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Sicurezza sul lavoro: le responsabilità di datore di lavoro e CDA

Sicurezza sul lavoro: le responsabilità di datore di lavoro e CDA
Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Datore di lavoro

14/11/2013

In presenza di deleghe di funzioni a uno o più amministratori la posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio di amministrazione non viene meno con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto. Di Rolando Dubini.

Il Datore di Lavoro: posizione di garanzia antinfortunistica
La sentenza c.d. Thyssen della Corte d'Assise del Tribunale di Torino del 14.11.2011 n. 31095/07 N.R. n. 2/2009 RGA, si sofferma in modo esemplare sul concetto e sulla individuazione della figura del datore di lavoro: occorre «ricordare che, come insegna la Corte di Cassazione (n. 4981, 6.02.2004) la definizione di "datore di lavoro": " ... non è intesa nel senso esclusivamente civilistico e giuslavoristico, e quindi limitata a chi è titolare del rapporto di lavoro, masi estende a chi ha la responsabilità dell'impresa o dell'unità produttiva ed è titolare dei poteri decisionali e di spesa ...[in base al]  principio di effettività [oggi art. 2 comma 1 del D.Lgs. n. 81/2008]. Con questa modifica non si fa più riferimento ad un dato formale ... ma altresì a dati di natura sostanziale quali la responsabilità dell'impresa o dell'unità produttiva purché accompagnati - questo è il punto - dai poteri decisionali e di spesa. Insomma ciò che rileva, al fine di creare la qualità di datore di lavoro, e quindi la posizione di garanzia, sono il potere di decidere e quello di spendere. Chi li possiede è datore di lavoro e quindi titolare della posizione di garanzia ... Ma il principio di effettività non ha mai significato che il soggetto gravato della posizione di garanzia - e che disponeva dei poteri di decidere e di spendere - potesse esonerarsene su base volontaria o contrattuale e lo stesso istituto della  delega di funzioni è stato assoggettato ad una rigorosissima serie di vincoli che comunque non hanno mai condotto alla totale esclusione della responsabilità del delegante qualora questi non avesse esercitato appieno i residui poteri di controllo sull'opera del delegato. 
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Insomma il principio di effettività è un metodo, anche conoscitivo, per riportare la responsabilità laddove si trovano i poteri di decidere e di spendere e non un modo per esonerare da responsabilità chi, per scelta propria, di questi poteri disponga ma non li eserciti". Ancora, per quanto qui rileva, nella stessa sentenza: "Nel caso di una società di capitali originariamente il datore di lavoro (in senso civilistico) va individuato nel consiglio di amministrazione o nell'amministratore unico. Ove, con la nomina di uno o più amministratori delegati, si verifichi il trasferimento di funzioni in capo ad essi, non per questo va interamente escluso un perdurante obbligo di controllo nella gestione degli amministratori delegati'. All'individuazione nel Consiglio di Amministrazione delle società di capitali [del]l'originario datore di lavoro consegue la constatazione di come quest'ultimo si trovi in una "posizione di garanzia" inderogabile, di natura pubblicistica: "proprio in relazione alla natura dei beni tutelati (in particolare la vita e la salute delle persone) ... dal principio di inderogabilità delle funzioni di garanzia ... consegue altresì che il problema della riserva dei poteri di controllo neppure si pone posto che sono proprio i poteri originari correlati alla posizione di datore di lavoro che non possono essere unilateralmente o convenzionalmente rinunziati". Con la conseguenza che i doveri "residui" di controllo dei membri del Consiglio di Amministrazione derivano dalla inderogabilità della loro "posizione di garanzia" e sono - solo - civilisticamente previsti anche dal 2° comma dell'art. 2392 c.c., nella forma attenuata - ma non eliminata - successiva alla riforma del diritto societario (D.Lgs n. 6/2003). Concetto ribadito, più di recente, dalla stessa Corte Suprema nella sentenza n. 38991/2010: "Questa Corte in plurime sentenze ha già avuto modo di statuire che nelle imprese gestite da società di capitali gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni ed igiene sul lavoro, posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione (Cass.Pen. Sez. IV, 6820/07, Mantelli). Infatti, anche di fronte alla presenza di una eventuale delega di gestione conferita ad uno o più amministratori, specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e spesa, tale situazione può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori membri del consiglio, ma non escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo in caso di mancato esercizio della delega».
 
Se la sicurezza non è “oggetto di specifica delega, gli obblighi imposti ai datori di lavoro dalla normativa antinfortunistica [devono] ritenersi gravanti su tutti i componenti del Consiglio di amministrazione” [Cass. Pen. sez. IV, 8.02.2008 , n. 6280]: “nelle imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione” [ Cass. Pen., sez. IV, 8.02.2008 n. 6280].
 
