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Imparare dagli errori: contratti atipici, flessibilità e insicurezza

Imparare dagli errori: contratti atipici, flessibilità e insicurezza
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Imparare dagli errori

01/04/2021

Esempi di infortuni di lavoro avvenuti a lavoratori con tipologie contrattuali flessibili e/o atipiche. L’utilizzo di una gru a ponte e le attività di pulizia e facchinaggio in una falegnameria industriale. La flessibilità e il senso di insicurezza.

 

Brescia, 1 Apr – Come ricordato in molti nostri articoli le varie tipologie contrattuali flessibili e/o atipiche – con riferimento a contratti di lavoro non abituali, diversi dai tradizionali contratti di lavoro dipendente a tempo indeterminato e dalle forme di lavoro autonomo – sono soggette spesso a rischi più elevati di infortunio rispetto agli altri lavoratori e richiedono un’analisi attenta per elaborare eventuali specifiche misure di protezione.

 

Proprio in relazione alla crescente affermazione di lavori atipici caratterizzati da flessibilità delle prestazioni  - in termini di durata, organizzazione, mansione, sede di lavoro, … - abbiamo cominciato nelle scorse settimane a dedicare alcune puntate di “Imparare dagli errori”, rubrica dedicata al racconto degli infortuni professionali, proprio ad alcuni infortuni, molto diversi tra loro, che avvengono con contratti atipici. In questa puntata ci soffermiamo in particolare su incidenti avvenuti ad alcuni lavoratori interinali (una tipologia di lavoro che è stata nel tempo sostituita da altre forme di lavoro temporaneo).

 

Le dinamiche infortunistiche che presentiamo sono tratte, come sempre, dall’archivio di INFOR.MO., strumento per l'analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

 

Questi gli argomenti trattati:


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Gli infortuni professionali avvenuti a due lavoratori interinali

Nel primo caso l’incidente avviene durante l’utilizzo di una gru a ponte.

Un lavoratore, con contratto interinale, si trova nel deposito interno di lastre dove deve scaricare, mediante un carroponte, lastre da un carrello portalastre per trasferirle nelle apposite aree di deposito.

Il lavoratore provvede a manovrare il carroponte che si trova a pochi metri dal carrello porta lastre. Per manovrare il carroponte usa il radiocomando. Al carroponte sono agganciate le funi di acciaio (braghe) che servirebbero per imbracare le lastre da movimentare.

Mentre il lavoratore fa traslare il carroponte verso il carrello da scaricare, le funi citate agganciano delle lastre che sono appoggiate ad un cavalletto lungo il percorso; le lastre agganciate vengono rovesciate verso il lavoratore che rimane sotto le stesse (schiacciamento torace).

Dagli accertamenti “risultava che le funi avevano agganciato le lastre facendole rovesciare sul lavoratore che manovrava il carroponte. Il cavalletto su cui erano poggiate le lastre non aveva paletti a proteggere dalla caduta delle lastre. Le lastre non erano posizionate in modo da non cadere a seguito di una sollecitazione. I posti di passaggio non erano organizzati con spazi adeguati”.

 

I fattori causali diretti rilevati:

  • “il cavalletto su cui erano poggiate le lastre non aveva paletti a proteggere dalla caduta delle lastre”;
  • “i posti di passaggio non erano organizzati con spazi adeguati ed è per questo che il lavoratore si è trovato lì”;
  • l'infortunato “movimentava il carroponte senza prestare attenzione alle funi che si agganciavano alle lastre”.

 

Il secondo caso riguarda un infortunio durante attività di pulizia e facchinaggio all’interno di una falegnameria industriale.

Un lavoratore interinale svolge mansioni di pulizia e facchinaggio e scarica su un lungo nastro trasportatore il contenuto delle ceste costituito da scarti di lavorazione del legno. Il nastro si raccorda con un altro nastro trasportatore più corto, che convoglia il materiale in una macchina trituratrice.

Verso la fine della mattina, come altre volte era accaduto, il nastro trasportatore “lungo” si inceppa a causa del materiale accumulato. Il lavoratore cerca di sbloccare la macchina togliendo il materiale rimasto incastrato nella parte inferiore, fra il tappeto ed il rullo. A tale scopo inserisce la mano nella zona dell’intasamento. Ottenuta la rimozione del materiale, il nastro si mette improvvisamente in moto afferrando il braccio destro del lavoratore e trascinandolo tra il rullo di rimando ed il tappeto, sino a farlo uscire dalla parte superiore del rullo.

