L’importanza della consapevolezza del rischio nei luoghi di lavoro
In questo periodo, dopo diversi gravi incidenti con vari infortuni mortali che si sono succeduti a distanza di pochi giorni, sono aumentate le riflessioni, anche nel mondo politico, su cosa fare per migliorare la prevenzione di infortuni e malattie professionali.
Proprio per continuare a riflettere sulle strategie di prevenzione possibili, riceviamo e pubblichiamo un contributo di Michele Del Gaudio, ricercatore Inail, dal titolo “La consapevolezza del rischio nei luoghi di lavoro”.
La consapevolezza del rischio nei luoghi di lavoro
Nel periodo compreso tra gennaio e giugno 2023 si sono rilevate in Italia complessivamente 296.665 denunce di infortunio, il 22,40% in meno rispetto al periodo gennaio-giugno 2022.
Le denunce di infortunio con esito mortale sono state 450, a fronte delle 463 denunce rilevate nell’analogo periodo del 2022 (-2,81%).
Nel periodo gennaio-giugno 2023 le denunce di malattie professionali protocollate sono state 38.042, il 22,38% in più rispetto all’analogo periodo del 2022 (31.085).
Il trend sia pure in leggera diminuzione rispetto allo scorso anno, ci fa presumere che anche quest’anno ci saranno più di 900 morti a causa di lavoro.
Bisogna sottolineare che i numeri già molto alti degli infortuni mortali potrebbero essere ancora più elevati se si considera che mediamente per un incidente mortale ci sono statisticamente 29 near miss (mancati incidenti) che avrebbero potuto avere lo stesso esito. Questi eventi però non sempre vengono registrati anche se potrebbero contribuire a costruire la consapevolezza del rischio da parte dei soggetti coinvolti: datori di lavoro, RSPP, lavoratori.
Come si può combattere questa situazione? Il termine “combattere” con questi numeri è appropriato perché è una vera è propria guerra.
Dove si può agire per diminuire gli infortuni? La cronaca ci restituisce ogni giorno casi che “col senno di poi” si sarebbero potuti evitare. Caduta di oggetti, manovre con automezzi, mancata attivazione o rispetto di procedure di sicurezza, esposizione ad ambienti termici severi ecc.
Il dibattito politico promette ad ogni incidente portato agli onori della cronaca un rafforzamento delle azioni di prevenzione ma nella realtà poco cambia. Ogni giorno in Italia ci sono mediamente 3 vittime del lavoro e spesso passano inosservate se non citate dal notiziario e pure se citate i titoli sono ormai talmente standardizzati da non attirare più l’attenzione: “operaio muore in cantiere”, “operaia schiacciata da macchina”.
Qual è il grimaldello più efficace?
Aumento della frequenza dei servizi ispettivi; applicazione di sanzioni; formazione ed informazione più efficaci; incentivi economici alle aziende che investono in sicurezza.
Queste sono normalmente le proposte ma … evidentemente non bastano. Perché non funzionano?
Se si sposta il punto di vista dalla parte del datore di lavoro, “le regole” che potremmo associare alla normativa sulla sicurezza e in primis al testo unico 81/08 vengono vissute come un adempimento burocratico.
Il datore di lavoro deve svolgere il suo ruolo di valutatore art. 28, peraltro non delegabile, per produrre il documento di valutazione dei rischi DVR. Questa funzione è affidata al datore di lavoro che meglio di chiunque altro conosce il processo produttivo ed è quindi in grado di evidenziare i rischi. Il datore di lavoro può farsi affiancare da un consulente a cui affida la funzione di Responsabile del servizio di prevenzione e protezione soprattutto quando l’impresa è di grosse dimensioni o, come nei casi in cui il datore di lavoro è un dirigente di un Ente pubblico o un dirigente scolastico, con una preparazione giuridico-economica e quindi totalmente inadeguata a valutare i rischi presenti nel suo ufficio.
Se la valutazione dei rischi e quindi la produzione di un DVR (documento di valutazione dei rischi) sono realizzati solo perché è richiesto dalla legge probabilmente si fa fatica a capirne l’utilità e si realizza facilmente un inutile strumento.