In particolare “la decisione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte (v. tra le altre, sez. IV^, 11.07.2002, Macola ed altro) secondo la quale nel caso di imprese gestite da società di capitali, gli obblighi concernenti l'igiene e la sicurezza del lavoro gravano su tutti i componenti del Consiglio di amministrazione. La sentenza sopra citata sottolinea, altresì, che la delega di gestione, in proposito conferita ad uno o più amministratori, se specifica e comprensiva di poteri di deliberazione e spesa, può solo ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del Consiglio, ma non escluderla interamente, poichè non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento, soprattutto nel caso di mancato esercizio della delega” [Cass. Pen. sez. IV, 8.02.2008, n. 6280].
 
Anche la sentenza Sezione IV, 10.06.2010, Quaglierini ed altri (c.d. sentenza Montefibre), affronta il medesimo tema in una vicenda relativa a società che gestiva uno stabilimento dedito alla produzione di fibre di nailon ove si faceva uso di amianto per coibentare i tubi ed i macchinari.
Nella specie, della morte di alcuni lavoratori (14), che nello stabilimento avevano inalato polveri di amianto, contraendo malattie (4 asbestosi e 10 mesotelioma pleurico), che li aveva portati al decesso, erano stati chiamati a rispondere tutti i membri del consiglio di amministrazione, anche in presenza di una delega ad uno o più amministratori delle attribuzioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro: ciò sul rilievo che su tutti gravava il compito di vigilare sulla complessiva politica di sicurezza dell’azienda, il cui processo produttivo prevedeva l’utilizzo dell’amianto, con conseguente esposizione dei lavoratori al rischio di inalazione delle relative polveri [rischio strategico attinente scelte generali dell'impresa].
 
La S.C. (Suprema Corte) ha affermato il principio che la posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio di amministrazione non viene meno con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto [strategiche] in ordine alla organizzazione delle lavorazioni: da ciò derivando che, anche in ossequio al disposto dell’articolo 2392 del codice civile, nonostante la delega, permane la responsabilità dei vertici aziendali e, quindi, di tutti i componenti del consiglio di amministrazione, quanto agli eventi lesivi determinati da difetti strutturali aziendali e del processo produttivo, aggiungendo, testualmente, che “in una fattispecie analoga a quella oggetto di giudizio, relativa ad impresa il cui processo produttivo prevedeva l'utilizzo dell'amianto e che aveva esposto costantemente i lavoratori al rischio di inalazione delle relative polveri, si è ritenuto che, pur a fronte dell'esistenza di amministratori muniti di delega per l'ordinaria amministrazione e dunque per l'adozione di misure di protezione concernenti i singoli lavoratori od aspetti particolari dell'attività produttiva, gravasse su tutti i componenti del consiglio di amministrazione il compito di vigilare sulla complessiva politica della sicurezza dell'azienda, il cui radicale mutamento -per l'onerosità e la portata degli interventi necessari - sarebbe stato indispensabile per assicurare l'igiene del lavoro e la prevenzione delle malattie professionali. In sostanza, in presenza di strutture aziendali complesse, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti se sono il frutto di occasionali disfunzioni; quando invece sono determinate da difetti strutturali aziendali e del processo produttivo, permane la responsabilità dei vertici aziendali e quindi di tutti i componenti del consiglio di amministrazione. Diversamente opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità della posizione di garanzia, il quale prevede che pur sempre a carico del delegante permangano obblighi di vigilanza ed intervento sostitutivo”.
 
La sentenza, Sezione IV, 7.04.2010, Gubertoni: sottolinea che, nelle imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano comunque indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, se e in quanto difetti una delega specifica relativa alla sicurezza del lavoro.
 
La S.C., alla luce di tale principio e della considerazione che non risultava neanche documentata una delega specifica, ha rigettato il ricorso proposto dall’amministratore della società, al carico del quale era stato formalizzato l’addebito, fondato sulla doglianza che semmai doveva ritenersi responsabile il Presidente del Consiglio di amministrazione.
Ai sensi dell'art. 2381 del Codice Civile “…, il CdA può delegare proprie attribuzioni … ad uno o più dei suoi componenti. Il CdA … valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione. …Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”: la delega di gestione o gestoria di cui all'art. 2381 c.c. non spoglia definitivamente il consiglio di amministrazione delle proprie attribuzioni, il quale infetti continua a costituire il perno della gestione sociale, nel senso che, così come gli è imputabile il risultato della gestione, deve pur sempre essergliene conservata la responsabilità [dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione].
 