Si è accertato che “la zona di intasamento, pur essendo accessibile, non era segregata e il nastro trasportatore non era provvisto del dispositivo ‘arresto di emergenza’ a fune”.

A seguito dello sforzo, “che si è generato nella macchina, la quale tentava di trascinare all’interno tutto il corpo del lavoratore, è intervenuta la protezione termica, che ha fermato il motore. Non è possibile sapere per quanto tempo il corpo del lavoratore sia rimasto bloccato in quella posizione, perché a causa dell’alto rumore presente nell’azienda nessuno ha potuto udire le sue grida di aiuto”.

Un altro lavoratore, che si trovava in una postazione di lavoro più in alto ad alcuni metri di distanza, girando casualmente lo sguardo ha visto l’infortunato nella posizione sopra descritta ed ha attivato i soccorsi. I colleghi hanno immediatamente tagliato il tappeto di gomma liberando il corpo dell’infortunato, che però non dava più segni di vita”.

 

I fattori causali rilevati:

  • “il nastro trasportatore non era provvisto di dispositivo di arresto di emergenza”
  • “zona di intasamento accessibile e non segregata”
  • l'infortunato “inseriva la mano nella zona dell'intasamento non segregata”.

 

La flessibilità e le dimensioni dell’insicurezza

Come abbiamo già indicato nella prima puntata dedicata al lavoro atipico, con queste puntate di “Imparare dagli errori” non ci soffermiamo sulla prevenzione relativa agli eventi infortunistici presentati, di cui comunque sono riportati utili nessi causali, ma su aspetti connessi, ad esempio, ai rischi psicosociali a cui può essere soggetto un lavoratore atipico in relazione all’insicurezza connessa alla sua forma contrattuale.

 

A parlarne è, ad esempio, un contributo di Annalisa Tonarelli (Università degli Studi di Firenze) dal titolo “ Sicurezza sul lavoro, sicurezza del lavoro”, presentato nel seminario “La nuova legislazione del lavoro: ruolo e funzioni degli RLS nell’organizzazione del lavoro e nella valutazione dei rischi”.

 

Il contributo ricorda che nei lavori atipici spesso la flessibilità “si sostanzia in una modificazione importante – e allo stesso tempo involontaria – nella percezione del luogo di lavoro (azienda, cantiere, ufficio ecc.) e del posto che ricoprono in esso”. E i cambiamenti organizzativi introducono nei lavoratori un “senso di insicurezza che si articola attorno a tre diverse dimensioni:

  • insicurezza economica: “si intende normalmente la difficoltà che tali lavoratori sperimentano nel soddisfare, attraverso i modesti salari percepiti a fronte del loro impegno lavorativo, le esigenze di spesa individuali e familiari”;
  • insicurezza organizzativa: questa insicurezza “riferisce, invece, alla percezione di una scarsa integrazione di questi lavoratori all’interno delle compagini entro cui si trovano, spesso temporaneamente, inseriti. Tale dimensione non è influenzata solo dalla temporaneità (sia in termini di durata del contratto che di tempo di lavoro, spesso molto ridotto e concentrato in spazi ‘inusuali’ rispetto alla tradizionale articolazione della giornata lavorativa) ma anche dal loro essere maggiormente soggetti all’arbitrarietà con cui il management ne decide l’allocazione all’interno delle diverse mansioni”;
  • insicurezza progettuale: “ci si riferisce a una generale preoccupazione circa l’esistenza futura del proprio lavoro, alla percezione di una potenziale minaccia alla continuità della propria attività professionale e alle aspettative personali di continuità in un setting lavorativo”.

 

La relatrice indica poi che queste tre forme di insicurezza “impattano fortemente sulla tutela della salute fisica e mentale dei lavoratori e sulla salvaguardia dai rischi sia di natura fisica che psicosociale” ed è necessario un richiamo puntuale proprio alla “dimensione del benessere organizzativo e dei rischi psicosociali”. Un tema che, come constatato nelle interviste del nostro giornale, spesso resta marginale all’interno del dibattito sulla prevenzione in materia di sicurezza sul lavoro. E su questi temi, conclude il contributo, nel nostro Paese c’è ancora un grave ritardo culturale.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Sito web di INFOR.MO.: nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 1068 e 11380 (archivio incidenti 2002/2016).

 


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