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Un anno e’ passato: analisi e riflessioni per una cambiamento nella formazione della sicurezza sul lavoro

Si chiude nel peggiore dei modi un anno che, pur tra luci ed ombre, aveva visto un sussulto di iniziativa e di speranza con l’emanazione della legge 123 dell’agosto scorso. Di Rocco Vitale, Presidente Aifos.

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Un anno e’ passato. Analisi e riflessioni per una cambiamento nella formazione della sicurezza sul lavoro.
Di Rocco Vitale, Presidente dell’Aifos, Associazione Italiana Formatori della Sicurezza sul Lavoro
 
Per la sicurezza sul lavoro un tragico colpo. Si chiude nel peggiore dei modi un anno che, pur tra luci ed ombre, aveva visto un sussulto di iniziativa e di speranza con l’emanazione della legge 123 dell’agosto scorso.
Le tragiche vicende delle ultime settimane, di questo bollettino quotidiano di morti e di infortuni sul lavoro, esprimono sconcerto e preoccupazione.
La grande rilevanza che ne hanno dato i media e le manifestazioni con le iniziative di solidarietà esprimono un’esigenza sentita e vera: partecipe ed allo stesso tempo incredula e preoccupata.
Le quotidiane dichiarazioni di uomini del governo, sindacalisti, amministratori ed imprenditori spesso appaiono più dichiarazioni di rito, anche in buona fede, che di sostanza.
Assistiamo, da un lato, al continuo richiamo per aumentare gli ispettori e fare più vigilanza. Osservo modestamente che sono sei mesi che viene raccontato, in tutte le salse, che ci sono 300 nuovi ispettori in arrivo ma siamo sempre in attesa del loro arrivo! E si pensa con ciò di risolvere il problema? Siamo seri. Si tratta indubbiamente di un segnale positivo cui deve seguire una politica delle ispezioni e del loro coordinamento.
 
Coordinamento della vigilanza e delle ispezioni
Tra ASL, Direzioni Provinciali del Lavoro, Inail, Ispesl, Inps, Vigili del Fuoco, Corpo Forestale, Carabinieri, Vigili urbani e provinciali vi è una pletora di soggetti che, a vario titolo, svolgono o possono fare delle ispezioni.
Il Decreto 123/07 prevedeva che la Provincia assumesse tali compiti di coordinamento. Ma per fare sul serio delle azioni e non solo atti deliberativi.
La scelta del legislatore è giusta in quanto le previste, e non funzionanti Commissioni regionali, svolgono solo compiti di indirizzo e non possono essere operative. Allo stesso tempo affidare solo alle ASL e far cadere sulle loro spalle tutto il peso delle ispezioni vuol dire non voler cogliere le potenzialità presenti in una pletora di organismi pubblici che, a vario titolo, si occupano anche di sicurezza, di ispezioni e di vigilanza.
Sarebbe interessante, come avviene in altri paesi europei che le ispezioni fossero svolte dagli “Ispettori del lavoro”. Una noterella storica. Gli Ispettori del lavoro provengono dalla cultura europea del lavoro cui l’Italia, fin dagli anni ’30, con il prof. Devoto diede un grande ed interessante contributo. Ad oggi in molti paesi europei esistono ed operano solo gli “Ispettori del Lavoro” mentre in Italia sono ormai una pletora gli enti e gli organismi che dovrebbero svolgere ispezioni con il risultato che tutti conosciamo.
Però dobbiamo essere realistici.  Non avremo mai più la sola figura dell’”Ispettore” (troppi interessi, posizioni consolidate, enti, ruoli, dirigenti, strutture, ecc.) e allora pur tenendoci questa frammentarietà ispettiva diamo a qualcuno i compiti di coordinamento vero ed effettivo.
Avanzo una modesta proposta. Indipendentemente dall’ente, si crei all’interno di ciascuno la figura – professionalmente preparata – di “Ispettore del Lavoro” e così facendo ciascuna amministrazione non verrà esautorata ma coloro che sono chiamati a coordinare sanno che coordineranno gli “Ispettori” e non le burocrazie.
 