Il datore di lavoro originario è il consiglio di amministrazione o l'amministratore unico
La Cassazione penale, nella c.d. sentenza Galeazzi, ha precisato che « nel caso di una società di capitali originariamente il datore di lavoro (in senso civilistico) va individuato nel consiglio di amministrazione o nell'amministratore unico.Ove, con la nomina di uno o più amministratori delegati, si verifichi il trasferimento di funzioni in capo ad essi, non per questo va interamente escluso un perdurante obbligo di controllo della gestione degli amministratori delegati; ciò trova un importante argomento di conferma, sia pure sul piano civilistico (con conseguenze che, peraltro, non possono che riflettersi su quello penalistico comune essendo la matrice e la giustificazione degli obblighi di garanzia), nel testo dell'art. 2392 c. 2 cod. civ. che ribadisce, anche nel caso di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o più amministratori, la solidale responsabilità degli amministratori (di tutti gli amministratori) se non hanno vigilato sul generale andamento della gestione o se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. Obblighi attenuati ma ribaditi anche nel nuovo testo dell'ari. 2392 cod. civ. introdotto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 che ha riformato il diritto societario con entrata in vigore il 1 gennaio 2004».
 
Principio di ragionevolezza
La stessa sentenza aggiunge che « in base ad un criterio di ragionevolezza si preferisce escludere che questo obbligo [di vigilanza sul generale andamento della gestione aziendale, sulle scelte strategiche anche in materia di sicurezza sul lavoro] riguardi anche gli aspetti minuti della gestione, senza porre però in dubbio l'esigibilità di un dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione. Si riferisce a tale generale andamento non l'adozione di una singola misura di prevenzione per la tutela della salute di uno o più lavoratori o il mancato intervento in un singolo settore produttivo ma la complessiva gestione aziendale della sicurezza. Dunque con il trasferimento di funzioni (come anche nella delega di funzioni) il contenuto della posizione di garanzia gravante sull'obbligato originario si modifica e si riduce agli indicati obblighi di controllo e intervento sostitutivo: ove l'amministratore non adempia a tali obblighi residuali e, in conseguenza di questa omissione, si verifichi l'evento dannoso si dovrà ravvisare la colpa nell'inosservanza di tali obblighi. In conclusione, in un sistema che si fonda su un assetto che esclude la delegabilità di determinate funzioni in tema di sicurezza, e che comunque prevede un residuo obbligo di controllo da parte di coloro cui originariamente è attribuita la qualità di datore di lavoro, non è ipotizzabile che residui un'area di irresponsabilità in base ad accordi, formali o meno che siano, o addirittura dedurre dall'inerzia un trasferimento di funzioni con efficacia giuridica escludente la responsabilità pervenendo al risultato di esonerare taluno dalla responsabilità penale in base ad un atto di autonomia privata» [Cass. Pen. Sez. IV, n. 4981 del 5.12.2003 - Ligresti e altri].
Questo significa che quando si tratta di mancata adozione di una singola misura di prevenzione per la tutela della salute di uno o più lavoratori o il mancato intervento in un singolo settore produttivo non è in questione l'obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione che è comunque a carico del consiglio di amministrazione, ma bensì i poteri di cui dispone, seguendo il filo del ragionamento giurisprudenziale, di cui è dotato l'amministratore delegato, che da soli giustificano la sua posizione di garanzia di datore di lavoro.
 
Ciò in piena coerenza con la giurisprudenza, anche di merito, che ha sempre riconosciuto la responsabilità dell’imprenditore, a prescindere dall’eventuale delega, quando l’infortunio è da attribuire non tanto all’attuazione di questa o di quella misura, ma più in generale ad una situazione di assoluta inadeguatezza degli impianti in relazione alle esigenze di tutela della integrità fisica dei lavoratori [Pretura di Mantova 3.03.1994 ].
 
Questo indirizzo giurisprudenziale consolidato ha visto un importante segno di continuità con l'importante sentenza della Cassazione, sez. IV penale, n. 38991, 4.11.2010 (Montefibre) che ha ribadito una volta di più che «anche in presenza di una delega di funzioni a uno o più amministratori (con specifiche attribuzioni in materia di igiene del lavoro), la posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio di amministrazione non viene meno, pur in presenza di una struttura aziendale complessa e organizzata, con riferimento a ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione delle lavorazioni che attingono direttamente la sfera di responsabilità del datore di lavoro».
La sentenza riguarda una mancata protezione dei lavoratori dal rischio amianto protrattasi per alcuni decenni.
 
