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Il caso.
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L’obbligo di coordinamento e cooperazione dell’impresa affidataria
Commento a cura di Gerardo Porreca.
Bari, 28 nov - È in linea con le disposizioni del D. Lgs. 81/2008, contenente il Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, la posizione assunta dalla Corte di Cassazione in questa sentenza con la quale la stessa ha confermata la condanna di un amministratore delegato e del direttore di cantiere di una ditta appaltatrice per un infortunio occorso ad un lavoratore dipendente di un’impresa subappaltatrice legato alla mancanza di alcune misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro. L’assenza di tali soggetti in una riunione di coordinamento nella quale era stata discussa e deliberata l’adozione delle misure di sicurezza sopraindicate, che se realizzate avrebbero potute impedire l’evento, è stata considerata in particolare dalla suprema Corte un comportamento negligente e colposo da parte degli stessi.
L’amministratore delegato ed il direttore di cantiere di un’impresa capogruppo di un ATI sono stati tratti a giudizio davanti al Tribunale per rispondere del reato di cui agli articoli 40, 81 e 113 c.p., articolo 590 c.p., commi 3 e 5, articolo 583 c.p., commi 1, n. 1 per avere, in cooperazione tra loro presso un cantiere edile gestito dall’Associazione stessa, cagionato ad un lavoratore di una ditta subappaltatrice lesioni personali gravi dovute ad una folgorazione con ustioni da elettrocuzione degli arti superiori ed inferiori, integranti incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per 111 giorni, per colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza e, nello specifico, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, nell'inosservanza del disposto di cui all’articolo 11 del D.P.R. 7/1/1956 n. 164 e dell’articolo 7 comma 2 del D.P.R. 19/9/1994 n. 626 in quanto omettevano di rispettare il divieto di eseguire i lavori in prossimità di linee elettriche aeree a distanza minore di 5 metri a meno che non si fosse provveduto ad una adeguata protezione atta ad evitare accidentali contatti o pericolosi avvicinamenti ai conduttori delle linee stesse e omettevano, altresì, di cooperare con le ditte operanti in subappalto all'attuazione delle misure di sicurezza, prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa relativamente alla presenza di linee elettriche aeree.
Il lavoratore infortunato, in particolare, posizionato sulla sponda di un canale sovrastato da linea elettrica aerea, mentre era intento ad orientare il getto di calcestruzzo condotto dal braccio meccanico di una beton pompa collocata su di un vicino ponte, subiva una folgorazione a causa dell'insufficiente distanza del suddetto braccio meccanico alla linea elettrica.
L’iter giudiziario e il ricorso alla Corte di Cassazione.
Il Tribunale ha dichiarato gli imputati responsabili del reato di cui sopra e li ha condannati rispettivamente alla pena di mesi 3 e mesi 2 di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena. Avverso la decisione del Tribunale gli stessi hanno proposto ricorso alla Corte di Appello che ha però ha confermata la sentenza ed ha condannato gli appellanti al pagamento delle spese processuali. Avverso la stessa gli imputati stessi hanno proposto ricorso per Cassazione chiedendone l'annullamento e adducendo diverse motivazioni.
Secondo il direttore di cantiere i giudici di merito non avevano tenuto conto che la prescrizione di cui all’articolo 11 del D.P.R. n. 164/1956 sarebbe stata violata non solo da parte di chi materialmente aveva eseguito l'operazione con la beton pompa, ma anche da chi gestiva e coordinava il cantiere nel suo complesso ed aveva quindi il compito di elaborare le norme di sicurezza generali. L’imputato ha sostenuto altresì che la sua qualifica era solo quella di direttore del cantiere nonché di delegato per la sicurezza per l'associazione temporanea di imprese e non di responsabile della sicurezza dell'appaltatore e di tutte le lavorazioni in subappalto. Tale erroneo assunto, secondo il ricorrente, sarebbe stato originato dalla ingiustificata assenza nel procedimento di due figure essenziali e cioè del committente e del responsabile dei lavori. Il direttore di cantiere ha inoltre sostenuto che con il contratto con la ditta subappaltatrice era stato posto a carico della stessa il pieno rispetto delle norme antinfortunistiche né lo stesso avrebbe potuto esercitare alcuna ingerenza sul personale del subappaltatore e gestire i suoi dipendenti.
L’amministratore delegato, da parte sua, ha affermato di non aver avuto nessun ruolo in tema di sicurezza sul lavoro per quanto riguarda la gestione del subappalto non essendo stato delegato alla specifica funzione di responsabile per la sicurezza di quella lavorazione.
Le decisioni della Corte di Cassazione.
I ricorsi degli imputati sono stati considerati infondati dalla Corte di Cassazione e quindi rigettati. La stessa ha fatto osservare che entrambi gli imputati erano stati delegati a "coordinare le imprese sul cantiere" e, nell'ambito dello stesso, "all'organizzazione in materia di sicurezza del lavoro, di tecnopatie ed igiene sul lavoro ed, in particolare, all'organizzazione ed alla scelta di misure igieniche ed antinfortunistiche, al fine di assicurare il completo assolvimento degli obblighi societari di attuazione delle misure igieniche e di prevenzione nonché del relativo controllo". “La disciplina infortunistica”, ha fatto presente la Sez. IV, “impone ai datori di lavoro, ai committenti e agli appaltatori, in caso di cantieri mobili, specifici obblighi di coordinamento per la tutela della sicurezza e della incolumità dei lavoratori con riferimento ai rischi connessi alle specifiche lavorazioni che si svolgono nel cantiere”.
La suprema Corte ha fatto altresì osservare che nel PSC era stata segnalata la presenza della linea aerea in cantiere ed era stato fatto il dimensionamento dei mezzi provvisti di braccio mobile o telescopico, in modo da consentire lo svolgimento dell'attività lavorativa senza che fosse possibile, anche accidentalmente, la penetrazione nella zona di guardia mentre i ricorrenti hanno invece consentito l'uso di un mezzo non adeguato, in quanto hanno permesso che una beton pompa, con braccio estensibile in altezza per ventotto metri, operasse al di sotto di una linea elettrica in tensione che si trovava, come ben evidenziato nella sentenza impugnata, a soli nove metri dal piano su cui poggiava la macchina. Tutto ciò nonostante che fosse stata tenuta una specifica riunione di coordinamento, alla quale non avevano partecipato, che aveva avuto ad oggetto, appunto, le condizioni di lavoro in quello specifico tratto dell'opera, e durante la quale era stato stabilito che l'operazione di getto di calcestruzzo dovesse avvenire "non posizionando le macchine sull'argine, ma sull'adiacente ponte", in quanto ciò avrebbe consentito "la necessaria manovrabilità della pompa e la distanza di sicurezza dalle linee", distanza che comunque non avrebbe dovuto scendere al di sotto dei cinque metri. Nella stessa riunione era stato anche puntualizzato che, in considerazione della brevità dell'intervento, non si riteneva di chiedere il sezionamento della linea, ma si raccomandava la massima attenzione.
Per quanto sopra detto quindi, ha concluso la suprema Corte, “è emerso che gli odierni ricorrenti, che avevano la responsabilità di garantire, anche attraverso il coordinamento delle varie imprese che operavano nel cantiere, la sicurezza dei lavoratori, non hanno adempiuto al loro dovere di cooperare” a nulla rilevando, come correttamente avevano fatto osservare i giudici della Corte territoriale, la circostanza della loro assenza alla riunione “tenendo in tal modo un comportamento negligente”.
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