Ambienti confinati e DPR 177/2011: si certificano i contratti d’appalto?
Brescia, 19 Gen – Ieri PuntoSicuro ha presentato la prima parte di una lunga intervista, realizzata attraverso uno specifico format interattivo, nata con l’obiettivo di fare chiarezza sulle diverse interpretazioni relative alla certificazione dei contratti secondo quanto richiesto dal Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177 per le attività negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
Leggi la prima parte dell’intervista "Ambienti confinati: si devono certificare anche i contratti di appalto?"
Oltre alle certificazioni dei contratti di lavoro è necessario certificare anche i contratti di appalto?
Per rispondere a questa domanda e dopo aver presentato un intervento di Massimo Peca (Ispettore tecnico Ministero del lavoro e delle politiche sociali) al V convegno nazionale sulle attività negli spazi confinati dal titolo “ La certificazione dei contratti di lavoro negli ambienti sospetti d'inquinamento o confinati”, abbiamo realizzato un’intervista a più voci per raccogliere le opinioni di:
- Massimo Peca (ispettore tecnico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione territoriale del lavoro - Servizio ispezione del lavoro - Unità operativa vigilanza tecnica – Vicenza) che nell’intervento aveva indicato come necessaria anche la certificazione dei contratti di appalto;
- Carmelo G. Catanoso (Ingegnere, Consulente in materia di Sicurezza sul lavoro e tutela dell'Ambiente, già membro del Gruppo di Lavoro Sicurezza del Comitato Scientifico della Conferenza Nazionale dei Lavori Pubblici c/o Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, collaboratore e autore di varie riviste e libri in materia di sicurezza) che aveva espresso alcune criticità sulla posizione di Massimo Peca;
- Flavia Pasquini (Vice Presidente della Commissione di Certificazione Dipartimento di Economia Marco Biagi Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) che su queste tematiche relative alla certificazione ex DPR 177/2011 si è confrontata in passato all’interno della propria Commissione di Certificazione.
Nella prima parte dell’intervista abbiamo pubblicato le risposte (alle domande mie e degli altri interlocutori) di Massimo Peca, ora presentiamo le risposte di Carmelo G. Catanoso e Flavia Pasquini.
Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto
La risposta di Carmelo G. Catanoso alla domanda di Massimo Peca:
1. Come può incidere la sola verifica della regolarità del rapporto di lavoro, da lei sostenuta, accertata mediante la procedura di certificazione, sulla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (obiettivo del DPR 177/2011) non considerando l'obbligo previsto dal comma 3 dell'articolo 26 del DLGS 81/2008 (DUVRI/PSC/POS/contratto di appalto e tutto quello che ne consegue nel merito dei contenuti) e la valutazione da effettuare, in particolare, dell'"organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione dell'opera o del servizio" richiesta dalla circolare 48/2004 del MLPS?
Carmelo G. Catanoso: Va premesso che per la gestione della sicurezza nei lavori in appalto all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, il datore di lavoro committente è gravato (art. 26 comma 1 del D. Lgs. n° 81/2008), nei confronti degli appaltatori o dei lavoratori autonomi, dagli obblighi di verifica della idoneità tecnico professionale e di informazione riguardo i rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione ed emergenza adottate. Inoltre, il successivo comma 2 richiede al datore di lavoro committente, agli appaltatori ed ai subappaltatori di cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi nonché di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva. La cooperazione e il coordinamento devono essere promossi elaborando il DUVRI.
Naturalmente, visto che si sta parlando di ambienti sospetti d’inquinamento o confinati, quanto appena detto dovrà essere specificatamente modellato sulla particolare e pericolosa tipologia di lavori da eseguire attraverso una contestualizzazione “spinta” del DUVRI.
Pertanto, visto che l’art. 26 si applica ai contratti d’appalto di lavori, servizi e forniture ed ai contratti d’opera, appare evidente che, ad esempio, un appalto per l’esecuzione della sostituzione di un galleggiante indicatore di livello di una vasca interrata antincendio, possa ritenersi “coperto” dalla citata norma, sempre che il datore di lavoro committente, gli appaltatori e/o i subappaltatori intendano adempiere concretamente ad essa, tenendo conto delle specificità del lavoro da eseguire.
