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Infortuni mortali: dum romae consulitur, saguntum expugnatur

Infortuni mortali: dum romae consulitur, saguntum expugnatur

Autore: Donato Eramo

Categoria: Infortuni sul lavoro

13/10/2023

Riflessioni sugli infortuni mortali partendo da una frase citata da Tito Livio in epoca romana. Le indicazioni della Commissione di inchiesta, gli infortuni, il caso Taranto e il problema dello scambio tra lavoro e salute.

Torniamo a proporre riflessioni sulla serie di gravissimi incidenti che in questi mesi hanno mostrato come in Italia ci sia ancora molto da fare per arrivare ad una tutela efficace della salute e sicurezza dei lavoratori. In particolare, riceviamo e pubblichiamo oggi un contributo di Donato Eramo, scritto all’indomani del grave incidente ferroviario di Brandizzo, dal titolo “DUM ROMAE CONSULITUR, SAGUNTUM EXPUGNATUR” (che potrebbe essere tradotta come “mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata”).


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DUM ROMAE CONSULITUR, SAGUNTUM EXPUGNATUR

 

Molti autori, compreso chi scrive, hanno pubblicato vari articoli su PuntoSicuro in merito agli “ infortuni mortali”. Perché allora parlare ancora di questo gravissimo fenomeno delle morti sul lavoro? Perché ancora oggi i risultati sono scoraggianti: il fenomeno, infatti, non è in diminuzione, anzi in alcuni anni il numero è aumentato.

 

La scelta della frase “DUM ROMAE CONSULITUR SAGUNTUM EXPUGNATUR” citata da Tito Livio quando, nel 219 a.C., Roma tergiversò e dopo otto mesi di duri combattimenti la città si arrese e Annibale la rase al suolo, vuole sottolineare questa cronica situazione tutta italiana. Citando solo la fase abbreviata: “DUM ROMAE CONSULITUR…”, si vuole evidenziare il proposito di tutti coloro che, a Roma, ancora oggi, invece di agire, tergiversano in inutili discussioni, senza decidere cosa fare concretamente, nella speranza che venga rimosso dal pensiero collettivo la gestione nazionale di questo triste fenomeno da parte dei Ministeri competenti. È noto che la risoluzione richiede decisioni rapide e risolutive, soprattutto politiche, in quanto il fenomeno riguarda mediamente 900 morti all’anno, tre morti sul lavoro ogni giorno, presentando di conseguenza rilevanti problematiche da gestire a livello nazionale, per le successive ricadute a livello comunale, provinciale e regionale, ma che nel tempo si sono consolidate perché difficili da controllare.

 

In sostanza una vergogna tutta italiana e non lo dice solo chi scrive, perché - articolo già in precedenza pubblicato da PuntoSicuro – ha espresso questa precisa e circostanziata indignazione anche l’autorevole “Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e delle sicurezza nei luoghi di lavoro”, la quale, tramite il complesso delle audizioni e degli atti istruttori compiuti, aveva dimostrato come “la superficialità dei controlli, l’incuria e la trascuratezza della pubblica amministrazione insieme a lungaggini burocratiche e confusioni su competenze amministrative”, protrattesi per decenni, avevano aggravato gli effetti delle condizioni generali “in spregio a qualsiasi tutela dell’ambiente e della salute dei lavoratori ed il persistente gravissimo pericolo per la salute della popolazione che non può consentire dilazione alcuna da parte delle autorità competenti”.

 

È passato molto da tempo, quando il Cardinale Salvatore Pappalardo il 4 settembre 1982, pronunciò questa citazione storica, destando grande impressione, durante l'omelia del funerale del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso spietatamente dalla mafia. Il Cardinale, infatti, volle esortare a una maggior vigilanza e presenza dello Stato, nel contesto drammatico degli omicidi eccellenti di mafia di quegli anni.

