occorre dare dettagliate istruzioni ai soggetti che entrano nell’azienda. Quindi il DUVRI è una creazione italiana, che ovviamente condivido perché ho partecipato alla stesura della documentazione relativa al DUVRI, un documento che serve a sollecitare il datore di lavoro committente alla realizzazione di attività sostanziali e non formali.
Detto questo a mio avviso la norma che sta nel decreto legge del fare non elimina l’obbligo del DUVRI, attribuisce solo nei settori a basso rischio infortunistico, individuati come ho detto prima (con un decreto che dovrà essere condiviso, perché la norma non è direttamente operativa) la possibilità al datore di lavoro committente di individuare un proprio incaricato in possesso di adeguata formazione e informazione e addestramento e conoscenza dello stato dei luoghi – c’è scritto questo nella norma - che agisca in funzione di vigilanza delle attività che si svolgono in appalto. Paradossalmente questa previsione che non c’è nell’articolo 26 (del decreto 81, ndr) migliora i livelli di tutela.
In questo caso che succede? Se un’azienda ha una persona con queste caratteristiche non fa il DUVRI ma individua questo soggetto, se non ha una persona con queste caratteristiche fa il DUVRI. Se un’azienda ha nel suo organico una persona con queste caratteristiche può comunque decidere di fare il DUVRI. Perché questo documento non è stato eliminato, ma è solo stata attribuita una facoltà in più al datore di lavoro committente. Senza, secondo me, abbassare i livelli di tutela.
Nella discussione della Commissione Lavoro abbiamo deciso di eliminare il riferimento alla figura del preposto e di proporre che il soggetto debba avere una formazione specifica adeguata all’incarico che è stato conferito e, comunque, almeno di un preposto. Quello diventa il livello minimo. La formazione e informazione e addestramento e la conoscenza dello stato dei luoghi, deve essere qualcosa che è adeguato all’incarico che viene a essere conferito.
Non mi pare proprio che siamo ad una diminuzione dei livelli di tutela. Io inviterei tutti i lettori a riflettere su questo. Che noi stiamo enfatizzando un elemento sostanziale – la circostanza che ci sia qualcuno che conosce che tipo di lavorazioni si devono svolgere e lo stato dei luoghi di lavoro – rispetto ad un elemento formale che può portare a dire: “io ho fatto il documento, ho l’adempimento”. Che il peggio che ci può essere in materia di salute e sicurezza.
Un’altra cosa che volevo dire è che il discorso degli uomini-giorno era un discorso tecnico importante e necessario. Perché la norma, prima del DL 69/2013, diceva che il DUVRI non andava fatto per i lavori di durata inferiore ai due giorni. Paradossalmente un lavoro di durata inferiore ai due giorni, ma fatto da cento uomini, è un lavoro che potrebbe essere di notevolissima entità. Era quindi necessario chiarire cosa si intendesse con quella formula che voleva indicare un lavoro di non grande entità.
Quindi 10 uomini-giorno come prevede la norma significa, in ipotesi, un lavoratore per dieci giorni o due lavoratori per cinque o così via. Tra l’altro la Commissione Lavoro ci ha chiesto di portare il numero di uomini giorno da dieci a cinque. E noi abbiamo detto di sì. Addirittura abbiamo ridotto di molto l’applicazione di questa facoltà - non dell’eliminazione del DUVRI - della facoltà che ha l’impresa di agire non attraverso il DUVRI, ma attraverso un incaricato che ha particolari caratteristiche ed è particolarmente qualificato. Mi pare che qui ci sia molto rumore per nulla...
 
E per rendere più operativa, più semplice l’elaborazione del DUVRI. Per far sì che non rimanga solo un adempimento senza conseguenze di prevenzione?
 
LF: Qui non siamo intervenuti perché in realtà il Decreto 81 già prevede la stesura di DUVRI semplificati. In realtà la norma sulla semplificazione di DUVRI semplificati c’è già.Tra le attività che devono essere svolte dalla Commissione consultiva vi sarebbe anche l’elaborazione – se ricordo bene – anche dei modelli semplificati  per il DUVRI...
 
Modelli che, tuttavia, ancora non ci sono...
 
