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3° Rapporto ANMIL sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro

3° Rapporto ANMIL sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Dati e statistiche

18/09/2020

Disponibile il video dell'incontro di presentazione, l'Executive Summary del Rapporto, il quadro statistico e i grafici degli infortuni sul lavoro.

Il 16 settembre ANMIL ha presentato il “3° Rapporto sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro”, nella Sala della Protomoteca del Campidoglio a Roma.
L’iniziativa ha visto coinvolti esponenti del mondo istituzionale, giuridico, politico, giornalistico e accademico e il coordinamento dei lavori è stato affidato all’inviato di Repubblica Marco Patucchi.
Da oggi è possibile scaricare gratuitamente l’Executive Summary del Rapporto nel quale sono state sintetizzate le principali novità della normativa, della giurisprudenza, della prassi amministrativa e del mondo della ricerca in materia di salute e sicurezza sul lavoro, partendo per ogni macro-tematica dalle novità che erano ancora in cantiere nelle precedenti edizioni fino a giungere ai più recenti interventi.
È stato inoltre aggiunto al Rapporto un addendum interamente dedicato all’emergenza Covid-19, contenente tanto una fotografia statistica della pandemia quanto una ricognizione dei principali atti normativi nazionali e internazionali volti a fronteggiare la pandemia.
 
Rivedi la presentazione del 3° Rapporto in Campidoglio dal canale youtube di ANML:
 
 
 
 

Il quadro statistico in breve

Partendo da un’analisi della situazione lavorativa globale, secondo quanto emerso dal Rapporto dell’OIL WESO - World Employment and Social Outlook: Trends 2020 - il problema principale dei mercati del lavoro rimane la scarsa qualità delle condizioni lavorative. I dati contenuti mostrano infatti che, nel 2019, la maggioranza dei 3,3 miliardi di persone occupate nel mondo è stata soggetta a condizioni inadeguate in termini di sicurezza economica, benessere materiale e pari opportunità. Stando poi alle stime derivanti dai dati contenuti all’interno della banca dati ILOStat, si prevede che, nel mondo, tra il 2020 e il 2024 la disoccupazione colpirà maggiormente i lavoratori compresi nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni, arrivando a toccare, su scala globale, il 12,6% del totale.
 
Simili anche, se lette in percentuale, le stime relative al working poverty rate globali: nelle fasce giovanili infatti, senza anche in questo caso considerare distinzioni di genere, dovrebbe aver luogo un lento abbassamento del quantitativo totale di lavoratori che si trovino in condizioni di povertà, passando dal 12,6% del 2020 (con riferimento alla fascia di età 15- 24 anni), al 12,4% del 2021, benché anche in questo caso la necessità di cautela nell’analisi, direttamente collegata alla pandemia, non può non essere tenuta in forte considerazione. A livello europeo, Eurostat ha reso noti, nel dicembre 2019, i dati riguardanti gli incidenti, mortali e non, verificatisi in ambito lavorativo tra il 2010 e il 2017. Da una prima analisi statistica, risulta anzitutto che, nel 2017, si sono verificati 3.342.349 incidenti non mortali che hanno provocato almeno quattro giorni di assenza dal lavoro nei 28 Stati membri dell’UE.
 

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Tra il 2010 e il 2017 c’è stata inoltre una diminuzione del numero totale di incidenti non mortali sul lavoro nell’UE, ridottisi di quasi 240mila casi rispetto ai 3.581.628 del 2010.
Quanto alle differenze di genere, nel contesto degli infortuni registrati, i lavoratori interessati sono stati ben 2.231.163, mentre il totale delle lavoratrici è di 1.023.118, andando a costituire un rapporto di oltre due lavoratori per ogni lavoratrice infortunata. A livello territoriale, è la Germania a detenere il primato negativo di casi: sono stati infatti 878.525 gli infortuni verificatisi in territorio tedesco, mentre in Francia se ne sono verificati 753.156, vale a dire quasi il triplo di quelli aventi avuto luogo in Italia (294.161).
 