Anche il vescovo di Pistoia, Fausto Tardelli, in parallelo al Cardinale Salvatore Pappalardo, proprio a proposito dei morti sul lavoro ed in occasione dei funerali di Luana D’Orazio, una giovanissima donna di 22 anni morta tragicamente di colpo, in una fabbrica tessile di Montemurlo, per lo schiacciamento del torace perché rimasta impigliata in un orditoio ('"abbraccio mortale" come definito dal consulente della Procura), in quanto il sistema di sicurezza era stato disattivato in modo tale che l’orditoio, senza protezioni, funzionasse più velocemente, aveva fatto presente che quella dei “morti sul lavoro” è una lunghissima litania che si allunga ogni giorno senza arrestarsi e dove occorre che le cose cambino.

 

In questo contesto si è voluto prendere in prestito la citazione “DUM ROMAE CONSULITUR SAGUNTUM EXPUGNATUR” anche per gli “infortuni mortali” e più in particolare la  prima parte della frase “DUM ROMAE CONSULITUR…”, per indicare tutti coloro che, a Roma, perdono tempo in consultazioni continue senza decidere cosa fare concretamente,  soprattutto da parte dei Ministeri competenti, di fronte a questi continui e costanti infortuni chiamati dai Mass Media anche “morti bianche” per sottolineare che ci sono incapacità a sapere rilevare le responsabilità o le ragioni del perché e come accadono questi incidenti.

 

Mentre scrivo, i quotidiani nazionali titolano che sono morti cinque operai in modo improvviso e violento, falciati da un treno: il Corriere della Sera infatti titola “Strage di operai, l’orrore e le colpe” – Travolti dal treno, cinque morti e due feriti in Piemonte. Mattarella: un oltraggio alla convivenza – Il convoglio a 100 chilometri all’ora ed il quotidiano La Repubblica, a sua volta titola “Erano operai” – Colpiti a morte nella notte, cinque lavoratori sono stati travolti da un treno a 100 km orari mentre stavano lavorando sui binari della Torino-Milano. Il più giovane aveva 22 anni. Un superstite: “L’ho sentito arrivare, salvo perché mi sono buttato”. Mattarella sul posto: un oltraggio morire sul lavoro. E ancora su La Repubblica il giornalista Bruno Giordano scrive: “Ancora un disastro ferroviario e una strage di operai cui seguono le lacrime di coccodrillo di chi per lavarsi la coscienza griderà le solite banalità …”. “Lacrime di coccodrillo”: espressione che sembrerebbe derivi dalla misteriosa tendenza di questi animali a rilasciare le lacrime mentre mangiano, mentre l’uomo, essendo l’unica specie nota a produrre lacrime emotive, fa finta di manifestare emozioni.

 

Ancora una volta, l’ennesima dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che fa seguito ad altre precedenti dichiarazioni, come quella in occasione proprio della “Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro”, quando ha dichiarato che è un motivo prezioso per riflettere sui dati preoccupanti degli infortuni mortali per far crescere la cultura e l’impegno della sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

Cultura ed impegno che istituzionalmente devono essere promossi in primo luogo dalle Istituzioni e più in particolare, dall’INAIL, investendo i propri utili, “premiando” soprattutto quei Datori di Lavoro, Dirigenti e Preposti “virtuosi”, cioè tutti coloro che hanno avuto nel tempo piena capacità organizzativa e gestionale a promuovere soprattutto le «buone prassi» che altro non sono, secondo il Decreto Legge 81/2008, quelle semplici soluzioni organizzative e procedurali coerenti con la normativa, finalizzate a promuovere la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, attraverso la riduzione significativa dei rischi ed il miglioramento delle condizioni di lavoro.

 

Ma cambiare e come, nel momento in cui da più parti si chiede una maggiore cultura e un maggiore impegno per la sicurezza sul lavoro, quando per la prevenzione degli infortuni è noto che non ci sono controlli da parte dello Stato, il quale ha il compito istituzionale di vigilare sull’attuazione concreta delle norme di sicurezza, compito questo che nel suo insieme deve essere efficace nel correggere i comportamenti errati sia dei lavoratori durante le lavorazioni svolte che dei Datori di Lavoro, dei Dirigenti (alter ego dei datori di lavoro) e dei Preposti, i quali nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze devono avere l’avvertenza di interrompere, più in particolare ove oggettivamente è necessario, le lavorazioni a rischio in particolare quelle attività industriali ad alto rischio come quelle svolte, giusto per citarne alcune, nelle industrie edili, alimentari, tessili, metalmeccaniche, manifatturiere, chimiche.

