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Quale formazione per datori di lavoro?

Quale formazione per datori di lavoro?
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Datore di lavoro

04/10/2022

Un punto di vista che potremmo definire “strabico”, ma che rappresenta la lente di lettura di chi opera da moltissimi anni sul campo, a fianco delle imprese. Di Rita Somma, consulente H&S e Michele Montresor, tecnico della prevenzione SPSAL.

Il presente contributo, scritto a quattro mani, mira ad offrire un punto di vista che potremmo definire “strabico”, ma che rappresenta la lente di lettura di chi opera da moltissimi anni sul campo, a fianco delle imprese. Questo duplice sguardo è rappresentato, da un lato, dagli occhi di chi offre la propria professionalità alle imprese per supportarle nel complesso cammino del raggiungimento della salute e sicurezza dei propri collaboratori (Rita Somma) e, dall’altro, dagli occhi di chi osserva le imprese dall’esterno ma che, con strumenti diversi, ricerca in fondo il medesimo obiettivo (Michele Montresor), che va a riprodurre la doppia faccia della stessa medaglia. Strabico sì, ma che in quest’occasione – come altre - è riuscito a mettersi a fuoco nella stessa direzione.


Ed è interessante, crediamo, essersi trovati in sintonia su di un tema così “fresco” come quello della formazione dei datori di lavoro che presto dovranno sottoporsi (il verbo non è scelto a caso) ad una formazione specifica in materia di salute e sicurezza ed obbligatoria per gli effetti della Legge 17 dicembre 2021, n. 215 (di conversione del Decreto Legge 21 ottobre 2021, n. 146), che ne ha introdotto l’obbligo. Un obbligo seppur non ancora operativo in quanto siamo in attesa dell’accordo demandato alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (ASR), che dovrà accorpare, rivisitare e modificare gli attuali accordi attuativi in materia di formazione, in modo da garantire:

a)       l'individuazione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione obbligatoria a carico del datore di lavoro;

b)       l'individuazione delle modalità della verifica finale di apprendimento obbligatoria per i discenti di tutti i percorsi formativi e di aggiornamento obbligatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro e delle modalità delle verifiche di efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa.


Un fabbisogno formativo, quello introdotto per i datori di lavoro, che, in qualche modo, risponde alle richieste acclarate da più parti negli ultimi anni. Si sa, un buon comandante deve sapere governare la sua imbarcazione, indicando la rotta per evitare gli scogli e condurla in porto. Formazione per i datori di lavoro che non è la panacea di tutti i mali, ma costituisce senz’altro solide fondamenta sulle quali costruire l’impianto prevenzionistico, che altrimenti rischia di edificare castelli fatti di carte. L’obbligatorietà però, pur rappresentando senza dubbio un passo avanti importante, deve essere punto di partenza e non di arrivo. Una formazione che infatti, se inefficace, non sposta di un millimetro il problema. Per trasferire ai datori di lavoro le conoscenze utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei loro compiti, è lapalissiano che, oltre alla forma, ci vuole la sostanza.

 

Le distorsioni applicative degli ASR per i lavoratori devono infatti essere di insegnamento e devono orientarci, per evitare di cadere negli stessi errori. Dallo sgretolamento delle fondamenta, dal basso, posso così arrivare spunti interessanti, da valutare e sviluppare. Si, perché è davanti agli occhi di tutti che qualcosa non ha funzionato nel fondamento logico dell’applicazione pratica degli ASR sulla formazione alla sicurezza, che, troppo spesso, ha finito per essere relegata ad un mero obbligo formale, fatto di carte ed attestati (quando non sono fasulli), che non garantisce così il raggiungimento dell’obiettivo prefissato: quello di favorire sicurezza nelle e delle imprese. E così, in attesa del nuovo ASR, abbiamo provato a formulare qualche considerazione congiunta a voce alta, con l’intento di accendere i riflettori sul problema e provare a far luce sulle storture e sull’opacità che potrebbero allontanarci dal risultato. Di pari passo abbiamo provato a fornire anche qualche indicazione orientativa concreta e raccogliere, se possibile, utili indicazioni da parte dei lettori.