Quindi, il vero problema non è far certificare un contratto d’appalto ma adempiere concretamente ad obblighi che la legislazione vigente già prevede.
Quindi, un datore di lavoro committente deve scegliere con oculatezza il proprio appaltatore verificando preventivamente l’idoneità tecnico professionale, dove la sussistenza documentata di tutti i requisiti fissati dal D.P.R. n° 177/2011 occupa, visto il lavoro da effettuare, una parte fondamentale, e poi attuare quanto operativamente richiesto dall’art. 26 comma 1, lett. b) e comma 2. Il tutto deve poi essere consolidato all’interno del DUVRI che dovrà prevedere anche quanto previsto all’art. 3 del D.P.R. n° 177/2011 e dovrà essere contestualizzato in funzione della specifica operazione da eseguire nell’ambiente sospetto d’inquinamento o confinato. La contestualizzazione del DUVRI potrà avvenire con il Permesso di Lavoro che se, ben strutturato e concretamente applicato, prevedrà quanto necessario per eseguire i lavori in sicurezza, ivi compresa la gestione di eventuali emergenze.
Analogo discorso se i lavori che espongono i lavoratori al rischio derivante da attività in ambienti sospetti d’inquinamento o confinati si debbano svolgere in un cantiere edile o d’ingegneria civile dove, le regole da applicare per il principio di specialità sono quelle del Capo I del Titolo IV del D. Lgs. n° 81/2008. Qui sarà il CSP a prevedere ed integrare nel PSC le regole previste dal D.P.R. n° 177/2011 mentre toccherà al committente verificare l’idoneità tecnico professionale dell’impresa che eseguirà i lavori anche in riferimento ai requisiti previsti per operare negli ambienti sospetti d’inquinamento o confinati. Sarà poi il CSE a verificarne, sul campo, la concreta applicazione.
Quindi, se le norme oggi vigenti (art. 26 e Capo I del Titolo IV del D. Lgs. n° 81/2008) sono applicate correttamente e compiutamente, l’eventuale certificazione dei contratti di appalto da parte degli organi abilitati alla certificazione (art. 76 del D. Lgs. n° 276/2003), risulta inutile e costituisce solo un aggravio burocratico. Infatti, se per sostituire il galleggiante indicatore di livello di una vasca interrata antincendio citata nell’esempio, un appaltatore impiega meno di un’ora, rispettando quanto previsto nel Permesso di Lavoro, altrettanto non può dirsi per la certificazione di questo appalto, visto che l’istruttoria ha solo l’obbligo di concludersi e comunicarne l’esito entro 30 giorni dalla presentazione della richiesta e ciò con le conseguenze facilmente immaginabili.
Inutile, poi, segnalare che la maggior parte degli organi abilitati, indicati all’art. 76 del D. Lgs. n° 276/2003, non hanno neanche lontanamente le competenze per effettuare una verifica tecnica su documenti presentati e ciò senza neanche dimenticare che, ad oggi, non esiste uno standard unico che indichi quali debbano essere i documenti tecnici da presentare con la richiesta di certificazione.
In conclusione, si reputa che le norme di legge oggi vigenti, se correttamente e compiutamente applicate, sono ampiamente in grado di rendere superflua la certificazione dei contratti d’appalto, fermo restando, visto quanto oggi previsto dal D.P.R. n° 177/2011, l’obbligo di certificazione del contratto di lavoro se diverso da quello di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Infine, non sarebbe una cattiva idea creare un apposito Albo delle imprese che operano negli ambienti sospetti d’inquinamento o confinati, alla stregua di quanto fatto per l’amianto e la bonifica da ordigni bellici e “normare” seriamente questa tipologia di lavori modificando il D. Lgs. n° 81/2008 con l’introduzione di uno specifico Titolo.
Le risposte di Carmelo G. Catanoso alle domande di Flavia Pasquini:
1. A suo avviso il DPR n. 177/2011 richiede l'obbligatoria certificazione dei soli contratti di subappalto o anche dei contratti di appalto? Perché?