 

E come non citare in materia di attività industriali ad alto rischio il “caso” della ex ILVA di Taranto, oggi ArcelorMittal, che ancora oggi continua ad essere una vicenda emblematica. In una recente intervista fatta al cantante Diodato (al quale bisogna riconoscere, insieme al suo compagno attore Riondino, nati entrambi a Taranto, il loro impegno civile per la difesa della salute e della sicurezza non solo dei lavoratori  dell’acciaieria ma anche la salute dei cittadini del limitrofo Quartiere Tamburi, dove le strutture sanitarie pubbliche di Taranto hanno riconosciuto la nascita di bimbi malformati ed un eccesso di mortalità per tumori polmonari a causa proprio dei gas nocivi emessi dagli scarichi degli altiforni)  gli è stato chiesto: “Chi salva Taranto”. La risposta è stata scoraggiante: “Il progetto è nato da me, Roy Paci, Michele Riondino e da un gruppo di operai, disoccupati e semplici cittadini. Dopo il disastro meteo che ci ha fatto sospendere la maratona abbiamo pensato di mollare. Economicamente si faceva fatica a stare in piedi in un mondo che va in un’altra direzione. Ho ricevuto messaggi di affetto che mi hanno fatto ricredere. A Taranto però non cambia nulla. C’è ancora l’idea che ci possa scambiare “lavoro” e “salute”. Trovo spaventoso vedere chi è rassegnato all’idea che la vita umana valga meno delle priorità economiche. Sembra che ci dica “gli operai muoiono, che ci possiamo fare?”. Mi sembra la stessa differenza che ci fa vedere una distanza abissale tra noi e chi arriva qui a bordo di una barca. Non ha senso, sulla barca ci siamo tutti e ci dobbiamo rimboccare le manche”.

 

Ma il “caso Taranto” non è il solo in Italia, basta consultare i dati INAIL, per conoscere sia i territori in cui accadono questi “infortuni mortali” che il loro decremento o il loro aumento al Nord, al Centro, al Sud o nelle Isole. In definitiva, per molte realtà industriali, si deve prendere atto drammaticamente che “non deve cambiare nulla e si deve “mollare”, perché scambiare “lavoro” e “salute” è una scelta “obbligata” da parte dei lavoratori. Ancora oggi, infatti, i lavoratori di Taranto, e più in particolare dei cittadini del confinante Quartiere Tamburi, di fatto si sono totalmente arresi perché continuano a respirare i gas di scarico degli altiforni, rendendosi pienamente conto delle conseguenze di questa decisione, fortemente consapevoli di dovere accettare i danni, anche mortali, per la propria salute e quella dei familiari, in cambio di un cosiddetto “piatto di pasta” giornaliero, proprio per paura di non riuscire economicamente a sopperire ai bisogni primari per se stessi e per i loro familiari, causa la nota disoccupazione cronica del Sud, dove, ancora una volta, l’assenza dello Stato è la conseguenza di questo modo di lavorare. Da non trascurare il silenzio delle Istituzioni sugli infortuni, sulle malattie professionali, sugli incidenti e sugli infortuni mortali che occorrono anche a Dirigenti e Preposti (non ci sono dati, informazioni e statistiche) che lavorano negli stessi ambienti di lavoro.

 

Che cosa fare? La risposta attuale è che si è obbligati dallo Stato a “mollare”, a rinunciare ai propri diritti, perché rinunciare consente alle Istituzioni competenti dello Stato di non fare nulla come attualmente accade e di non fare i dovuti controlli. In tal senso, il parere espresso dalla “Commissione Parlamentare” di inchiesta sul fenomeno degli infortuni mortali lo dimostra ampiamente.

 

 

Donato ERAMO

Aviation Safety Engineer già Director Occupational Safety ALITALIA Group



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