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Allenarsi a decidere: una strategia per la sicurezza e il cambiamento

Allenarsi a decidere: una strategia per la sicurezza e il cambiamento

Il processo decisionale è uno dei cardini di un’efficace risposta alle tematiche relative alla sicurezza e all’emergenza. Una riflessione a cura di Antonio Zuliani.

 
Ospitiamo un articolo tratto da  PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che apre la strada a una riflessione specifica sulle strategie decisionali e sulla concreta possibilità di allenarsi a utilizzarle in maniera sempre più consapevole ed efficace.
 
Nella vita di ogni giorno ci scontriamo con una verità: non possiamo non decidere, perché, alla fin fine, anche non decidere rappresenta una decisione, magari meno impegnativa, ma pur sempre portatrice di effetti.
Il più delle volte questo atto non ci comporta alcuna difficoltà, tanto che molte delle nostre decisioni sono in realtà l'applicazione di un meccanismo già noto, di una soluzione già sperimentata, alla realtà che abbiamo di fronte. Per funzionare, funziona!
 
Vi sono però delle situazioni nelle quali questo meccanismo mostra dei limiti, tanto che rischiamo di commettere errori anche significativi. Ciò avviene, il più delle volte, quando ci troviamo di fronte a una situazione nuova o imprevista: applichiamo la nostra bella strategia, quella che ha sempre ben funzionato, e poi ci accorgiamo che proprio non va, che abbiamo commesso un errore.
Se la situazione affrontata è poco significativa, ciò non rappresenta un grande problema, ma questi errori, come abbiamo ampiamente mostrato (Zuliani e Bellotto, 2013), possono determinare risultati veramente pericolosi nel campo della sicurezza.
 
Appare del tutto ovvio che più la situazione è complessa e più il rischio di commettere errori nel giudicare le cose aumenta.
Per restare nel campo della sicurezza e dell’emergenza proprio di questa rivista possiamo aiutarci aumentando le misure difensive, le procedure, gli avvisi e quant’altro la tecnologia ci mette a disposizione. Ma onestamente dobbiamo chiederci se si tratta di strategie sempre efficaci.
 
Il ruolo delle strategie tecniche
Nel campo della sicurezza, Reason (2008) ha elaborato un modello di prevenzione degli incidenti, cosiddetto, a "formaggio svizzero". Immaginiamo i sistemi di sicurezza con una serie di fette di formaggio emmenthal svizzero (quello con i buchi); in sé ogni fetta ha dei buchi, così come ogni sistema di sicurezza ha le sue falle. Ma ogni volta che aggiungiamo una fetta, ovvero un sistema di sicurezza, diminuiamo la possibilità che un buco sia in coincidenza con l'altro; in qualche modo ogni nuova “fetta” corregge i buchi dell'altra.
Detto così sembra che la sicurezza maggiore si raggiunga giungendo sempre nuovi sistemi, ma Reason stesso ricorda che ogni misura addizionale aggiunta introduce potenzialmente una nuova inattesa possibilità che qualcosa vada storto.
 
D'altra parte non sembra neppure ragionevole adottare la prospettiva di Perrow (2011) che ci ricorda che nei sistemi complessi vi sono dei fattori secondari, solitamente trascurabili, che possono provocare gravi incidenti per caso. Questa teoria, detta degli incidenti normali, mostra
come possano verificarsi incidenti senza cause chiare, senza la presenza di errori palesi e senza che questi siano addebitabili all'incompetenza o alla impreparazione delle persone coinvolte.
Da questo punto di vista l’incidente sembra inevitabile. La teoria di Perrow non può essere generalizzata, ma ci ricorda che in ogni sistema complesso è composto da così tante parti che è impossibile poter controllare tulle le interazioni che si creano tra di loro.
 