Carmelo G. Catanoso: Il D.P.R. n° 177/2011 richiede la certificazione solo nel caso in cui il rapporto di lavoro non sia stato costituito con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; in questo caso, il regolamento prevede che i relativi contratti di lavoro siano certificati ai sensi del D. Lgs. n° 276/2003. L’oggetto della certificazione è il rapporto di lavoro mentre è solo al comma 2 dell’art. 2 del D.P.R. n° 177/2011, che viene ribadito il divieto, per le attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, del ricorso a subappalti, se non autorizzati espressamente dal datore di lavoro committente e certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del D. Lgs. n° 276/2003. Su questo argomento è chiara anche la Nota del MLPS n. 37/0011649 del 27/06/2013.
2. A suo parere gli accordi di distacco, le A.T.I., i negozi di affidamento nei Consorzi e i contratti di rete devono essere certificati? E anche i contratti di somministrazione (tra Agenzia e utilizzatore) e i contratti di lavoro in somministrazione (tra Agenzia e lavoratore) devono essere certificati? Perché?
Carmelo G. Catanoso: La certificazione, richiesta dal D.P.R. n° 177/2011, riguarda solo i contratti di lavoro diversi da quello subordinato a tempo indeterminato e non altro (ad eccezione dei subappalti). L’obiettivo è chiaro ed è quello di evitare di avere personale “reclutato all’occasione” per operare all’interno di ambienti sospetti d’inquinamento o confinati, non in possesso di adeguate competenze (conoscenze e capacità documentate) e requisiti psicofisici adeguati. Analoga logica c’è dietro la previsione della certificazione del subappalto; si vuole evitare che un’impresa appaltatrice dopo aver acquisito i lavori da svolgersi in ambienti confinati o sospetti d’inquinamento, subappalti gli stessi ad un’altra impresa senza che questa sia in possesso dei requisiti minimi indicati dal D.P.R. n° 177/2011 nonché mezzi, organizzazione, personale per operare in questi particolari e pericolosi ambienti. Ricordo, infine, che per quanto riguarda la verifica dell’idoneità tecnico professionale, esiste una norma di rango superiore (art. 26 comma 1, lett. a) del D. Lgs. n° 81/2008) che già individua precisi obblighi a carico del datore di lavoro committente che appalta lavori all’interno della propria azienda o unità produttiva. Stesso discorso se i lavori in ambienti sospetti d’inquinamento o confinati sono eseguiti all’interno di un cantiere edile o d’ingegneria civile (Capo I del Titolo IV del D. Lgs. n° 81/2008) non solo da un committente che è anche datore di lavoro ma anche da un committente che datore di lavoro non è (art. 90 comma 9 del D. Lgs. n° 81/2008). Infine, vale la pena di ricordare che in questo caso, l’allegato XVII renderebbe superflua anche la certificazione del subappalto, visto che al p. 3 viene chiesto al datore di lavoro dell’impresa affidataria di verificare l’idoneità tecnico professionale del subappaltatore con gli stessi criteri che sono stati utilizzati dal committente nei suoi confronti (p. 1 dell’allegato XVII). In conclusione, le norme esistono già e basterebbe applicarle concretamente e seriamente senza bisogno di aggiungerne altre che, sovrapponendosi alle esistenti creano confusione e forniscono, a chi non ha mai voluto far nulla, un ennesimo alibi per continuare a non fare nulla.
La risposta di Carmelo G. Catanoso alla domanda di Tiziano Menduto (PuntoSicuro):
Partendo tutti da una stessa normativa, da cosa pensa dipendano le differenze d’opinione e/o interpretative sull’eventuale obbligatorietà della certificazione dei contratti di appalto e subappalto ai sensi del DPR n. 177/2011?
Carmelo G. Catanoso: In questo caso non c’è differenza di opinione o d’interpretazione, perché oggi ciò che è soggetto a certificazione è il rapporto di lavoro e l’eventuale subappalto. Niente altro. Altrimenti, il rischio che si corre è quello di far passare per obbligo di legge ciò che obbligo di legge non è.
In merito all’applicabilità ed alle interpretazioni delle leggi in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro in Italia, in generale, va detto che il nostro sistema prevenzionale è un sistema da “manutenzione a guasto”: dopo che succede qualcosa di grave, si corre ai ripari.