Formazione solo formale
Al superamento dei 1000 morti nell’anno appena trascorso, come ci dicono i dati statistici provvisori, non si vede via d’uscita.
Alla legittima richiesta di nuove leggi si risponde che basterebbe applicare quelle che ci sono.
In effetti, tutti coloro che svolgono attività di sicurezza sul serio, sanno che le leggi ci sono e basta applicarle. Ma questo è il problema. L’applicazione della norma che nel nostro paese è più di forma che di sostanza.
Vorrei fare un esempio che riguarda, direttamente, la nostra categoria: i formatori.
L’altro giorno le parrucchiere di mia moglie sono andate, per 4 ore nella giornata di lunedì, a svolgere il corso di informazione previsto dall’art. 21 D.Lgs. 626/94 organizzato da una associazione di artigiani. Buona cosa. Informazione, conoscenza delle norme, piccole regole dell’emergenza. ecc. Però le parrucchiere mi hanno detto che si sono annoiate a morte in quanto si sono ritrovate in una sala con altre 50 persone appartenenti a categorie differenti.
Il docente ha raccontato, per un’ora e mezza, la legge. Facendo vedere slides con tutti gli articoli del D.Lgs. 626/94: la cosa ovviamente non ha ne interessato né entusiasmato nessuno.
Poi venendo all’analisi dei rischi presenti sul luogo di lavoro ha trattato il tema delle macchine utensili (che interessava solo i pochi apprendisti di un’aziendina metalmeccanica), poi ha parlato dei carrelli elevatori, dei carri ponte, del rischio chimico e via via.
Per l’antincendio ha illustrato cosa significa il triangolo del fuoco e le varie classi di incendio. E poi, avvicinandosi l’ora della conclusione, ha distribuito a tutti un libretto di oltre 100 pagine contenete tutta la legge sulla sicurezza con evidenziati gli obblighi del datore di lavoro ed in bella evidenza tutte le sanzioni.
Parliamoci chiaro. Una volta si diceva che è meglio questo tipo di informazione che niente. Bisogna avere il coraggio di affermare che questo tipo di informazione non serve a nulla: anzi è diseducativa ed allontana i lavoratori dalla cultura della sicurezza.
Serve solo a dire di aver adempiuto alla legge. Ma ne siamo proprio sicuri?
La Corte di Cassazione (anche con una recente sentenza del 18 maggio 2007) ha indicato l’obbligo della formazione come atto non meramente formalistico degli obblighi di legge.
 
 


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Confusione e pressapochismo
Si deve osservare, al proposito, ancora una volta la confusione regnante tra l’art. 21 e l’art. 22. Si tratta di due aspetti diversi e differenti di cui uno non esclude l’altro e anzi ne sono complementari e armonizzati ma non confusi in un tutt’uno.
L’informazione deve essere data a tutti i lavoratori. La legge dice chiaramente quali sono le nozioni che i lavoratori devono conoscere. Ma tutto ciò avviene per davvero?
Nei corsi, con decine e decine di persone provenienti da aziende diverse, vengono dati i nominativi del RSPP, del medico competente e degli incaricati al primo soccorso ed alla prevenzione incendi?  In questo caso anche i formatori hanno la loro responsabilità: grave e grande. Non possono trascurare l’informazione di questi elementi fondamentali. Raccontare articolo per articolo il 626 non serve quasi a niente perché il vero problema resta quello di conoscere i rischi presenti sul luogo di lavoro, le misure di sicurezza e chi fa che cosa? L’insegnamento della legge è operazione semplicistica di esercizio puramente formalistico.
Una volta assolto, bene, l’obbligo dell’informazione ogni lavoratore deve ricevere una adeguata “formazione” correlata alla propria mansione ed all’ambiente lavorativo.
 
La formazione inadeguata
La formazione ricade sotto la responsabilità dei formatori. Buoni formatori, spesso, si trovano nella condizione di fare semplici lezioni e non attività formativa. Infatti una formazione senza la verifica finale degli apprendimenti e soprattutto che non produce cambiamenti resta una bella lezione teorica. E per verifica dell’apprendimento lo strumento dei test è l’inizio e non la conclusione del percorso. Non sono sufficienti dieci domande a risposta multipla per verificare l’apprendimento: dipende dal contesto in cui sono state poste e soprattutto dal modello di correzione e partecipazione alla discussione. Infine solo il monitoraggio dell’apprendimento in termini di cambiamento, da svolgersi con la formazione continua, assicurano l’efficacia dell’azione formativa.
In questo senso, più della legge, la Corte di Cassazione con le sue sentenze ha indicato un percorso per procedere correttamente nell’attuazione della formazione. Molte sentenze hanno evidenziato un approccio “semplicistico” ad una problematica di vitale interesse per la prevenzione degli infortuni come è la formazione.
Sulla base di dei giudizi e delle sentenze della Corte è possibile indicare quali solo i principali indici di una formazione ritenuta inadeguata.
·                     La formazione è spesso incoerente ed insufficiente con i rischi aziendali in quanto svolta con interventi di poche ore, spesso, a carattere episodico. La mancata formazione sui veri rischi dell’azienda nonché una formazione indifferenziata, uguale per tutti, che non tiene conto delle mansioni, età, esperienza, sesso.
·                     Interventi pseudo formativi come l’adozione di linee guida generiche e distribuzione “solo” di manuali, presenti in commercio, acquistati e distribuiti ai lavoratori senza azioni formative.
·                     Uso di strumenti basati unicamente sull’autoformazione laddove i lavoratori seguono da soli un videocorso oppure la formazione basata solo su e-learning. Questi sono strumenti multimediali didattici, utili ed importanti, solo se utilizzati dal docente all’interno delle azioni formative e non possono sostituire in alcun caso una vera e propria formazione.
·                     Cattiva organizzazione dei corsi e mancata valutazione dei livelli di apprendimento. Errata o semplicistica somministrazione dei test e assenza totale di osservazione successiva relativa ai comportamenti ed ai cambiamenti. Inadeguatezza della sede formativa ed orari di svolgimento serali dopo il lavoro. A ciò si aggiunga spesso l’incompetenza dei docenti che trattano di tutto.
·                     La inadeguatezza della progettazione formativa è stata più volte richiamata anche dall’Agenzia Europea per la Salute in quanto, spesso, l’intervento formativo non risponde alle caratteristiche comportamentali ed ai bisogni dei lavoratori.
Non servono ulteriori nuove leggi ma, sicuramente, la loro precisazione e soprattutto la coerenza dei comportamenti dei soggetti e degli operatori a tutti i livelli.
   
