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Le caratteristiche dei tessuti per la protezione dai raggi solari
Firenze, 27 Lug – Quali sono i fattori che influenzano l’esposizione alle radiazioni solari? E quali le caratteristiche che influenzano la capacità protettiva dei tessuti? Sono due domande a cui è importante rispondere per migliorare la protezione del nostro corpo dagli effetti dannosi della radiazione UV, specialmente se siamo lavoratori outdoor e lavoriamo in modo continuativo sotto i raggi del sole.
Adeguate risposte a queste domande e suggerimenti per adottare idonee misure di prevenzione li troviamo in intervento che si è tenuto al seminario “ Piano mirato regionale sul rischio di radiazione ultravioletta solare nei lavoratori outdoor” (Firenze, 18 aprile 2011).
L’intervento “Protezione degli indumenti dal rischio UV”, a cura di G. Zipoli e D. Grifoni dell’ Istituto di Biometereologia (IBIMET) del CNR, inizia indicando i fattori che influenzano l’esposizione alla radiazione UV (RUV):
- “la radiazione UV presente nell’ambiente;
- quanta parte di tale radiazione arriva sulle varie parti del corpo umano;
- durata dell’esposizione”.
E ricorda che “per una persona che sta in piedi le parti del corpo più esposte risultano quelle orizzontali perché in estate alle nostre latitudini sono quelle che, soprattutto nelle ore centrali del giorno, ricevono maggiori quantità di radiazione: vertice della testa, spalle, dorso dei piedi, parte superiore dei lobi degli orecchi e naso”.
Dopo aver riportato dati sull’esposizione della testa, sull’esposizione degli occhi, sull’esposizione in funzione dell’attività svolta, il relatore indica alcune misure di protezione dei lavoratori all’aperto:
- “evitare esposizioni dirette durante le ore centrali del giorno in estate e primavera;
- stare all’ombra;
- indossare occhiali da sole e abiti appropriati alla protezione;
- indossare cappelli a tesa larga;
- usare occhiali ‘avvolgenti’;
- usare creme protettive con UPF>30;
- evitare esposizioni volontarie addizionali, lettini solari”.
In particolare l’UPF (Ultraviolet Protection Factor) è, come per le creme protettive, un “indicatore di quanto protegge dal rischio UV un dato indumento. In alcuni paesi viene indicato anche con l’acronimo CPF (Clothing Protecion Factor)”.
Veniamo dunque alla risposta relativa alle caratteristiche che influenzano la capacità protettiva dei tessuti:
-porosità del tessuto (cover factor): con questo parametro “si intende indicare la dimensione media degli spazi vuoti tra le fibre di cui il tessuto è costituito. Questo è il fattore guida rispetto agli altri dal momento che è evidente che tanto più lasca è la struttura del tessuto tanto maggiori sono le dimensioni degli spazi liberi da fibre attraverso cui la radiazione solare diretta può passare arrivando a colpire la pelle. Nella letteratura questo parametro è identificato col termine di “cover factor” (coefficiente di copertura) e si trovano riferimenti al fatto che per assicurare un livello minimo di protezione un tessuto deve avere un cover factor di almeno il 93% (ovvero il 93% della superficie del tessuto interessata da fibre e 7% da spazi)”;
-natura della fibra: la composizione chimica della fibra determina il tipo di interazione con la radiazione che la colpisce. “Ad esempio lino e cotone, povere di pigmenti o di altre molecole tipo lignina, hanno scarsa capacità di assorbire la radiazione UV. Tra i tessuti sintetici quelli in poliestere in ragione della presenza di anelli di benzene nella catena polimerica mostrano un alta efficacia nel bloccare la radiazione UV, anche se conviene sottolineare che la loro efficienza bloccante decresce molto nella banda UV-A (320-400 nm). Indumenti con questi tessuti (anche in assenza di coloranti ovvero colorati in bianco) sono quelli più protettivi anche se risultano poco confortevoli dal punto di vista degli scambi di calore e umidità che soprattutto nel periodo estivo influenzano fortemente il grado di confort degli indumenti;