Ciò non significa arrenderci all’inevitabile o aumentare e dismisura le procedure fino a ingessare ogni operazione, ma concentrarsi anche sull'abilità di reagire agli eventi anziché affidarsi solo all'abilità di prevederli; ciò significa concentrarsi su qualità come la flessibilità, la fiducia, il coraggio e la perseveranza che possono aiutarci a decidere in modo efficace di fronte a ogni situazione.


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Strategie per decidere
Vediamo allora alcune strategie che possono essere usate al fine di addestrarci a prendere decisioni corrette anche in situazioni di emergenza. Si tratta di alcune indicazioni che mostrano come possiamo allenarci al fine di essere più pronti ed efficaci quando ci troviamo o dover prendere decisioni: anche il nostro cervello può essere allenato, non solamente il nostro corpo!
 
1. Ogni buona decisione nasce da un bilanciato connubio tra razionalità ed emozioni, tanto che possiamo affermare che non siamo in grado di prendere decisioni senza che intervengano le nostre emozioni.
Questo è dovuto all'intervento del sistema dopaminergico: la dopamina aiuta a scegliere e la sua fluttazione avvia il processo decisionale.
Ciò significa che le emozioni non vanno combattute o, peggio, eliminate, bensì ben conosciute.
Occorre continuamente allenare e riallineare i neuroni dopaminergici altrimenti, come vedremo al prossimo punto, la loro funzione potrebbe diventare controproducente: l'intuizione non è il frutto del caso, ma di una pratica deliberata.
 
2. Questo perché proprio i neuroni dopaminergici, generando costantemente dei patten basati sull'esperienza, producono previsioni che comunque fanno riferimento le lezioni del passato. In altri termini, la loro prima operazione consiste nell'adottare la soluzione che più assomiglia a una già presa e funzionante rispetto all'evento che abbiamo di fronte. Strategia utile, ma può essere sbagliata.
Come accorgersene? Dubitando delle soluzioni troppo facili.
Quindi, quando si è certi di una risposta a una soluzione, mettiamola in discussione perché possiamo essere vittima dell’illusione del sapere. Il fatto è che spesso ci consideriamo molto più bravi di quello che siamo, ciò non per una sorta di cieca tracotanza (ci sono anche questi, ahimè!), ma della tendenza a sovrastimare il livello di conoscenza e di esperienza che possediamo tanto più gli argomenti ci sono familiari: il grado oggettivo di fiducia nelle nostre capacità non deve mai travalicare in illusoria sovrastima.
 
3. Certamente essere sicuri è una gran bella sensazione, confortante! Ciò ci spinge ad allontanare sia le contraddizioni interne al nostro pensiero sia i dati che, provenendo dall'esterno, rischiano di mettere in dubbio la visione delle cose che ci stiamo costruendo. Questo apre la strada ai preconcetti e per contrastarli dobbiamo incoraggiare la dissonanza interiore. Una strategia per farlo consiste nel prestare attenzione proprio a quegli aspetti che tanto disturbano la nostra sicurezza, come ad esempio incoraggiando la pluralità, fino al dissenso.
Anche il nostro cervello, quando arriva a prendere una decisione lo fa dopo una sorta di dibattito interno: alleniamoci a prestare attenzione a tutte la parti che entrano in gioco.
 
4. Un modo per farlo, ma ce ne sono molti altri che qui per brevità non presenteremo, consiste nel chiederci se la soluzione che stiamo dando a un problema non dipende dal modo nel quale è stato presentato. Spesso noi rimaniamo ancorati alle prime formazioni, a quelle più immediatamente disponibili ed evidenti. L'effetto "prima impressione" non è mai del tutto cancellabile, ma la consapevolezza che esista ci aiuta a ridurne l'influenza.
 
5. Non pensiamo troppo. Quando ci si concentra troppo su di una situazione nel tentativo di venirne a capo, spesso ci si innervosisce e le prestazioni ne risentono pesantemente. Siamo di fronte al fenomeno chiamato "choking" dove abilità affinate negli anni non funzionano più e il senso di fallimento che si vive ne accentua la portata.
Il “coking” è un fenomeno ben noto nello sport quando l’atleta si preoccupa così tanto di eseguire bene il suo gesto che si contrae e lo sbaglia clamorosamente.
D’altra parte non decidiamo mai d'impulso: intuito e impulso sono pericolosamente soggetti alla prima impressione che abbiamo di un problema.
 
