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Priorità dei dispositivi di protezione collettiva su quelli individuali

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Industria siderurgica, lavorazione metalli

28/03/2011

L’uso dei dispositivi di protezione collettiva è prioritario rispetto a quello di protezione individuale. Il mancato uso di un DPC costituisce colpa nel caso di un infortunio sul lavoro collegato all’utilizzo di un DPI inadeguato. A cura di G. Porreca.

Priorità dei dispositivi di protezione collettiva su quelli individuali

L’uso dei dispositivi di protezione collettiva è prioritario rispetto a quello di protezione individuale. Il mancato uso di un DPC costituisce colpa nel caso di un infortunio sul lavoro collegato all’utilizzo di un DPI inadeguato. A cura di G. Porreca.

Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 34789 del 27 settembre 2010 (u. p. 22 giugno 2010) -  Pres. Campanato – Est. Iacopino– P.M. Delehaye - Ric. C.C.L..
 
Commento a cura di Gerardo Porreca.
 
L’uso dei dispositivi di protezione collettiva ( DPC) è prioritario rispetto a quello dei dispositivi di protezione individuale ( DPI): è una affermazione questa che discende dalle disposizioni di legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro e dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione che riguarda un infortunio sul lavoro occorso ad un lavoratore a causa della inidoneità del dispositivo di protezione individuale che gli era stato fornito e che adoperava al momento dell’evento infortunistico.
 
Se i mezzi di protezione individuale forniti ai lavoratori, sostiene la suprema Corte, si dovessero rivelare inadeguati a garantire la massima sicurezza e se sia comunque possibile raggiungere un più elevato livello di tutela attraverso la fornitura di mezzi collettivi di protezione la mancata adozione di questi ultimi costituisce colpa a carico del datore di lavoro se l’evento infortunistico risulta collegato al dispositivo di protezione individuale inadeguato.


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Il fatto e l’iter giudiziario.
 
Il Tribunale ha assolto per insussistenza del fatto l’amministratore unico di una società dal reato di lesioni colpose, con violazione degli articoli 4 e 263 del D.P.R. n. 547 del 1955, lesioni subite da un lavoratore dipendente che operava nel reparto fonderia dello stabilimento con mansioni di colatore.
Durante la colata del metallo fuso dalla siviera negli stampi, infatti, (si trattava di operazione che veniva eseguita manualmente) era fuoruscito un getto che aveva investito al piede destro il lavoratore procurandogli delle ustioni.
A seguito della impugnazione fatta dal Procuratore Generale, la Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputata in ordine al reato ascrittole perché estinto per prescrizione. Successivamente hanno però proposto ricorso per Cassazione i difensori dell’imputata ponendo in evidenza che la Corte di Appello non si era soffermata sulla effettiva efficacia della soluzione proposta dagli inquirenti e consistente in una protezione collettiva costituita da uno schermo di difesa sostenendo, altresì, che l’installazione di tale schermo non avrebbe in concreto potuto evitare l’evento e ponendo in evidenza, inoltre, che, secondo quanto dichiarato da un teste, l'applicazione delle barriere avrebbe anzi ampliato il rischio e reso più difficoltosa ogni operazione.
 
Le decisioni della Corte di Cassazione e le motivazioni.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dichiarandolo inammissibile ed ha confermata la condanna dell’imputata.
La stessa Corte ha posto in evidenza che l'azienda, di cui la ricorrente era amministratore unico, aveva ritenuto di potere far fronte ai rischi derivanti dal possibile contatto con il materiale di fusione, ai quali erano esposti i lavoratori, mediante l'adozione di presidi di protezione individuale, ritenendoli più efficaci rispetto ad un sistema di protezione collettiva e ciò, secondo la ricorrente, era avvenuto in considerazione della circostanza che non era possibile trovare un sistema che, in via preventiva, evitasse la possibile proiezione di scorie incandescenti e per la convinzione inoltre che l'installazione di barriere di protezione avrebbe addirittura ampliato i rischi convogliando gli eventuali materiali verso l'alto e, quindi, verso il viso e le spalle del colatore.
 
La Corte di Appello, invece, aveva rilevato che le protezioni personali messe a disposizione dall'azienda erano del tutto inidonee, tanto che la parte lesa, nonostante fosse munita di una tuta ignifuga, di scarpe antinfortunistiche, di ghette e di quanto altro attinente sempre alla protezione individuale, era rimasta ustionata, non essendo il suo abbigliamento resistente al materiale incandescente per cui sarebbe stato necessario installare delle protezioni collettive mediante adatti schermi od altri mezzi idonei allo scopo di salvaguardare gli operai dagli schizzi e dalla fuoruscita di metallo fuso durante l'operazione di colatura.
 
“Qualora l'installazione di schermi di protezione e l'uso di indumenti da lavoro ignifughi si fossero rivelati non sufficienti”, ha così concluso la Sez. IV, “si sarebbe dovuto pensare ad altri sistemi di protezione più idonei, sospendendo nel frattempo la produzione per non esporre ai rischi i dipendenti”.
 
Corte di Cassazione - Sezione IV Penale - Sentenza n. 34789 del 27 settembre 2010 (u. p. 22 giugno 2010) -  Pres. Campanato – Est. Iacopino– P.M. Delehaye - Ric. C.C.L..  - L’uso dei dispositivi di protezione collettiva è prioritario rispetto a quello dei dispositivi di protezione individuale. Il mancato uso di un DPC costituisce colpa nel caso di un infortunio sul lavoro collegato all’utilizzo di un DPI inadeguato.
 
 
 
 


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Rispondi Autore: Vincenzo Pasquale immagine like - likes: 0
28/03/2011 (09:10:58)
La riduzione della velocità dei veicoli elettrici che operano in un ambiente di lavoro, può essere individuata come un sistema di protezione collettiva nei confronti dei pedoni presenti nello stesso ambiente (oltre all'adozione di scarpe di sicurezza come DPI)?
Grazie anticipatamente per l'attenzione che vorrette porre al mio quesito.

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