È parimenti importante menzionare la novità costituita dal report predisposto e pubblicato da Eurostat il 20 aprile 2020, intitolato “Are EU citizens safe at work?” e dedicato agli infortuni aventi avuto esito mortale nel territorio dell’Unione. Come riportato all’interno dello studio, nell'Unione europea oltre 2 milioni di infortuni sul lavoro non mortali hanno provocato un'assenza dal lavoro per quattro o più giorni nel 2017, e 2912 infortuni sul lavoro sono stati fatali Interessanti riscontri sono al riguardo presenti anche nel nuovo studio della Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza sul Lavoro “The value of occupational safety and health and the societal costs of work-related injuries and diseases”, riguardante il costo economico e sociale degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali nei 28 Stati europei.
 
Passando infine ai dati nazionali legati ai fenomeni infortunistici professionali, stando alla Relazione annuale 2019, pubblicata dall’Inail il 14 luglio 2020, le denunce di infortunio con riferimento all’intero anno precedente hanno registrato, rispetto al 2018, una sostanziale stabilità dei casi in complesso e un calo degli infortuni mortali. Sono state infatti registrate poco meno di 645 mila denunce di infortuni accaduti nel 2019 (lo 0,09% in meno rispetto al 2018). Gli infortuni riconosciuti sul lavoro sono poco più di 405 mila e 500, di cui circa il 18,6% “fuori dell’azienda” (cioè “con mezzo di trasporto” o “in itinere”). Un aumento ha riguardato proprio gli infortuni in itinere, passati dai 103mila dell’anno precedente agli oltre 105mila del 2019, nonostante siano diminuiti nel complesso quelli verificatisi con mezzo di trasporto. Per quanto concerne le malattie professionali, le denunce pervenute all’Istituto nel 2019 sono state 61.201, vale a dire 1.743 in più rispetto all’anno precedente.
 
L’aumento, facendo un raffronto per genere, si traduce in 645 casi in più (+4,03%) per le lavoratrici e 1.098 casi in più per i lavoratori (+2,53%). Con riferimento alle denunce di irregolarità ravvisate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro in relazione all’anno 2019, stando a quanto riportato all’interno del ‘Rapporto annuale dell'attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, relativo all’anno 2019’, l’azione ispettiva ha riguardato un totale di 142mila aziende, di cui oltre 99mila sono risultate irregolari. Con riferimento esclusivo all’ambito della salute e sicurezza sul lavoro, limitatamente agli ambiti di competenza ex art. 13, d. Lgs. n. 81/2008, 15.859 aziende sono risultate irregolari su 18.446 accertamenti definiti, con un tasso di irregolarità pari all’86% su pratiche concluse nell’anno (+4% rispetto al 2018) e 31.453 violazioni contestate (28.632 penali e 2.821 amministrative).
 
È poi doveroso riportare alcuni dati specificamente rivolti alla pandemia da Covid-19. Da un punto di vista prettamente sanitario, al 26 agosto 2020, l’infezione ha colpito, nel mondo, 23.697.273 individui, mietendo più di 800mila vittime. A livello globale la situazione è dunque piuttosto grave, con oltre 200mila nuovi contagi quotidiani. Gli Stati Uniti restano il Paese più colpito dal virus, con un totale di oltre 5 milioni di casi accertati e più di 170mila morti, e Stati con sensibili disparità sociali ed economiche interne, quali ad esempio il Brasile o l’India, hanno iniziato da mesi a mostrare lacune sanitarie che si manifestano inesorabilmente attraverso dati più che allarmanti. Passando all’analisi più specificamente dedicata al territorio europeo, dove i contagi hanno ormai quasi raggiunto i 3 milioni, tra i principali Paesi colpiti dall’infezione, la Russia annovera quasi un milione di casi confermati, cui fanno seguito Spagna (quasi a quota 400mila), Regno Unito (avente la quota più alta di decessi, oltre 40mila), Francia e Italia.
 