Sia il D. Lgs. n° 81/2008 (pubblicato dopo i tragici fatti di Torino nel dicembre 2007) che lo stesso D.P.R. n°177/2011 (pubblicato dopo i tragici fatti di Molfetta, Cagliari, Mineo, Capua, ecc.), sono la prova che in Italia si legifera solo sotto spinte emozionali ed emergenziali (molo probabilmente, il prossimo intervento riguarderà, dopo i 10 morti di Modugno (BA), le fabbriche di fuochi artificiali).
Quando si legifera sotto spinte emozionali ed emergenziali, la conseguenza è che il “prodotto” non è mai granché per almeno un paio di motivi:
- si lavora di fretta, dopo fatti gravi avvenuti, sotto la pressione politica, per dare una risposta all’opinione pubblica;
- non c’è l’abitudine di coinvolgere, al tavolo dove si scrivono le norme, anche gli attori che già operano nel settore che si vuole “normare” e che, quindi, hanno conoscenza approfondita “dal di dentro” delle dinamiche organizzative, produttive e relazionali specifiche.
E quando parlo di “attori” che operano sul campo, non mi riferisco ai politici della rappresentanza inviati ai tavoli di discussione da associazioni datoriali, sindacali, professionali, ecc.. Parlo di soggetti “indipendenti” in possesso di provate competenze specifiche, selezionati in modo trasparente nel mondo del lavoro.
Comunque, vista l’attuale situazione, quel che ne viene fuori, con questi presupposti, sono “regole” frutto di visioni che risentono sia del poco tempo disponibile che, soprattutto, delle conoscenze esperienziali dei soggetti coinvolti nella redazione ma che, pur indubbiamente pregevoli, essendo maturate in campi particolari (in genere in attività ispettive), non possono che risentirne nella percezione e visione delle dimensioni e complessità effettive del problema.
Pertanto, ciò che ne scaturisce, è quasi sempre un prodotto frutto di una visione particolare che, non abbracciando il problema nella sua complessità, presenta soluzioni di difficile applicabilità, non condivise con gli attori che saranno chiamate ad applicarle sul campo, spesso controverse e, quindi, aperte alle più variegate interpretazioni.
Esempio emblematico è proprio quello degli ambienti sospetti d’inquinamento o confinati dove il “mandato” per il legislatore era relativo alla definizione di un Regolamento per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ma che invece si è esteso, con l’art. 3 (procedure di sicurezza), in un ambito che evidentemente non padroneggiava a sufficienza, visto, ad esempio, quanto scritto a proposito delle attività informative di cui al comma 1. Eppure sarebbe bastato dare un’occhiata alla tanta letteratura tecnica ed alla tanta esperienza operativa soprattutto in chi, il problema Spazi Confinati, lo vive “dal di dentro”.
La risposta di Flavia Pasquini (Commissione di Certificazione Dipartimento di Economia Marco Biagi Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia) alla domanda di Tiziano Menduto (PuntoSicuro):
1. Secondo la vostra Commissione e in relazione alla normativa vigente è corretto ritenere obbligatoria, ai sensi del DPR n. 177/2011, la certificazione dei contratti di appalto e subappalto? Ci sono casi in cui, a vostro parere, non è mai da ritenere obbligatoria? E in questi casi è comunque opportuna?
Flavia Pasquini: In mancanza, per quanto consta, di pronunce giurisdizionali e chiarimenti Ministeriali sul punto, ad avviso della Commissione una interpretazione sistematica del DPR n. 177/2011 dovrebbe condurre a ritenere obbligatoria la certificazione, oltre che di tutti i subappalti in luoghi confinati, anche degli appalti laddove siano possibili e/o rintracciabili interferenze (temporali o spaziali). In ogni caso, anche considerando possibili difformità di interpretazione da parte degli organi ispettivi e nell’ottica di un ulteriore controllo sulla qualificazione dell’impresa esecutrice, anche in mancanza di interferenze può comunque risultare cautelativo ed opportuno procedere alla certificazione del contratto di appalto. Inoltre, nel caso di appalto a un consorzio (è simile l’ipotesi della A.T.I. negli appalti pubblici), laddove l’appaltatore proceda ad affidare l’attività in luogo confinato ad una consorziata, sebbene quest’ultimo negozio di affidamento non sia tecnicamente un subappalto, ad avviso della Commissione è comunque opportuna la certificazione, in considerazione della sostanziale vicinanza tra il negozio di affidamento e il subappalto.