LF: No, ancora no. Mentre nel DL 69/2013 abbiamo affrontato il problema dei modelli semplificati in relazione al documento di valutazione del rischio, al piano di sicurezza e coordinamento e ai piani operativi di sicurezza. C’è una norma specifica che dice che sempre nei settori a basso rischio di infortuni e malattie professionali - ora si combinano insieme i due elementi – si può pensare di elaborare modelli che spingano l’operatore a scrivere documenti che dimostrino il corretto adempimento degli obblighi in materia di valutazione del rischio, di PSC e POS. Anche in questo caso siamo orientati allo stesso modo: la norma non è immediatamente precettiva, ma presuppone una concertazione tra Stato Regioni e parti sociali per l’elaborazione di modelli che possono aiutare scrivere un documento snello, ma che comunque sia efficace in tema di salute e sicurezza sul lavoro...
 
Per quanto riguarda il documento di valutazione dei rischi, diversi commentatori hanno parlato di un velato ritorno all’autocertificazione.
 
LF: Qualcuno lo ha detto tra le righe, qualcun altro ci ha proprio detto che è un tentativo di tornare all’autocertificazione. Io lo poso capire. Perché il verbo che è utilizzato nella legge, “attestare” di avere effettuato la valutazione dei rischi, richiama in qualche modo l’autocertificazione.
Ma io su questo voglio essere chiaro. Non è possibile tornare all’autocertificazione.
Noi come struttura del Ministero del Lavoro siamo stati i primi a fare una circolare in cui si diceva che a partire dal primo giugno 2013 tutte le aziende di qualsiasi dimensioni devono avere un documento di valutazione del rischio, scritto o meno secondo le procedure standardizzate. Sicuramente non è più possibile che ci sia l’autocertificazione. Quindi non vedo come sia possibile far rientrare dalla finestra l’autocertificazione quando noi stessi - non solo il Ministero del Lavoro, ma anche le Regioni, le parti sociali, addirittura anche le parti datoriali – siamo convinti che l’autocertificazione sia stata un’esperienza fallimentare. Nella stragrande maggioranza dei casi l’autocertificazione è stata letta come “non facciamo nulla, basta che si sottoscriva un foglio di carta in cui si dice che ho fatto tutto”...
Quindi il Ministero del Lavoro, almeno fin tanto che ci sarò io, non permetterà il ritorno all’autocertificazione...
 
Anche perché se così fosse l’Unione Europea ci “guarderebbe male”...
 
LF: L’Europa ci ha già ammoniti. Chiariamo però una cosa. Si legge spesso che esiste una procedura d’infrazione su questo. Non c’è ancora una procedura d’infrazione su questo elemento e su altri elementi. Parlo del progetto pilota del 2010 in cui c’erano 6 punti che venivano contestati all’Italia. Su questi punti l’Italia si è difesa: su 4 punti l’Europa ci ha dato ragione, 2 sono ancora aperti. Ma su questi punti non abbiamo ancora avuto la lettera di “messa in mora” da parte della Corte di Giustizia.
Abbiamo avuto la lettera di “messa in mora” da parte della Commissione, ma la Corte di Giustizia non ci ha ancora deferito. Quindi non esiste ancora la procedura d’infrazione. Siamo vicini, ma non è ancora conclamata.
Nella interlocuzione di centinaia di pagine che abbiamo avuto con l’Unione europea, l’Unione, tra le altre cose, ci ha detto di fare sparire l’autocertificazione, altrimenti avremmo potuto fare la fine della Germania ed essere condannati.
Questo è un elemento in più che mi porta a dire che non abbiamo nessuna intenzione di andare incontro a un possibile rischio con l’Unione Europea. Tanto che stiamo pensando di modificare leggermente il testo eliminando il verbo che c’è adesso. Parlando di modelli in grado di dimostrare l’avvenuto adempimento degli obblighi in materia di valutazione dei rischi. Così per chiarire una volta per tutte che questi modelli non sono l’autocertificazione.
 
Veniamo ad un altro punto che ha avuto delle critiche. Quello relativo alle notifiche e alle denunce di infortuni.  Si parla di eliminazione dell’obbligo, a carico dei datori di lavoro, di denunciare i casi di infortunio mortale o, comunque, i casi di infortunio sul lavoro che prevedono un’assenza superiore a 3 giorni lavorativi, all’autorità di pubblica sicurezza...
 
LF: Io capisco l’obiezione, ma non la condivido. In realtà l’obbligo di segnalazione dell’infortunio c’è comunque. Il datore di lavoro deve segnalare all’Inail l’infortunio in ogni caso. In un mondo in cui la segnalazione deve essere poi girata tra tutte le amministrazioni – e tra qualche mese si spera di avere il tanto famoso e agognato SINP – mi sembra che la notizia dell’infortunio, già data all’Inail poi debba essere fatta girare tra amministrazioni pubbliche. E comunque la norma non è scritta in maniera tale da eliminare la notizia del reato, ci mancherebbe.
Però capisco l’obiezione che, a mio avviso infondata, pensa che potrebbe essere un modo di abbassare la conoscenza da parte dei giudici degli infortuni. Io penso di no, perché l’ufficiale di polizia giudiziaria hanno obblighi che derivano dalla loro natura di ufficiali di polizia giudiziaria di segnalazione al giudice. Secondo me questa eliminazione - a mio parere, ma si può essere di opinione diversa - non va a cambiare il quadro relativo alla possibilità di applicare sanzioni ai datori di lavoro.
 