Per quanto riguarda l’Italia, i dati riportati all’interno del sito del Ministero della Salute affermano che, al 26 agosto 2020, siano 260mila i casi totali, con oltre 35mila morti, per lo più concentrati nel Nord della Penisola. Tuttavia, è importante segnalare che nel corso dei mesi estivi, e più precisamente tra la seconda metà di luglio e la fine di agosto, alcune regioni appartenenti al centro e al Sud del Paese hanno raggiunto livelli prima mai toccati: si leggano ad esempio i dati della Puglia, della Sardegna e dello stesso Lazio, aventi fatto registrare incrementi notevoli della diffusione del morbo, nonostante ciò sia avvenuti in forme lievi e per lo più asintomatiche rispetto a quanto verificatosi nei mesi di marzo e aprile. La mortalità del virus è stata oggetto di numerosi studi sin dalla sua prima apparizione in territorio italiano.
 
Ne è un esempio, a livello nazionale, il Rapporto curato da ISS e Istat, intitolato “Impatto dell’epidemia Covid-19 sulla mortalità”, pubblicato lo scorso 16 luglio, dal quale è emerso come il Covid-19 sia la causa direttamente responsabile della morte nell’89% dei decessi di persone positive al test SARS-CoV-2, mentre per il restante 11% le cause di decesso sono le malattie cardiovascolari (4,6%), i tumori (2,4%), e altre malattie pregresse. Stando poi all’ultima pubblicazione, datata 7 agosto 2020, dell’Inail dedicata ai contagi in ambito lavorativo, sono in totale 51.363 i casi di cui sopra segnalati alla data del 31 luglio, vale a dire ben 1.377 in più rispetto al monitoraggio del 30 giugno, e pari al 18% del totale delle denunce di infortunio registrate dall’inizio dell’anno.
 
Passando ora ad un’analisi dedicata alle conseguenze in ambito lavorativo ed economico della pandemia. la risposta alla rapida diffusione del virus della maggior parte degli Stati nel mondo è stata costituita da una chiusura generalizzata. Questa ha ovviamente dato i suoi frutti, a differenza di quanto verificatosi in quei pochi Stati aventi deliberatamente scelto di lasciare aperte le attività economiche nonostante la pandemia. Tuttavia, è innegabile che il lockdown abbia scatenato alcune concatenazioni drastiche, mettendo in estrema difficoltà un gran numero di lavoratori nel mondo. Stando a quanto contenuto nella quinta edizione del rapporto appositamente dedicato dall’ILO alle conseguenze del Covid sul mondo del lavoro, pubblicato il 30 giugno 2020 e intitolato “COVID-19 and the world of work”, è emerso come ancora moltissimi lavoratori, su scala globale, vivessero in Paesi all’interno dei quali vigevano ancora delle restrizioni più o meno significative a livello lavorativo.
 
L’ammontare di ore lavorative perse è infatti ben al di sopra delle previsioni fornite dalla precedente edizione del Rapporto ILO, con una media del 14%, che potrebbe avvicinarsi anche al 19% nel continente americano. In Italia, le drastiche misure prese dal governo a contrasto del virus hanno portato alla chiusura della stragrande maggioranza delle imprese. Stando al rapporto "Covid19: misure di contenimento dell'epidemia e impatto sull'occupazione", curato dall'INAPP, l'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche, il 47,3% delle aziende italiane (escluse quelle del settore agricolo) ha dovuto interrompere ogni tipo di attività: dato, questo, che si sposa con quanto emerso all’interno del Rapporto annuale 2020 dell’Istat, da cui traspare una riduzione di 124 mila occupati (-0,5%) a marzo, più che raddoppiata ad aprile (-274 mila, -1,2%).
 

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