La risposta di Flavia Pasquini alla domanda di Massimo Peca:
1. Qual è la ragione per cui la vostra Commissione, tra i vari documenti, chiede alle aziende che intendono ottenere la certificazione (sia del rapporto di lavoro che per gli appalti), quelli inerenti la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori; come e da chi vengono valutati?
Flavia Pasquini: Benché non tenutavi ai sensi dell’interpretazione letterale del citato DPR n. 177/2011 e senza per ciò stesso potersi né volersi sostituire nei controlli e nelle responsabilità in carico alla committente principale per effetto dell’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008, la Commissione ritiene che il proprio ruolo non possa esaurirsi nella sola verifica formale della correttezza del documento contrattuale. I documenti vengono valutati da parte dei membri della Commissione.
Le risposte di Flavia Pasquini alle domande di Carmelo G. Catanoso:
1. Non ritiene che il legislatore sia andato oltre il proprio mandato quando, in aggiunta ai requisiti per la qualificazione delle imprese (viste le previsioni degli articoli 6, comma 8, lettera g), e 27 del D. Lgs. N. 81/2008), ha inserito l’art. 3 del DPR n° 177/2011 riguardante le procedure di sicurezza la cui vaghezza e imprecisione ha generato molta confusione e il proliferare di interpretazioni non certo univoche?
Flavia Pasquini: L’art. 3 in questione prevede la disciplina delle procedure di sicurezza in senso stretto all’interno del terzo comma. Tali procedure si riferiscono alle procedure di emergenza che, considerati la specificità dell’attività ed i rischi ad essa connessi, appaiono coerenti con la ratio della norma di realizzare un sistema di qualificazione delle imprese. Infatti, le procedure di emergenza costituiscono un elemento organizzativo fondamentale per potere operare nel settore.
2. Cosa ne pensa dell’introduzione di un apposito “Albo” per le imprese e i lavoratori autonomi qualificati per operare negli ambienti confinati e negli ambienti sospetti d’inquinamento?
Flavia Pasquini: Potrebbe sicuramente trattarsi di un utile strumento, soprattutto in un’ottica di semplificazione degli oneri e degli adempimenti a carico delle imprese. In caso di affidamento di lavori, servizi e forniture, infatti, la normativa vigente (cfr. art. 26 d.lgs. 81/2008) pone in capo al datore di lavoro committente l’obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale dei lavoratori autonomi e delle imprese appaltatrici. Posto che quest’obbligo riguarda anche l’affidamento di attività da eseguirsi all’interno di ambienti sospetti di inquinamento o confinati, l’istituzione di un apposito Albo presso il quale siano tenuti ad iscriversi i soggetti che intendano operare in quest’ultimo settore potrebbe incidere positivamente sull’efficienza del relativo mercato, riducendo gli oneri di verifica e di produzione documentale incombenti sulle imprese per ogni singolo appalto. Ciò, ovviamente, a condizione che l’iscrizione all’Albo sia subordinata alla verifica del possesso di tutti i requisiti prescritti dal D.P.R. n. 177/2011.
Questa è la seconda e ultima parte di una intervista a Massimo Peca, Carmelo G. Catanoso e Flavia Pasquini. La prima parte dell’intervista riportava le risposte di massimo Peca ed è stata pubblicata il 18 gennaio 2017.