Mi pare poi che l’Asl può essere informata attraverso database dell’Inail...
 
LF: Sì, il problema è proprio questo. Noi abbiamo scritto che la norma attualmente prevede che la notizia sia poi trasmessa dall’Inail alle autorità di pubblica sicurezza, alle aziende sanitarie locali, alle autorità portuali e consolari e alle direzioni territoriali del lavoro... Dobbiamo anche capire, come mi dicono i colleghi dell’attività ispettiva, che attualmente queste notizie che mandano i datori di lavoro non è che vengono mandate ai giudici. Se le tengono gli organi di vigilanza. Li mandano ai giudici nei casi ritengano di doverle mandare ai giudici.
A questo punto non vedo la differenza tra l’avere la notizia dall’Inail o l’avere la notizia tramite una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno da parte del datore di lavoro. Anzi presumibilmente arriva prima dall’Inail. E mi dicono che non è che ci sia un immediato invio all’autorità giudiziaria, almeno secondo quanto mi viene riferito da chi fa attività di vigilanza...
 
Sempre in relazione alla denuncia di infortunio mortale o grave, anche con riferimento alle indagini, nella normativa - come modificata dal DL - si parla di adempimenti a cui si provvede solo quando ci sono le “risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili”. Che significato ha?
 
LF: Questa è una formula che non ricordo. Ma quando noi mettiamo una formula di questo tipo significa che si fa riferimento alla necessita che un tipo di misura sia attivata senza aumento di costi per la finanza pubblica. Significa che non si fa? Se la domanda è questa, la risposta è che si fa comunque. Per esempio se la norma prevede che, ad esempio, l’Inail trasferisce notifica in via telematica, non può non farlo se non ha le risorse. Significa che deve trovare nelle risorse che ha già la possibilità di farlo. Questa è una norma che viene aggiunta, perché il Ministero dell’economia e finanze ce lo chiede.
Ci si richiede che con i soldi che già ci sono, bisogna trovare le risorse per realizzare un’attività. È una clausola di stile. Ma non implica la possibilità per il soggetto obbligato pubblico di dire “non lo posso fare perché non ho le risorse”. Noi questa possibilità non ce l’abbiamo. Anche se ovviamente la limitatezza delle risorse attuali ci mette in difficoltà. Con questa clausola si ribadisce che non è possibile chiedere ulteriori risorse per adempimento dell’obbligo.
 
Non c’è il rischio che alcuni indagini in mancanza di risorse non si possano svolgere?
 
LF: No, non è possibile. In realtà tutte le leggi che escono hanno una clausola di invarianza di tipo finanziaria. Salvo alcune leggi che ovviamente indicano investimenti. Quasi tutte le leggi escono con una clausola che dice così: “le disposizioni del presente decreto, della presente legge non comportano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Dunque è solo una clausola che dice di non chiedere nuovi soldi allo Stato. Devi utilizzare le risorse che hai già.
  
Al di là del possibile stralcio della norma, nel DL si parla di semplificazione degli adempimenti relativi all’informazione, alla formazione e alla sorveglianza sanitaria per tutte le prestazioni lavorative di breve durata. In realtà molti commentatori e lettori hanno messo in rilievo che non per forza un’attività di breve durata sia un’attività con pochi rischi.
 