-trattamento: trattamenti che modificano la porosità dei tessuti modificano anche le caratteristiche di protezione UV. “Così se le fibre vengono in vario modo stirate tende ad aumentare la porosità del tessuto. Ciò può avvenire per esempio anche indossando indumento troppo stretti per la propria taglia. Ovviamente è vero anche il contrario”;
-colore: il colore di un tessuto ha una positiva efficacia protettiva “a patto che il cover factor del tessuto sia > al 93%. In linea di massima possiamo dire che i colori più scuri sono quelli che concorrono a dare un maggior grado di protezione al tessuto come riscontrato tipicamente per il nero e il blu; ciò anche in relazione al fatto che assorbendo più efficacemente la radiazione che colpisce le fibre su cui sono applicati riduce la componente che viene diffusa in tutte le direzioni quindi anche verso l’interno del tessuto e verso la pelle”. Inoltre “maggiore è la quantità di colorante maggiore è la sua efficacia. In ogni caso le capacità UV assorbenti delle essenze coloranti possono manifestarsi anche in assenza di colorazione scura; in questo caso è la composizione chimica del colorante che determina una riduzione nella trasmissione dell’UV (esistono essenze coloranti ricche, ad esempio in flavonoidi, che notoriamente hanno caratteristiche di elevato assorbimento dell’UV)”;
-umidità: “se il tessuto è bagnato perde in parte le sue proprietà protettive in ragione del fatto che la presenza di acqua con un indice di diffrazione assai diverso da quello dell’aria favorirebbe la trasmissione della radiazione. Tessuti di cotone, molto idrofilo, risentono quindi maggiormente di questo fattore passando per esempio da un UPF di oltre 50 a uno di 32”;
-presenza di additivi: nell’intervento si indica che “sono state identificate sostanze non propriamente coloranti che conferiscono ai tessuti alte caratteristiche di protezione UV, tra queste una menzione particolare merita l’ossido di titanio, TiO2. Questa molecola ha un alto poter assorbente nella banda UV come risulta infatti dal suo uso anche in alcune creme solari. Grazie all’uso di tali composti anche i tessuti di cotone” – “caratterizzati da alti parametri di confort termoudometrico”, cioè con riferimento a calore e umidità – “possono raggiungere valori molto alti dell’indice di protezione ed è stato dimostrata la persistenza di tale caratteristica anche dopo più di 50 lavaggi a macchina”;
-forma: “questo parametro si riferisce in modo particolare ai cappelli. Cappelli con visiera (tipo baseball) non proteggono le orecchie, né il collo anche se ombreggiano fronte, occhi e in parte il naso”.
L’intervento si conclude ricordando che gli indumenti possono effettivamente “rappresentare un importante elemento di protezione dal rischio di sovraesposizione alla RUV a patto che siano caratterizzati da un UPF almeno superiore a 15”.
Il problema è che il valore di UPF di un capo di abbigliamento è in realtà “determinato da molti fattori per cui risulta difficile a priori dare indicazioni definitive in mancanza di una certificazione del capo rilasciata dopo analisi di laboratorio che prendano in considerazione il peso di ciascuno dei fattori sopra discussi”.
Ad esempio una maglietta in cotone (molto confortevole in estate) “può avere valori molto diversi di UPF in funzione della densità del tessuto e del colore o additivo applicato”. Mentre capi in poliestere o con alte percentuali di questo tipo di fibra “risentono molto meno della variabilità che gli altri fattori possono esercitare ma il loro basso grado di confort estivo li rende poco apprezzati e quindi praticamente inutilizzabili”.
L’intervento sottolinea tuttavia che recentemente sono stati fatti dei test su alcuni tessuti di cotone e lino tinteggiati con coloranti di origine naturale (e quindi anche a basso grado di allergenicità) che hanno dato risultati “incoraggianti”.
Tuttavia resta ancora “da valutare la persistenza di queste caratteristiche nel tempo”.
“ Protezione degli indumenti dal rischio UV”, D. Grifoni e G. Zipoli (CNR Firenze), intervento al seminario “Piano mirato regionale sul rischio di radiazione ultravioletta solare nei lavoratori outdoor” (formato PDF, 1011 kB).
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