Molti lettori conoscono i CEO, CFO, CSO, CIO, ma quanti conoscono il CDO?
Dopo l’uccisione di George May, il 25 maggio 2020, in molte aziende la sensibilità su temi legati alla presenza di comportamenti non appropriati nella gestione del personale è cresciuta in maniera esponenziale.
Molte aziende hanno reagito non solo dichiarandosi pronte ad allinearsi con più appropriati modelli di comportamento, ma addirittura designando una specifica struttura, o meglio uno specifico responsabile, in grado di aiutare l’azienda a muoversi su un percorso di maggiore equità nei confronti di personale di vario genere, di varia etnia, di varie convinzioni religiose e via dicendo.
Questo soggetto viene oggi chiamato con l’acronimo CDO - Chief Diversity Officer
Oggi le pressioni esercitate sulle aziende dai dipendenti, dagli azionisti e dai clienti, per avere garanzie di corretto comportamento aziendale nei confronti di vari soggetti stanno crescendo in modo esponenziale.
Per qualche tempo si è pensato di affidare il compito di gestire questo problema al responsabile delle risorse umane, vale a dire il CHRO – Chief Human Resources Officer, ma l’esperienza ha dimostrato che occorre individuare soggetti che abbiano una più specifica preparazione ed un più specifico campo operativo. Al proposito, è bene ricordare che solo partire dal 1980 alcune università hanno cominciato ad offrire percorsi di addestramento sulla gestione delle diversità, soprattutto con l’obiettivo di proteggere l’azienda da possibili rivendicazioni legali, in materia di violazione dei diritti civili.
L’attuale inquadramento di questo profilo professionale è assai più approfondito e specializzato ed ecco il motivo per cui la ricerca di questi soggetti sta diventando sempre più urgente, per una moltitudine di aziende, che hanno un costante rapporto con il pubblico e la cui immagine deve essere a tutti i costi tutelata.
Le aziende stanno anche cercando di individuare a quale livello inserire questa figura nell’organigramma aziendale, tenendo presente che, almeno nelle esperienze delle maggiori aziende che già hanno individuato questo soggetto, come ad esempio Gucci o Walmart, egli viene posto in una posizione di diretto contatto con il CEO – Chief Executive Officer.
Un aspetto che le aziende devono esaminare riguarda il budget da mettere a disposizione di questo soggetto, perché è evidente che la sua azione deve essere sostenuta con adeguate risorse umane ed economiche.
Le grandi aziende soprammenzionate hanno già messo a disposizione un budget di mezzo milione di dollari e di cinque persone, per avviare subito dei programmi di controllo della diversità. Tra questi programmi, ad esempio, vi è la messa a punto di pratiche più eque di assunzione, l’avvio di programmi di formazione specifica ed un attento controllo sui comportamenti dei fornitori, su questo tema specifico.
Un elemento che forse può aiutare il comitato di direzione nell’orientarsi in questa direzione è legato al fatto che le aziende, che hanno adottato questa politica, hanno rapidamente registrato significativi miglioramenti nel fatturato. D’altra parte, non dimentichiamo che negli Stati Uniti il 40% della popolazione non è bianca e questa popolazione ha una capacità di spesa dell’ordine di varie migliaia di miliardi di dollari. Un’azienda che è in grado di soddisfare le esigenze multiculturali dei propri clienti può certamente registrare un significativo incremento dell’apprezzamento del pubblico e quindi del volume di fatturato.
È appena il caso di ricordare ai lettori che recentemente è stata approvata in Italia la Prassi di riferimento afferente alla parità di genere, che comincia ad apparire in capitolati di fornitura per amministrazioni pubbliche e private, a riprova del fatto che i committenti sono già pronti ad apprezzare questi comportamenti nei propri fornitori.
Adalberto Biasiotti
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