LF: Sono totalmente d’accordo. Non è questo il punto. I lettori che pensano questo hanno ragione. Perché l’Unione Europea ci dice che i lavoratori che non hanno un rapporto di lavoro standard, che non hanno un rapporto lavoro subordinato e a tempo indeterminato, dal punto di vista della sicurezza avrebbero bisogno dell’applicazione di misure di maggior tutela perché corrono rischi superiori legato al fatto che non stabilmente inseriti nell’organizzazione di lavoro. Da questo punto di vista sono d’accordo. Però vorrei fare una riflessione – non so se la norma lo chiarisca. Attenzione che noi non stiamo parlando di eliminare l’informazione, la formazione e la sorveglianza sanitaria. Noi stiamo parlando di gestire in maniera compatibile con la tipologia del rapporto di lavoro di riferimento, che non è un rapporto di lavoro standard, ciò che dimostra l’adempimento degli obblighi di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria per le prestazioni lavorative di breve durata.
Perché? Facciamo un paio di esempi. Per esempio in settori in cui c’è la sorveglianza sanitaria, magari un lavoratore lavora per cinque diversi datori di lavoro e ciascun datore di lavoro (la legge non ammette deroghe) deve fargli la visita medica per ogni rapporto di lavoro. Io mi chiedo, e so già la risposta, se per missioni di tre, quattro, cinque giorni si faccia la visita medica. Secondo me, no.
E allora trovare delle soluzioni che permettano di dire che si può fare una visita medica con il primo datore di lavoro e, se non ci sono altri rischi particolari, quella visita medica vale per un arco temporale di un anno o due anni, non mi sembra uno scandalo.
Lo stesso si dica per l’attività di formazione: quella parte di formazione che è stata già realizzata se non è legata all’esistenza di rischi diversi perché deve essere ripetuta dagli altri datori di lavoro? E’ il concetto del libretto formativo del cittadino.
Ciò di cui sto parlando ha una sua ricaduta normativa già validata. Nel senso che l’informazione, la formazione e la sorveglianza sanitaria hanno avuto misure di semplificazione già realizzate dal decreto per l’agricoltura. A marzo di quest’anno è uscito un decreto di semplificazioni applicabili ai lavoratori stagionali in agricoltura che lavorano per un periodo non superiore alle cinquanta giornate lavorative nell’arco dell’anno solare di riferimento e non mi pare che ci sia stata una sollevazione popolare. Quelle misure si potrebbero allargare alle prestazioni lavorative di breve durata.
Dobbiamo stare attenti che non ci sia un abbassamento dei livelli di tutela. Ma credo che questo sia il modo per riuscire a portare più datori di lavoro a realizzare obblighi che oggi non adempiono. Paradossalmente rendere più facile la vita in relazione alla dimostrazione dell’adempimento dell’obbligo determina un miglioramento nell’applicazione degli obblighi. La norma è più esigibile. Il datore di lavoro dice che “fatta così la posso fare, vado a fare l’informazione, la formazione e la sorveglianza sanitaria”.
Pensiamo a tutti i lavoratori che lavorano, ad esempio, negli alberghi, nei ristoranti. Pensiamo a tutte le prestazioni che si svolgono per pochi giorni. Non credo proprio che ci sia un’applicazione generalizzata in quei settori. I datori di lavoro, sbagliando, dicono “ce li ho per pochi giorni, devo proprio fargliela la formazione?”. Se si organizza la norma in maniera tale che sia più sostenibile da parte dei datori di lavoro, a mio avviso ci sarà una più ampia applicazione delle norme.   
 
Diamo un commento finale sul decreto del fare. Si è parlato di un equilibrio tra semplificazione e tutela...
 
LF: Un equilibrio che stiamo ancora cercando...
 
Anche perché se la Commissione Lavoro ha proposto delle modifiche questo significa che l’equilibrio non era stato ancora raggiunto...
 
LF: Questo è normale. Considerando che il decreto legge nasce per ragioni di necessità e urgenza, il confronto che un disegno di legge può avere in Parlamento è inevitabile che il decreto legge non ce l’abbia. Dunque la cosa non mi stupisce. Si dovrebbe fare tutto, ma, rendiamoci conto, il decreto legge del fare è stato fatto in pochi giorni. Non credo si potesse andare ad un approfondimento con le parti sociali, anche con le stesse Regioni, più ampio di quello che è stato fatto. Mi sembra che è abbastanza inevitabile.
Però noi l’equilibrio lo stiamo cercando tenendo conto di tutte le posizioni. Vagliandole con molta attenzione. Certe volte anche con un po’ di disappunto quando leggiamo certe cose. L’apertura del Ministero alle soluzioni migliorative c’è tutta. E anche il Governo si sta muovendo in questa direzione.
Consideriamo tra l’altro - questa è una questione politica che mi pare giusto sottolineare - che questo non è un Governo di destra o di sinistra. È un Governo di larghe coalizioni. Quindi è chiaro che bisogna tener conto delle posizioni espresse dai vari schieramenti politici. Ma noi stiamo tenendo conto non solo delle posizioni espresse dagli schieramenti politici, ma anche quelle manifestate dai sindacati. Cercando di far quadrare questo cerchio che è ben lontano dall’essere quadrato, perché evidentemente manca ancora il passaggio in varie Commissioni. Poi c’è il passaggio al Senato. Quindi il testo finale del Decreto legge non è ipotizzabile quale sarà. Io, in realtà, un’idea del decreto ce l’ho. Ma non posso mettere la mano sul fuoco.
 