 

Un contributo che, secondo il nostro personale punto di vista, può essere anche un’occasione per ripensare al ruolo del datore di lavoro, per cercare un grimaldello interpretativo di senso comune per uscire nell’intricata giungla normativa che lo vede al centro di innumerevoli responsabilità ed obblighi, spesso però eserciti con una scarsa consapevolezza. Una questione certamente complessa che non possiamo avere la pretesa, con questo nostro contributo, di voler sviscerare interamente, né tantomeno quella di fornire soluzioni miracolose. Quindi, il commento che segue, non può che essere rappresentato che da una sequenza di diversi spunti, con un carattere quasi rapsodico, senza alcuna pretesa di un’impossibile completezza, ma tendente, in qualche misura, ad accendere i riflettori sulla problematica e tratteggiare gli aspetti dai quali, a nostro avviso, non si può prescindere per puntare ad una formazione sostanziale e utile.

 

Inquadriamo la questione

Pur rappresentando un ulteriore obbligo, è chiaro come questo può o, meglio, possa diventare un’occasione importante per offrire ai datori di lavoro l’opportunità di aumentare la consapevolezza del loro ruolo. Presi da molteplici incombenze, spesso si osserva una scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano la materia di igiene e sicurezza sul lavoro e, conseguentemente, l’assunzione di scelte o “non scelte” discutibili, soprattutto sul piano organizzativo. E sì, perché l’azione del vertice si può tradurre in un fare, ma potrebbe declinare anche in un tralasciare, o come direbbero i nostri cugini d’Oltralpe laissez faire che indirizza ed influenza i comportamenti in quella organizzazione. Dal primo all’ultimo dei propri collaboratori.

 

La nostra ferma convinzione è che, per essere incisiva, tale opportunità non dovrebbe sopraffare i datori di lavoro con nozioni tecniche al pari di quelle che vengono erogate al d.d.l./RSPP, in quanto l’obiettivo è radicalmente diverso: non quindi l’aumento di competenze per l’esercizio diretto di colui che si occupa della sicurezza nei luoghi di lavoro, ma bensì un mix di competenze tecniche (poche) e “NON TECNICHE” che mettano i datori di lavoro nelle migliori condizioni di effettuare le scelte più opportune per la propria organizzazione, per costruire una capanna prevenzionistica fatta di solidi mattoni, che un lupo, con un soffio, non possa abbattere.

 

Alzi la mano (si fa per dire) quale datore di lavoro ha letto ed inteso pienamente l’art. 28 comma 2 lett. d) del D.Lgs 81/08. Esso dice, in tema di obblighi da parte del datore di lavoro:

d) l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri.

 

Tale articolo affonda le proprie radici nel cambio di paradigma che ha rappresentato la promulgazione delle Direttive Europee, nate dalla diffusa consapevolezza che la salute e sicurezza i luoghi di lavoro si ottiene unicamente attraverso processi partecipati, in risposta alla complessità di un mondo del lavoro che da molti anni (ben prima del 1989!) ne aveva manifestato tutta la sua rilevanza e criticità. Ed in questi 33 anni è cresciuta notevolmente. 

 

Ecco che per arrivare a scegliere le “persone giuste” al “posto giusto” occorre una conoscenza approfondita delle misure da realizzare che sono generate dal Documento di Valutazione dei Rischi. C’è differenza se la macchina è guidata da una persona competente, diligente, attenta rispetto alla condizione in cui venga guidata da una persona non consapevole, negligente, disattenta.