La particolare gravità dei fatti ha indotto la Corte di Cassazione ad allargare la responsabilità anche in capo a coloro che non hanno controllato i soggetti direttamente obbligati dalla legge alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
L’imputazione ha ad oggetto l’omessa adozione, soprattutto durante i frequenti lavori di manutenzione degli impianti, di decoibentazione e nuova coibentazione, delle cautele necessarie per evitare che i lavoratori dello stabilimento, appartenente ad un importante società che opera a livello internazionale, fossero esposti in modo diretto e indiretto alla inalazione delle polveri di amianto, non essendo stati dotati di dispositivi personali di protezione, non essendo state attuate le norme di igiene, non essendo stati edotti i lavoratori del rischio specifico a cui erano esposti, non essendo stato disposto di effettuare in luoghi separati le lavorazioni insalubri, non essendo state adottate le misure per prevenire o ridurre la dispersione e diffusione nei luoghi di lavoro delle polveri e fibre di amianto.
Gli accertamenti nel giudizio di merito hanno consentito di verificare come le suddette violazioni delle disposizioni sull’igiene del lavoro fossero state gravi e come, inoltre, a partire dal momento in cui la società coinvolta nel relativo procedimento è venuta a conoscenza dei rischi correlati all’esposizione all’amianto, il colposo comportamento dell’azienda si fosse protratto per circa 30 anni.
 
Alla società era, infatti, ben noto il rischio dell’esposizione all’amianto sin dal 1973 ossia a partire da quando i manutentori dello stabilimento erano stati sottoposti a controlli medici proprio per sospetta asbestosi e, a seguito di tali controlli, erano stati trasferiti, senza però che ciò avesse comportato alcuna riduzione al rischio di esposizione all’amianto, dai reparti in cui si trovavano.
Nonostante tale conoscenza, l’istruttoria condotta in giudizio ha accertato che la società, salvo che per poche e limitate iniziative giudicate del tutto insufficienti, non ha provveduto ad adottare radicali modifiche volte ad eliminare o a ridurre in modo significativo il rischio amianto né con riguardo agli impianti né con riguardo alle attività di manutenzione tanto che è risultato che nello stabilimento fosse presente amianto ancora nel 2002.
 
Tali comportamenti colposi hanno comportato le morti, avvenute fra il 1999 e il 2004, di 11 dipendenti dello stabilimento che hanno lavorato fra la metà degli anni ’50 e l’ultima metà degli anni ’90 con mansioni che comportavano forti esposizioni all’amianto.
Di tali persone, 8 sono morte per mesotelioma pleurico, 3 per asbestosi. Dei reati di cui sopra sono stati chiamati a rispondere 14 dirigenti della società: 2 direttori di stabilimento; 3 amministratori delegati, 9 consiglieri di amministrazione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto corretto il giudizio di merito di condanna di tali imputati con riguardo all’esistenza:
a) di gravi e reiterate omissioni colpose di norme antinfortunistiche;
b) delle patologie contestate;
c) di un nesso di causa fra tali patologie e l’omissione colposa delle norme antinfortunistiche; d) di una responsabilità da parte di tutti gli imputati nel non avere impedito, avendone il potere, l’insorgenza e/o l’aggravamento delle patologie contestate.
 
Va poi ricordato, con particolare riferimento alle società di persone come le s.n.c., che in presenza di imprese con pluralità di titolari, si è stabilito che “..l'obbligo grava indiscriminatamente su tutti i titolari dell’impresa, salvo che preventivamente le attività per la sicurezza del lavoro vengano delegate ad uno di essi..” (Cass. IV. 6.4.79, Bortolato; sez. IV. 30.3.65, Ornago).
Fondamentale risulta, nella prospettiva costituzionale della responsabilità penale individuale (art. 27 comma 1 della Costituzione), la concreta individuazione del datore di lavoro, ovvero del soggetto al quale può essere legittimamente imputata la responsabilità penale per i fatti compiuti nell’esercizio dell’attività alla quale sono addetti lavoratori come definiti dall’art. 2 comma 1 lett. a) del D.Lgs. n. 81/2008.
 
 
Rolando Dubini, avvocato in Milano
 
 

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Rispondi Autore: Luca Lodi - likes: 0
25/02/2018 (22:10:48)
Avv. Dubini, le segnalo il mio commento di approfondimento pubblicato su Diritto e pratica del lavoro, 2015, nn. 15 e 16, dove l'analisi ha percorso i diversi tipi di società e aggregazioni di lavoro proprio con l'auspicio di aiutare superare alcuni problemi che nell'esperienza professionale mi sono apparsi evidenti. Un cordiale saluto.
Rispondi Autore: Paolo Testoni - likes: 0
07/01/2019 (11:10:14)
Quando il CDA individua il datore di lavoro in uno dei suoi membri (più per questioni operative che di responsabilità), quest'ultimo deve accettare tale delega, anche se conferita con delibera del CDA che lui stesso ha votato? Un subdelegato deve accettare in forma scritta e con data certa, ma un membro del CDA individuato come datore di lavoro dal CDA stesso?
Grazie
Rispondi Autore: ALBERTO FRENGUELLI - likes: 0
13/05/2021 (12:22:29)
Quesito: Il CDA può nominare per alzata di mano un componente al suo interno imputandogli le stesse funzioni di datore di lavoro ( già esistente) in rif all' art 2. del D.lgs 81-08?
Ringrazio per la risposta.

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