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L’esito del ricorso e le decisioni della suprema Corte.
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La distinzione fra datore di lavoro giuslavoristico e prevenzionale
Commento a cura di Gerardo Porreca.
Secondo l’univoca giurisprudenza della Corte di Cassazione va distinto il datore di lavoro giuslavoristico dal datore di lavoro, o dai datori di lavoro in caso di più unità produttive, in senso prevenzionale. Questi ultimi, proprio perché preposti alla direzione di una unità produttiva, sono responsabili della mancata applicazione delle misure di sicurezza in una azienda ma è comunque chiaro che gli stessi sono qualificabili come datori di lavoro ai fini della sicurezza solo se gli saranno stati attribuiti i poteri e le disponibilità finanziarie adeguate ad effettuare gli adempimenti prescritti dalla legge ed è altrettanto chiaro che per tutti gli altri adempimenti per i quali non dispongono dei mezzi e dei poteri per realizzarli non saranno a loro ascrivibili le eventuali violazioni e le relative conseguenze. Questo è quanto emerge dalla lettura di questa interessante sentenza della Corte di Cassazione penale che comunque va a consolidare una posizione che la stessa suprema Corte in passato ha già più volte assunta in merito.
Il caso e l’iter giudiziario.
Il legale rappresentante di una società è stato condannato dal Tribunale in composizione monocratica alla pena di due mesi di reclusione per il reato di lesioni colpose in seguito all’infortunio sul lavoro occorso ad un lavoratore dipendente nell’ambito della propria azienda. Il giudice del Tribunale ha ritenuto l’imputato responsabile di avere omesso, in qualità di datore di lavoro della ditta che rappresentava legalmente, di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate ed in particolare una scala pedana di dimensione e conformazione tali da realizzare un posto di lavoro stabile e sicuro per eseguire le attività inerenti la manutenzione di una pressa a iniezione sita nello stabilimento della società medesima. Il lavoratore infortunato, infatti, addetto all’uso della pressa a iniezione, nell'ispezionare l'interno della tramoggia annessa alla pressa stessa, in mancanza di supporto adeguato, ha perso l'equilibrio e, nel tentativo di proteggersi, si è agganciato con la mano destra al bordo tagliente della tramoggia, riportando una ferita lacero contusa al terzo dito della mano destra con una prognosi di 81 giorni ed una invalidità permanente pari al 3%.
Avverso la decisione del Tribunale l’imputato, tramite il suo difensore, ha fatto ricorso alla Corte di Appello la quale ha però confermata la sentenza condannando lo stesso anche al pagamento delle spese processuali del grado.
Il rappresentante legale della società ha quindi proposto ricorso per Cassazione ed ha censurata la sentenza impugnata adducendo quale motivazione una erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche delle quali si deve tener conto nell'applicazione della legge penale in relazione al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articoli 2, 4 e 35 e 590 c.p.. L’imputato in particolare ha affermato di essere legale rappresentante di una società che opera in sette stabilimenti dislocati in due regioni con oltre 600 dipendenti e con un fatturato annuo di circa 140 milioni di euro ed ha sostenuto inoltre che nello stabilimento nel quale si è verificato l'infortunio c'era un direttore il quale aveva poteri ed autonomia di spesa almeno fino a 5000 euro, senza alcuna necessità di preventiva autorizzazione, e che per delega disponeva le manutenzioni necessarie.
Ha aggiunto altresì che nel caso di cui al procedimento penale il ruolo di " datore di lavoro" era quindi soltanto del direttore di stabilimento (che era già stato condannato) e non ha condiviso l'assunto della Corte territoriale secondo cui sarebbe stata necessaria la prova rigorosa della delega per affermare la responsabilità esclusiva del direttore di stabilimento per tutti gli infortuni che dipendevano o da carenze nelle modalità operative o da inidoneità di attrezzature alle quali egli doveva e poteva porre rimedio in quanto la spesa necessaria rientrava nei limiti della sua autonomia, come appunto nella circostanza dell’infortunio. Alla luce delle considerazioni sopraindicate l’imputato ha quindi chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguente statuizione.