Strumento? Sì, perché il DVR è uno strumento di prevenzione.
L’art. 28 del DL 81/08 ne cita i contenuti minimi:
- una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa
- l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione
- il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza
- l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli (dotati di competenze e poteri necessari) dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere
- le figure della sicurezza nominate dal Datore di Lavoro.
Basterebbero poche pagine, ma spesso troviamo inutili premesse estrapolate dai testi di legge o altre disquisizioni su argomenti vari che appesantiscono il documento mentre l’obiettivo principale è trovare i rischi e cercare di eliminarli o ridurli. Il DVR infatti è un documento che consente di scansire il luogo di lavoro cercando ciò che normalmente non percepiamo.
L’art. 30 del DL 81/08 suggerisce anche la possibilità di utilizzare modelli di organizzazione e di gestione che, se correttamente adottati, possono esimere della responsabilità amministrativa ai sensi decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, ma soprattutto permettono di registrare le azioni e quindi di tenere sotto controllo le criticità e le scadenze a cui ottemperare.
Anche le sanzioni non sembrano sortire effetto sperato, nonostante quelle economiche possano rappresentare per le piccole aziende un grosso problema.
Ma il lavoratore? Se ha ricevuto la corretta formazione ed ha ricevuto i DPI assume anche esso delle responsabilità ai sensi dell’art. 20 del DL 81/08.
Perché non si riesce a far capire ai lavoratori che seguire le “regole” significa anche essere professionali?
Anche noi se pensiamo ad un lavoratore dell’edilizia qual è la figura ci viene in mente? Probabilmente un operaio che indossa vestiario comune, che calza grossi scarponi, che appende l’elmetto da qualche parte. Se invece osservando un cantiere vediamo un lavoratore che indossa, scarpe antinfortunistiche, tuta, elmetto, guanti e occhiali restiamo spiazzati. Analogamente in agricoltura abbiamo una visione bucolica del contadino e che nell’uso dei mezzi meccanici non segue regole importanti quale innestare il roll bar, allacciare la cintura e magari trasporta passeggeri sul parafango del trattore. Il vestiario è spesso costituito da vecchi abiti che non essendo aderenti può provocare impigliamenti negli organi in movimento.
Perché il lavoratore, anche più sprovveduto, indossa sempre le scarpe antinfortunistiche? Non lo fanno solo gli operai dell’industria ma anche il corriere che consegna i pacchi a casa nostra e l’addetto della grande distruzione. Forse per questo dispositivo personale i lavoratori hanno percepito l’utilità, magari anche grazie a qualche contusione passata, mentre per il mancato uso degli altri dispositivi non sempre ci può essere una seconda possibilità e quindi non c’è tempo di fare esperienza.
Ma la ricerca della soluzione per ridurre gli infortuni può essere limitata solo a datore di lavoro e lavoratore? Molti infortuni anche gravi sono legati ad aspetti che possono sembrare non direttamente collegati. La necessità, ad esempio, di svolgere il lavoro rapidamente per non interrompere un ciclo produttivo o un servizio oppure per ottimizzare economicamente la giornata di lavoro è sicuramente un aspetto significativo. Montare un’impalcatura agganciando l’imbracatura ad ogni spostamento rallenta il lavoro; effettuare la manutenzione potendo contare solo su tempi brevi fa perdere di lucidità ed in qualche caso costringe a non rispettare le regole.
Il concetto di “consapevolezza del rischio” deve essere quindi allargato. La sicurezza si ottiene anche agendo sui costi perché una corsa al “ribasso” impone tempi più stretti di realizzazione. Seguire le regole benché possa sembrare “ridondante” serve ad evitare che si verifichi anche l’evento straordinario.
La riduzione degli infortuni dovrebbe essere percepita, anche dall’opinione pubblica, come un obiettivo da perseguire perché ha un costo sociale. Il servizio sanitario deve prestare le necessarie cure mediche, ci sono rendite economiche da sostenere e ci sono mancati guadagni da parte degli imprenditori e dei lavoratori.