 

Sappiamo bene che, pur rappresentando un compito non delegabile – quello di redazione della valutazione dei Rischi - in realtà i datori di lavoro “assumono” il documento redatto da altri. Ma chi di loro lo legge fino in fondo? Ecco, saper leggere e comprendere un documento - che non di rado supera le 100/200 pagine – potrebbe rappresentare una materia interessante per i datori di lavoro. Conoscerne le sezioni topiche, quelle che non devono mancare e poterle migliorare sotto l’aspetto dei criteri definiti all’art. 28 comma 2 lett. a) – II° periodo del D.Lgs 81/08 [1], sarebbe un ottimo contributo alla salute e sicurezza aziendale.

 

Rispetto al corpo normativo ante 1994 (data di promulgazione del D.Lgs 626/94), le Direttive sociali in materia di salute e sicurezza hanno chiarito che il datore di lavoro deve dotarsi di collaboratori che “assumano” su di sé un pezzo di responsabilità rispetto all’obiettivo generale che non rappresenta solo l’assenza di infortuni o di condizioni che possono portare alle malattie professionali, ma un complessivo stato di ben-essere espresso dalla definizione di «salute» quale stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità.


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Proposte operative

Crediamo che sia giunto il momento di offrire strumenti operativi ai datori di lavoro per l’esercizio di un ruolo sociale, fare impresa, di cui beneficia l’intera collettività, affinché sappiano circondarsi di persone affidabili e preparate che, attuando le loro disposizioni, diano piena attuazione al Programma della salute e sicurezza rappresentato dal D.V.R. Eventualmente anche mediante l’esercizio delle delega ex art. 16 del D.Lgs 81/08 che, non a caso, parla di funzioni delegate; possono riguardare anche solo una parte degli obblighi in capo ai d.d.l. che, umanamente, non possono essere oggetto di attenzione adeguata e costante da parte del soggetto apicale di un’Organizzazione. Solo la costruzione di una “rete” di collaboratori consapevoli e dotati di specifiche competenze e poteri è in grado di assicurare l’imprenditore di poter dormire sonni tranquilli.

 

Quante deleghe in materia di salute e sicurezza riportate nelle visure camerali o estratte dai verbali dei consigli di amministrazione, ovvero dagli statuti di costituzione delle imprese, non rispettano i requisiti dell’art. 16 sopra citato? E quante contravvenzioni vengono – ci pare di poter dire “inutilmente” – estese a “x” soggetti che, facendo parte dell’apice aziendale, ne rispondono inconsapevolmente? Per non parlare di quando le contravvenzioni siano connesse a violazioni che, poste causalmente con un evento lesivo di un lavoratore, determinano la responsabilità penale di tutti i soggetti apicali di un Organizzazione. La piena consapevolezza di una responsabilità, accresce le opportunità di anticipare i problemi e porvi rimedio per tempo. Per il bene di tutti. Non solo del portafoglio.

 

E poi non potranno mancare argomenti, alcuni di base ed altri di II° livello, quali la differenza tra salute e sicurezza, il procedimento penale compreso il sistema sanzionatorio (penale ed amministrativo) ed i KPI H&S. Questi ultimi ci appaiono di estrema rilevanza per un imprenditore (vedi riunione periodica ex art. 35 del D.Lgs 81/08) sebbene sia presente in noi la consapevolezza della loro complessità se ricercati ad un livello superiore dei classici, abusati – e spesso poco utili [2] – indici di frequenza e gravità. Indicatori quali assenze, ritardi, segnalazioni di incidenti e “non conformità” (andamento, qualità delle segnalazioni e delle misure proposte dai lavoratori), partecipazione agli incontri di reparto con i preposti, ecc., rappresentano segnali, spesso “non” deboli, sulla rotta della nave “Health & Safety” la cui destinazione, spesso, sembra incerta. Come il suo “Comandante” la sta conducendo? 

 

Ultimo, ma non ultimo, come (far) gestire [3] il “parco macchine aziendale” (se presente), asse portante di ogni impresa del manifatturiero, tra marcatura CE (presunzione di Conformità) e prassi lavorative delle maestranze.   

Strutturare bene una rete di responsabilità diffusa, senza togliere l’obbligo di vigilare da parte del datore di lavoro, rappresenta un’attività importante per la sopravvivenza dell’impresa. Ognuno, fino all’ultimo lavoratore, per quanto di competenza e capacità. E per farlo servono competenze e chiarezza di obiettivi.