L’esito del ricorso e le decisioni della suprema Corte.
La suprema Corte ha fatto osservare che con la sentenza impugnata la Corte di Appello aveva ritenuta sussistente la responsabilità del ricorrente principalmente sulla base di un mancato accertamento dell'esistenza di una delega scritta o anche non scritta, nonché sulla base della mancata nomina di un responsabile della sicurezza e della circostanza che il direttore dello stabilimento non poteva essere considerato "datore di lavoro" dal momento che aveva un potere di spesa limitato solo alle situazioni di emergenza.
La Sez. IV ha fatto presente, altresì, che dall’istruttoria citata nella sentenza impugnata era emerso che il direttore dello stabilimento aveva non solo poteri legati all'emergenza ma altresì il potere di far fronte alle spese di modesta entità, avendo a tale scopo una disponibilità di cassa di circa 1000,00 euro, e che nella sentenza stessa non era stato spiegato perché l'intervento sulla scala messa a disposizione del lavoratore infortunato, che avrebbe comportato una spesa di circa 500,00 euro, non dovesse rientrare nella disponibilità di spesa dello stesso direttore.
Sulla base di queste considerazioni, quindi, la stessa Corte di Cassazione non ha ritenuta necessaria una prova rigorosa della sussistenza di una delega al direttore dello stabilimento.
“Il Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 2, lettera b), 1 periodo, così come modificato dal Decreto Legislativo n. 242 del 1996”, ha fatto presente la Sez. IV (decreto legislativo in vigore al momento dell’accaduto e successivamente abrogato e recepito dal D. Lgs. 9/4/2008 n. 81), “considera datore di lavoro ‘il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore’ o comunque ‘il soggetto che, secondo il tipo e l'organizzazione dell'impresa, ha la responsabilità dell'impresa stessa ovvero dell'unità produttiva, quale definita dalla lettera i) in quanto titolare dei poteri decisionali di spesa’. “Con l'avverbio ‘comunque’”, ha quindi proseguito la Sez. IV, “il legislatore ha inteso dare netta preminenza al criterio sostanziale che deve essere in ogni caso rispettato e che prevale quando vi è discordanza tra la situazione formale e quella reale. Quindi, in virtù della modifica operata dal Decreto Legislativo n. 242 del 1996, nelle aziende di grandi dimensioni è frequente il caso in cui il soggetto dotato della legale rappresentanza non coincide con quello in grado di esercitare l'effettivo potere di organizzazione dell'azienda e del lavoro dei dipendenti ed è a quest'ultimo che dovranno attribuirsi le connesse responsabilità prevenzionali”.
La Corte di Cassazione, citando anche tra le altre la sentenza n. 49819 del 5.12.2003 della stessa Sez. IV, ha quindi precisato che secondo la univoca giurisprudenza della suprema Corte stessa “il dato normativo consente di distinguere un datore di lavoro in senso giuslavoristico da uno o più datori di lavoro (sussistendo distinte unità produttive) in senso prevenzionale. È evidente che la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell'unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali. Egli pertanto sarà qualificabile come datore di lavoro ai fini della sicurezza solo se gli saranno attribuiti poteri e disponibilità finanziarie adeguate ad effettuare gli adempimenti prescritti dalla legge e solo entro quei limiti, mentre, per tutti gli altri adempimenti per i quali non dispone dei mezzi e dei poteri per realizzarli, le eventuali violazioni (e relative conseguenze) non saranno a lui ascrivibili”.
Nel caso in esame, quindi, ha concluso la suprema Corte, rientrando l'intervento sulla scala nel suo potere di spesa e nell'autonomia di cui disponeva, il direttore dello stabilimento era autonomamente obbligato ad intervenire a titolo originario e non già per delega del legale rappresentante della società per cui la stessa Sez. IV ha annullata la sentenza impugnata rinviando gli atti ad altra sezione della Corte di appello di provenienza.
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