E l’idea si avvicina a quello che è il parere della Commissione Lavoro? Al decreto legge con le modifiche richieste?
 
LF: Non si può dire nulla fin tanto che non si arriverà al termine della scadenza per la conversione, che mi sembra sia dopo Ferragosto. Ma faremo sicuramente prima. Le Camere chiuderanno prima di Ferragosto...
 
Il termine è di 60 giorni partendo dal 22 giugno...
 
LF: Io sono ragionevolmente ottimista. A mio avviso forse si può avere qualche dubbio sulle prestazioni lavorative di breve durata, per le ragione dette prima... Ma le norme noi le troveremo e a noi, come Ministero, toccherà lavorare molto, cosa che faremo sempre con piacere perche si tratta di argomenti importanti.
Anche come soggetto che gestisce la Commissione consultiva dovremo fare un grande lavoro, ad esempio per elaborare i criteri in base ai quali fare il decreto che stabilisce quali sono i settori a basso rischio. Ed è giusto quello che si è detto. I settori a basso rischio non possono essere identificati, come si faceva in passato, con le aziende di limitate dimensioni. Perché non è affatto così. E la norma parla di basso rischio di infortunio e poi probabilmente parlerà anche di malattie professionali. Quindi abbiamo tanto lavoro da fare anche per attuare queste disposizioni.
Tutto ciò potrebbe essere criticato da un punto di vista giuridico perché un decreto legge che rinvia a un decreto di attuazione, è un controsenso giuridico: un decreto legge dovrebbe essere immediatamente operativo.
In realtà non è così, a parte limitate eccezioni. Ci sono un paio di norme immediatamente operative. Ma le altre non lo sono.
 
 
 
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
 
 
 
 
 
 
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Rispondi Autore: attilio macchi - likes: 0
15/07/2013 (08:20:43)
Poca da dire su quanto affermato se non:
"Paradossalmente un lavoro di durata inferiore ai due giorni, ma fatto da cento uomini, è un lavoro che potrebbe essere di notevolissima entità" Corretto, a mio avviso, quindi resto stupito dal criterio che ha dettato le PS:
"Paradossalmente un'azienda con meno di 10 lavoratori, potrebbe essere un luogo dilavoro con una notevolissima entità di pericoli (non solo chimico, cancerogeno,...)"...personale trasposizione. buona giornata
Rispondi Autore: bassopiave - likes: 0
15/07/2013 (10:49:28)
per le aziende a basso rischio infortunistico e a basso indice di malattie professionali,
in cui si debbano fare lavori inferiori a 5 uomini giorno,
sarà possibile individuare una persona che sovrintenda dei lavori di una ditta esterna senza fare il duvri!
traduciamo: per le aziende i cui dipendenti svolgono un lavoro d'ufficio sarà possibile far fare un corso di formazione ad una persona che sia almeno un preposto perchè Tizio deve venire a fare una manutenzione su una stampante per 2 giorni! wow che semplificazione!!!!!
Rispondi Autore: Maurizio Betti - likes: 0
15/07/2013 (22:23:41)
Se non vi sono rischi interferenziali , non dimentiamoci che il duvri non deve essere redatto.
Buona fortuna Italia!
Rispondi Autore: Gianluca Gorlani - likes: 0
22/07/2013 (10:33:09)
Personal comments about an urgent Italian Law about Safety and Health at Work. It is desirable that Italian Parliament decides on critical issues having enough time to discuss all the matters.
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Il Dott. Menduto ha sottolineato, all'inizio dell'ottima intervista, la .

Con riferimento ad attività che espongono lavoratori a rischi connessi ad agenti cancerogeni, mutageni e/o amianto, il Dott. Lorenzo Fantini appare in difesa:
Rispondi Autore: Gianluca Gorlani - likes: 0
22/07/2013 (10:37:10)
Ripubblico per un errore "tecnico" ;-)

Personal comments about an urgent Italian Law about Safety and Health at Work. It is desirable that Italian Parliament decides on critical issues having enough time to discuss all the matters.
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Il Dott. Menduto ha sottolineato, all'inizio dell'ottima intervista, la .
Con riferimento ad attività che espongono lavoratori a rischi connessi ad agenti cancerogeni, mutageni e/o amianto, il Dott. Lorenzo Fantini appare in difesa:

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