 

Questo non si ottiene senz’altro con corsi di formazione che sviolinano slides su slides, che poco o nulla incidono sui comportamenti e sulle decisioni.

 

Ecco che si vanno delineando, quasi naturalmente, gli elementi imprescindibili che, a nostro avviso, si dovrebbero considerare per assicurarne efficacia e partecipazione [4] in un corso di formazione per datori di lavoro:

  1. la modulazione delle ore sulla base dei rischi (alto, medio e basso) alla stregua dei corsi per d.d.l/RSPP del tipo 6-8-10 ore, può essere base di partenza, ma non esaustiva, rispetto al rilevamento del fabbisogno. Altri fattori determinanti (es.: Gruppo di Tariffa INAIL [5], dimensione organizzativa, background personale), devono essere considerati. Un buon assestment (analisi pregressa delle basi culturali dei d.d.l.) appare imprescindibile per organizzare corsi che siano in grado di evitare troppe differenze culturali (tecniche e NTS) tra i partecipanti al fine di massimizzare la loro partecipazione;
  2. aggiornamento periodico;
  3. soggetti formatori che possono garantire qualità del processo, vicini alle realtà imprenditoriali;
  4. docenti formatori autorevoli, qualificati per titoli ed esperienza, che possano trattare con competenza ed autorevolezza l’argomento oggetto della docenza, ad esempio includendo specialisti del fattore umano della sicurezza per parlare di comportamenti o un giurista esperto in materia per gli aspetti legali.
  5. programmi formativi che includano la valorizzazione di tutti gli elementi del sistema sociotecnico (individuo – ambiente – lavoro) entro il quale il teatro della sicurezza si compie, ma che puntino alla valorizzazione dell’effettività e alla consapevolezza del ruolo e che favoriscano soprattutto un atteggiamento mentale orientativo per approcciare la sicurezza.
  6. Valutazione dell’efficacia e monitoraggio della soddisfazione attraverso misurazioni con criteri obiettivi, in linea con le aspettative attese.   

 

Conclusioni

Una delle prime difficoltà da superare sarà quella di pensare ad una progettazione del processo formativo adattativa, in un rapporto dinamico di coevoluzione con il destinatario di quell’azione educativa, che non può essere rappresentata solo da una classificazione tassonomica [6]. Bisognerà riuscire a fornire al datore di lavoro un indirizzo orientativo, tecnico e valoriale, che, come in un gioco enigmistico, possano supportarlo per visualizzare ed unire “tutti i puntini” e costruire l’immagine rappresentativa della sicurezza nel proprio contesto situato d’azione. Questo vuol dire essere in grado di individuare le necessità ma anche di indirizzarsi a scegliere, ad esempio, il miglior professionista, il miglior docente. Vuol dire anche leadership positiva, l’analisi dei mancati incidenti o near miss, creazione di un sistema di deleghe, controlli e verifiche efficienti, comunicazione efficace, gestione dello stress ed organizzazione del lavoro, valorizzazione del lavoro in team, adozione di buone prassi, …..

 