Una prospettiva
La formazione basterebbe farla sul serio. Certamente una adeguata normativa potrà contribuire alla sua definizione soprattutto nei termini di identificazione dei soggetti formatori (iniziata con gli Accordi tra Stato e Regioni) nonché nell’accreditamento dei formatori. Naturalmente il richiamo alle responsabilità dell’azienda sono alla base di un nuovo modo di intendere la formazione nel suo contesto di “effettività” e non solo di adempimento normativo.
In questa direzione il Titolo I, del Testo Unico in discussione, presenta una importante novità nella puntualizzazione del ruolo e delle responsabilità dei Dirigenti e dei preposti che devono affiancare il datore di lavoro.
Infatti oltre alla definizione di “dirigente” e “preposto”, quali soggetti attuatori delle disposizioni di legge, gli obblighi del datore di lavoro sono ampliati al dirigente ed uno specifico articolo riguarda i preposti.
Si tratta di una presa d’atto chiara e decisa, già definita dalla giurisprudenza sentenziale, che vede nelle responsabilità del processo formativo circolare, quale continuo interagire tra formazione e attuazione, controllo e valutazione dei rischi, lo svolgimento del ruolo attivo non solo del Datore di lavoro ma soprattutto dei dirigenti e preposti aziendali.
Al datore di lavoro, responsabilizzato più per la sua “titolarità di spesa” che non dell’importanza formativa si aggiungono i due soggetti che, all’interno dell’organizzazione aziendale, ne rispondono in termini di competenze decisionali, operativi ed esecutivi.
Si tratta di attuare un percorso di adeguatezza e di effettività della formazione.
L’anno 2008 viene indicato dall’Agenzia Europea di Bilbao come quello della “valutazione dei rischi” ed in questo contesto deve interagire una buona formazione non ridotta al rispetto formale della normativa.
La formazione richiede una azione continua e positiva svolta dai datori di lavoro e supportata da dirigenti e preposti volta a verificare, tramite docenti e formatori, l’effettivo apprendimento che deve produrre il cambiamento dei comportamenti nelle attività lavorative.
 
“… si danno battaglia contendendosi un pallone ovale, vischioso e imprendibile che nessuno da fuori riesce a vedere..”
Sono gli uomini del Rugby, uno sport che simboleggia la tenacia, la forza, la resistenza, il coraggio ed il gruppo che fa amicizia e forza di gioco.
Non mollare ed andare “alla meta” è quanto fa chi lotta per la giustizia, per la coerenza e la correttezza nel rispetto delle regole e della Legge.
Un parallelo con uno sport che, come per chi lotta per la sicurezza, “afferra il pallone con le mani e parte come veloce verso l’opposta linea di fondo” la linea della legalità.
Un pallone simbolo di abnegazione altruismo e sacrificio, per un gioco collettivo fatto dalla compartecipazione di tutti i giocatori, conteso tra le mani di chi mette al centro l’uomo ed il rispetto per diritti del cittadino.
Segnare un punto dopo l’altro fino a raggiungere la meta, la vittoria, è frutto dell’impegno di squadra, di una forza unita che necessita affiatamento, condivisione degli stessi valori, lealtà ed altruismo fino al raggiungimento dell’obiettivo.
La palla è il centro del gioco come la sicurezza al centro della società civile: un ovale imperfetto costruito dalle sapienti mani di chi, con lavoro artigianale minuzioso e paziente, ha saputo cucire con impegno le diverse parti per costruire un unico oggetto, simbolo di un solo traguardo.
La sicurezza, per il lavoro dell’individuo, va agguantata con mani forti e decise e non può essere calciata ma va protetta, con compattezza di squadra, fino alla meta.
Un gioco che, come ogni sport, aiuta a crescere ed è incentivo di valori sani per proiettare nel futuro un uomo capace di rappresentare un saldo punto della sicurezza!
 



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Rispondi Autore: Pier Giorgio Confente - likes: 0
08/01/2008 (09:06)
La critica alla formazione mi sembra centrata, se la formazione non morde la sostanza è solo perdita di tempo e di denaro!
La formazione, certo deve prevedere una parte teorica di impostazione, ma poi deve scendere nella specifica azienda, nello specifico ambiente e posto di lavoro.
La mia esperienza mi dice che solo in tal modo il lavoratore è interessato e partecipa attivamente!
Basta con i programmi tipo master teorico ed avanti con indicazioni concrete sul campo!
Il formatore quindi non è "un mestiere" ma deve essere un esperto di un dato ciclo produttivo e/o macchinario e/o ambente.

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