Il link alla prima parte dell’intervista…
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Rispondi Autore: Bacchetta Adriano Paolo - likes: 0 | 19/01/2017 (10:39:35) |
Leggendo i contenuti espressi dal Collega Catanoso e dalla Dott.ssa Pasquani, che saluto, è evidente la sostanziale inadeguatezza ed erronea estensione della disciplina della certificazione dei contratti di lavoro al tema specifico delle attività di cui al DPR 177/2011. Correttamente il Collega evidenzia come “il vero problema non è far certificare un contratto d’appalto ma adempiere concretamente a obblighi che la legislazione vigente già prevede” anche attraverso “il Permesso di Lavoro che se, ben strutturato e concretamente applicato, prevederà quanto necessario per eseguire i lavori in sicurezza, ivi compresa la gestione di eventuali emergenze”. L’esempio citato, la sostituzione di un galleggiante indicatore di livello in una vasca antincendio, è solo uno dei molteplici casi d’interventi urgenti che (complessivamente) sono solitamente a basso rischio e che, seguendo alla lettera quanto previsto dal DPR 177/2011, oltre alla certificazione dovrebbero prevedere l’informazione preventiva di “almeno un giorno”, ecc.. La maggior parte degli interventi in ambito industriale, sono effettuati “a rottura”, ovvero quando l’improvvisa avaria o condizione di guasto lo richiede. In questi casi l’intervento dev'essere tempestivo ed efficace. Questo non vuol dire lavorare di corsa, esponendo i lavoratori a rischi incontrollati. Anzi. Come ben tracciato dal Collega, una corretta analisi preliminare degli interventi necessari e l'elaborazione delle procedure operative da adottare, associata a un ragionevole impiego dell’istituto del permesso di lavoro, consente la gestione in sicurezza anche delle situazioni di guasto, poiché già analizzate e disciplinate preventivamente nell'ambito del sistema di gestione della sicurezza in azienda. Perfettamente d’accordo sulla necessità di prevedere uno specifico titolo riguardante i confined spaces da inserire nell'81/08, in cui (finalmente) dare piena trattazione del tema, con riferimento alle migliori tecnologie disponibili e alle best-practices internazionali. Oggi, oltre a quanto già sottolineato in merito all’intervento del Collega Catanoso, risultano essere interessanti alcuni passaggi dell’intervento della Dott.ssa Pasquini. Cominciamo con la parte in cui scrive che “In mancanza, per quanto consta, di pronunce giurisdizionali e chiarimenti Ministeriali sul punto, ad avviso della Commissione un’interpretazione sistematica del DPR n. 177/2011 dovrebbe condurre a ritenere obbligatoria la certificazione, oltre che di tutti i subappalti in luoghi confinati, anche degli appalti laddove siano possibili e/o rintracciabili interferenze (temporali o spaziali)”. Ovviamente questa è un’interpretazione della Commissione che, però, non mi vede per nulla concorde. Anche perché, qualche riga dopo scrive ”… anche in mancanza d’interferenze può comunque risultare cautelativo ed opportuno procedere alla certificazione del contratto di appalto”. Cautelativo, perché e per chi? Da un punto di vista strettamente giuslavoristico è evidente, ma in tema di tutela dei lavoratori, se quanto già evidenziato nella prima parte del mio scritto in tema di organizzazione del “sistema sicurezza”, la gestione delle interferenze è già prevista (DUVRI o PSC). Quindi? Non credo possa sfuggire ai lettori attenti, anche il passaggio nel quale la Dott.ssa Pasquini ricorda che “Benché non tenutavi ai sensi dell’interpretazione letterale del citato DPR n. 177/2011 e senza per ciò stesso potersi né volersi sostituire nei controlli e nelle responsabilità in carico alla committente principale per effetto dell’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008, la Commissione ritiene che il proprio ruolo non possa esaurirsi nella sola verifica formale della correttezza del documento contrattuale. I documenti vengono valutati da parte dei membri della Commissione”. Questo si ricollega a quanto ho scritto ieri a commento dell’intervento di Massimo Peca. Il Legislatore, rendendo obbligatoria la certificazione dei contratti di subappalto, ha semplicemente reso obbligatorio questo istituto volontario, senza peraltro dare indicazioni su estensioni delle regole e/o finalità di cui al D.Lgs. 276/03. Quindi, di là di quanto correttamente evidenziato dal