Ci pare anche di poter orientare i formatori e, conseguentemente i datori di lavoro, di fare ampio uso delle tecniche della narrazione, c.d. Storytelling, il più possibile strutturate per assicurare la massima partecipazione ed interesse dei discenti. Aprire un corso di formazione mediante la narrazione di uno dei 21 racconti del recentissimo libro “Ogni giorno 3” della giornalista Giusi Fasano, rappresenta una modalità estremamente concreta ed attuale di porre la “questione sicurezza lavoro-correlata” al centro dell’attenzione dei partecipanti al corso. Per aumentare la consapevolezza che semplici disattenzioni organizzative sono in grado di generare le condizioni per eventi nefasti. Parallelamente è possibile utilizzare il ricco materiale presente sul sito Dors (vedi nota “4”) o altri testi quale “Vite spezzate: drammi inevitabili e eventi prevedibili?” [8] ovvero i video dell’INAIL (max 5 min.) accessibili al link: https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/multimedia/video-gallery/videogallery-bellestorie2018.html che possono supportare il docente nell’overture del corso, quando non in grado di costruire una narrazione basata su esperienze personali dirette. Si segnala anche l’interessante progetto INAIL Piemonte “Sicurezza si può – cinque storie di sicurezza sul lavoro” [9] raccontate con altrettanti video (5-8 min.) accessibili al link: https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/pubblicazioni/catalogo-generale/sicurezza-si-puo-cinque-storie-di-sicurezza-sul-lavoro.html#:~:text=Progetto%20promosso%20da%20Inail%20Piemonte,pratiche%20di%20sicurezza%20sul%20lavoro 

 

A supporto della validità di tale tecnica formativa si riporta il grafico esitato dai questionari di gradimento sottoposti a 122 lavoratori dei comparti della metalmeccanica (n° 100 tra operai e impiegati di due imprese) e dei servizi (n° 22 elettricisti di due imprese) successivamente alla formazione di due ore condotta all’interno delle fabbriche mediante la tecnica dello Storytelling nell’ambito di un progetto di luglio 2019 (ma attuato solo nel 2022 a causa della pandemia da Covid-19) promosso dal Co.Co.Pro. [10] di Mantova e finalizzato a supportare le imprese nel processo di miglioramento della consapevolezza dei lavoratori in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Con la fattiva collaborazione delle rappresentanze datoriali e dei lavoratori che hanno permesso la conduzione dello Storytelling all’interno delle fabbriche, cioè direttamente nei reparti di produzione.

 

Location di grande effetto per una narrazione situata.


 

A dimostrazione che “un’altra formazione è possibile” e, in questi casi come in altri, decisamente gradita da tutti. Sì perché la novità di tale processo form-attivo è stata la co-partecipazione (attiva anche quella) dei datori di lavoro che hanno saputo interagire con le maestranze offrendo il loro punto di vista senza sottrarsi alla discussione. Pratica non scontata.

 

Ed ecco, che quasi per magia, abbiamo delineato la mappa e svelato il tesoro nascosto. Potrebbero essere questi alcuni degli argomenti e modalità formative su cui puntare per la formazione per datori di lavoro?

 

Un luculliano crogiuolo di opportunità a cui guardare con attenzione, per un orientamento in tale ottica, è costituito dal primo standard di Gestione del Sistema di Istruzione, la UNI ISO 21001:2019, un documento che specifica i “requisiti per un sistema di gestione per le organizzazioni di istruzione e formazione” e che riflette ed è espressione internazionale di buone prassi in tale ambito. Norma che è passata forse un po' in sordina, ma che può rappresentare un indirizzo nella definizione di prodotti e servizi per apprendimenti efficaci. Al centro dell’articolazione del percorso sono presenti principi di gestione obbligatori per garantirne l’efficacia:

  • focalizzazione sui discenti e partecipazione attiva;
  • leadership di scenario;
  • responsabilità sociale;
  • consapevolezza;
  • accessibilità ed equità;
  • condotta etica nella formazione.

 

Come si vede, la carne sul fuoco è tanta. Per questo riteniamo che sia necessario coinvolgere tutte le Parti Sociali nella rivisitazione degli ASR sulla formazione, senza dimenticarsi di chi lavora sul campo, che può portare una lente di lettura interagente diversa. In ogni caso, la speranza resta quella che, questi preannunciati Accordi, riescano a promuovere la qualità (del soggetto formatore, del docente formatore, della progettazione, metodologica, etc.) e possano incentivare l’orientamento valoriale solido alla sicurezza per i datori di lavoro, oltre che prescrittivo che, se vogliamo, resta un concetto trasversale al modo di intendere la sicurezza nei luoghi di lavoro [11]. Un concetto questo che va di pari passo con la tanto agognata cultura della sicurezza che, per non rimanere un concetto astratto, deve essere costruita con azioni concrete [12].