6. Decidiamo noi, non affidiamo questo onere a un esperto. Si, affidarsi a un altro è una prospettiva seducente: poche responsabilità e un risultato sicuro! Ma attenzione agli esperti, tanto più a quelli molto sicuri di se: non è che stanno cadendo anche loro nella stessa trappola che abbiamo illustrato sopra? Impariamo a diffidare degli esperti troppo "esperti" e affidiamoci a quelli che sanno presentare le loro opinioni in modo verificabile al fine di permetterci di verificare la correttezza dei suggerimenti.
 
7. Quando una decisione presa non funziona, abbandoniamola. Spesso non è facile farlo, tanto più se vi abbiamo investito molte energie e molto denaro. In questi casi scatta il meccanismo dell'avversione alla perdita che spesso si combina con la coerenza con risultati tragici. Spesso cambiare comporta accettare una perdita iniziale, ma apre la prospettiva di "vincite" future.
 
8. Abituiamoci a non leggere gli eventi secondo la logica del senno di poi. Analizzare una decisione presa con il “senno di poi” induce a valutarla sulla base dell’esito finale già noto.
In tal modo non si giudica la decisione in modo adeguato, ossia sulla base delle possibilità ragionevoli che le persone avevano quando hanno deciso, bensì sulla base delle conseguenze che hanno avuto le decisioni.
La forza del “senno di poi” sta nel fatto che quando siamo investiti da un flusso disordinato di informazioni relative a un evento, privilegiamo quelle che possiamo più logicamente spiegare con la frase “è proprio andata così ….” e tendiamo a escluderne altre che non rientrano strettamente in questa sequenza logica, anche se potrebbero essere in realtà rilevanti.
 
9. Ricordiamoci che alimentando il corpo si alimenta anche la mente. La memoria di lavoro, così utile per la presa di decisione, come la razionalità hanno la stessa origine nella corteccia prefrontale, per cui occorre fornirle la giusta energia. Un leggero calo di zuccheri nel sangue inibisce l'autocontrollo e le capacità di ragionamento. Un po’ di glucosio ogni tanto aiuta in specie se gli si lascia il tempo di agire.
Visto che un cervello poco alimentato diventa di cattivo umore e ciò incide anche sulle capacità decisionali ricordiamoci che un altro alimento utile è il buon umore: quando siamo tristi ragioniamo in modo meno efficace di quando siamo allegri.
 
10. Non entriamo in ansia constatando le nostre difficoltà nel decidere, siamo in ottima compagnia. Proprio il nostro cervello, quello che dovrebbe tanto aiutarci e sul quale tanto contiamo, ci mette continuamente di fronte delle trappole cognitive ed emotive. Si è così allenato negli anni a farlo che ci cadiamo più o meno tutti. Ma il cervello che interesse ne ricava? Semplice: far meno fatica possibile. Ecco perché dobbiamo stanarlo dalla sua placida indolenza e allenarlo a esserci sempre più di aiuto.
 
Conclusione e prospettive
Abbiamo presentato un piccolo decalogo per aiutare il lettore ad avviare una riflessione su i suoi processi decisionali. Crediamo sia una delle chiavi di volta non solo per migliorare la gestione dei livelli di sicurezza e per saper affrontare le situazioni di emergenza, ma anche per poter gestire al meglio la crisi che stiamo vivendo a tutti i livelli: economici, professionali e progettuali.
Se questa crisi ci sta suggerendo che “alla fine tutto non sarà più come prima” diviene necessario allenarci a saper decidere, proprio perché sempre meno potremmo basarci sull’esperienza passata per affrontare efficacemente il nuovo.
 
 
Antonio Zuliani



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