Collega Catanoso “La certificazione, richiesta dal D.P.R. n° 177/2011 riguarda solo i contratti di lavoro diversi da quello subordinato a tempo indeterminato e non altro (ad eccezione dei subappalti). L’obiettivo è chiaro ed è quello di evitare di avere personale “reclutato all’occasione” per operare all’interno di ambienti sospetti d’inquinamento o confinati, non in possesso di adeguate competenze (conoscenze e capacità documentate) e requisiti psicofisici adeguati”, ai fini della valutazione dell’effettivo possesso dei requisiti di qualificazione (DPR 177/2011 art. 2), la certificazione dei contratti non aggiunge nulla. Che poi, come peraltro mi risulta sia anche fatto da alcune DTL con personale interno o appoggiandosi agli Organi di vigilanza territorialmente competenti, la Commissione di certificazione abbia ritenuto di estendere la verifica anche agli aspetti legati alla sicurezza, potrebbe assolvere un superiore compito di tutela delle condizioni di salute e sicurezza nel caso di appalto di attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Anche se, come ho già scritto ieri, la questione non è prevedere un ulteriore controllore, bensì garantire che coloro che operano in questo settore, progettando gli interventi, siano adeguatamente formati e in grado di assolvere a tutti gli aspetti necessari per garantire la sicurezza degli addetti. In conclusione, la questione della possibile istituzione di un albo. All'estero, da anni, ci sono regole precise e modalità di training definite che consentono agli operatori e alle aziende attive nel settore, di acquisire specifiche certificazioni per operare in ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Questo però significa, innanzi tutto, definire programmi di formazione unici e vincolanti (cosa che attualmente, purtroppo, non esiste) e un sistema d’indicatori per la qualificazione, chiari e non eludibili. Inoltre, si tratterebbe di stabilire chi potrebbe occuparsi di gestire l’Albo e verificare la rispondenza delle aziende ai requisiti richiesti. In un contesto in cui, dopo oltre cinque anni, non siamo nemmeno in grado di definire i programmi d’informazione art. 2 c1 lettera “d”, credo che l’ipotesi dell’Albo sia solo fantascienza. |
Rispondi Autore: matteo - likes: 0 | 24/01/2017 (11:43:39) |
resto senza parole... Catanoso è il difensore della minoranza che ormai è costretta a combattere per difendere buon senso e logica dall'assalto dei "bollini" e della carta inutile.. |
Rispondi Autore: esterefatto - likes: 0 | 26/01/2017 (11:44:16) |
Non voglio (e non sono in grado) di prendere una posizione precisa sull'argomento. Soprattutto perché una lettura precisa della norma mi sembra contraddire lo spirito della stessa. Ma mi fa meravigliare come "discussioni" e "pareri contrastanti" dovrebbero chiarire una lacuna macroscopica e grave nel chiarire COSA IN REALTA' SI DEVE FARE perché previsto dalla norma pardon perché le lavorazioni siano fatte (organizzate e svolte) in sicurezza. Ma stiamo scherzando? Se ragioniamo sul fatto che tecnici, consulenti tecnici, ispettori debbano "aiutare" per poter far operare in sicurezza, chi probabilmente non ha capito nulla sul come risolvere i difetti / eliminare il rischio di decessi non dovrebbe scrivere LEGGI incomplete. Grazie. |
Rispondi Autore: carmelo catanoso - likes: 0 | 26/01/2017 (12:16:14) |
Esterrefatto, qui si discuteva se una eventuale certificazione dei contratti d'appalto potesse avere o meno una ricaduta positiva sulla sicurezza "sul campo" durante i lavori in uno spazio confinato. Personalmente, il mio parere è negativo come si può leggere nelle mie risposte. Il "cosa" in realtà si debba fare quando si deve lavorare in uno spazio confinato o in un ambiente sospetto d'inquinamento, è noto da decine di anni e cioè almeno formalmente fin dai tempi del DPR 547/1955 (art. 235, 236 e 237)e del DPR 164/1956 (art. 15). Che quanto previsto e noto, poi sia concretamente applicato, è tutta un'altra storia. In merito ai problemi interpretativi, ho già risposto alla domanda fattami da Menduto: non si può continuare a far scrivere le "regole" a soggetti che hanno una visione parziale ed una percezione limitata del problema nella sua applicazione sul campo. Personalmente, le modalità di lavoro negli spazi confinati che utilizzo e consiglio sono quelle che derivano dalle migliori pratiche internazionali oggi presenti. |