 

 

Rita Somma

consulente H&S, sociologa del lavoro, consigliere nazionale AIFOS

 

Michele Montresor

tecnico della prevenzione SPSAL dell’ATS Val Padana

Si precisa che la responsabilità dei contenuti dell’articolo è unicamente dell’autore Montresor Michele e non riflette necessariamente le opinioni dell’Organizzazione di appartenenza.



[1] La scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione.

[2] Ci riferiamo alla problematica delle dimensioni aziendali, ove i citati indicatori non sono in grado di esprimere – nel concreto – il quadro di insieme, soprattutto a medio e lungo termine, delle performance di sicurezza aziendali.

[3] Acquisto, sviluppo ai sensi dell’art. 18 comma 1 lett. z) del D.lgs 81/08 e manutenzione.

[4] Sulla base delle esperienze personali ci pare di poter affermare che la partecipazione ai corsi di formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro viene garantita laddove il corso è strutturato alternando sessioni teoriche con sessioni caratterizzate da lavori di gruppo (il confronto tra pari stimola l’emersione dei “vissuti” delle persone) su Case History. Ogni argomento dovrebbe prevedere l’utilizzo di tecniche di analisi, confronto e valutazione partecipata, quale, ad es. la presentazione di deleghe o statuti di imprese (opportunamente anonimizzati per il rispetto della Privacy) e la “caccia all’errore” in materia di delega ex art. 16 del D.Lgs 81/08. Oppure la lettura di un evento infortunistico e la richiesta ai partecipanti di trovare le “condizioni” (TECNICHE, ORGANIZZATIVE e COMPORTAMENTALI) che avrebbe impedito l’accadere dell’evento. Si possono anche utilizzare video ed il materiale di lavoro – oggi – disponibili, f.s. la personale esperienza del docente, sui siti:

Se quanto sopra è senza dubbio vero per tutti i lavoratori, lo sarà ancor di più per i datori di lavoro, persone note per essere caratterizzate da pragmatismo ed operatività.

[5] I GdT INAIL permettono di inquadrare, meglio degli ATECO, il profilo aziendale sotto il profilo dei rischi e tipologie produttive.

[6] https://www.puntosicuro.it/cultura-della-sicurezza-C-136/formazione-per-la-sicurezza-un-abito-prevenzionistico-su-misura-AR-22007/

[8] Ed. Regione Puglia e INAIL – Dir. Regionale Puglia: Collana “i quaderni della prevenzione”.

[11] https://aifos.org/home/news/int/interventi_commenti/governare_i_rischi_con_l_approccio_prestazionale

[12] https://aifos.org/home/news/int/interventi_commenti/inseguendo_la_chimera_della_cultura_della_sicurezza






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Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0
05/10/2022 (07:54:48)
Ottimo contributo.
Diciamo che raggiungere i datori di lavoro di quel 94,8% di imprese che, su 4,36 mln, ha meno di 10 dipendenti dovrebbe essere l'obiettivo di chi sta scrivendo il nuovo Accordo.
In realtà non c'è molto da sperare viste le competenze esperenziali di chi ci sta mettendo le mani e visti i precedenti.
Inoltre, la formazione è solo una delle tante variabili su cui intervenire e dove molte di queste, pur non avendo un apparente legame diretto con la SSL, sono fortemente in grado di influenzarla.
Purtroppo, approcciarsi al problema con un'ottica ampia ed interdisciplinare non fa parte del bagaglio di competenze di chi è istituzionalmente posizionato nella "stanza dei bottoni".
Rispondi Autore: Roberto Spadon - likes: 0
10/10/2022 (20:13:59)
Molto interessanti e valide le proposte formulate nell'articolo. Lo stesso Accordo Stato-Regioni relativo alla formazione del 2011 avrebbe dovuto prevedere per i datori di lavoro almeno gli stessi obblighi formativi dei dirigenti ...

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