La formazione a partire dalle scuole primarie è uno strumento utile ma anch’essa non sembra sortire l’effetto sperato ed anche la formazione periodica dei lavoratori, se mal progettata, viene percepita dai lavoratori solo in termini di tempo occupato che di miglioramento delle conoscenze. “A che ora finiamo?” “possiamo finire un poco prima?” sono le domande che ogni formatore si è sentito fare all’inizio dei momenti formativi.
E se nei percorsi formativi si introducesse il modulo “esiti degli infortuni”? In altre occasioni, come la prevenzione nella sicurezza stradale sono stati utilizzati argomenti scioccanti per attirare l’attenzione dell’ascoltatore che forse restano maggiormente nella memoria. Cosa è successo a chi è caduto da un ponteggio, ha utilizzato macchine prive di protezioni, si è ribaltato con un trattore?
Probabilmente la riduzione degli infortuni si potrà ottenere solo se aumenta la “consapevolezza dei rischi” da parte dei lavoratori, datori di lavoro ma anche di tutti gli altri soggetti che possono favorire l’insicurezza perché organizzano il lavoro decidendone i costi, i tempi di realizzazione ecc.
Michele del Gaudio
Primo ricercatore INAIL UOT CVR Avellino
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Rispondi Autore: Sara.g - likes: 0 | 29/09/2023 (07:43:17) |
Bell’articolo e riflessione più che condivisibile. È sempre e solo questione di mentalità, e quella cambia solo col tempo, solo un po’ per volta e solo se tutti (o almeno la grande maggioranza) prende parte al cambiamento. Viviamo ancora in un’epoca dove il falegname dice che “se arrivi alla pensione con tutte e 10 le dita allora non hai lavorato bene”. Questo non si risolve con una multa, con un corso o una consulenza. Credo che lo strumento più efficace sia l’esempio. Normalizzare le misure di sicurezza e non renderle un qualcosa di speciale. A costo di “ghettizzare” chi le rifiuta. |
Rispondi Autore: Sergio Misuri - likes: 0 | 29/09/2023 (07:57:54) |
Probabilmente la riduzione degli infortuni si potrà ottenere solo se aumenta la “consapevolezza dei rischi” da parte dei lavoratori, che rischiano la loro incolumità. Dopo aver elencato tutti gli strumenti e le azioni efficaci (se ben attuati) nei confronti dei rischi "palesi" individuati nel DVR, dobbiamo tutti prendere atto che sono inefficaci nei confronti dei rischi Residui di natura COMPORTAMENTALE, correlati alla caduta (o mancanza) di CONSPEVOLEZZA, alle DISTRAZIONI, improvvisi VUOTI DI MEMORIA, GESTI ISTINTIVI, ecc. Bisogna combattere ANCHE su questo fronte. Il miglioramento della cultura )lodevole) ha tempi troppo lunghi e risultati non omogenei, perché dipendenti dalla ricettività di ciascuno. ESISTONO decine BUONE PRASSI DIMOSTRATESI EFFICACI NEL TEMPO, che hanno un massimo comun divisore: la REITERAZIONE DI BREVI BRIEFING di sensibilizzazione e di allerta "AD PERSONAM" e "AD HOC" da volgere pre-job- Cito, per brevità, solo 2 esempi: 1) La Buona Prassi della USL 7 di Siena validata nel 2010 (?) dalla Commissione Consultiva Permanente. 2) La Buona Prassi di ACCIAI SPECIALI TERNI i cui ottimi risultati sono stati dichiarata nel 2021 dall'Amministratore Delegato in un'intervista al Corriere della Sera. Ne esistono altre decine pubblicate da prestigiose Organizzazioni italiane e internazionali. Nel ns- piccolo, da queste Buone Prassi abbiamo preso spunto (in benchmark) per sviluppare il Sistema “On Site Smart Safety 4.0” (2018 - premio Innovazione AIFOS e 1° premio nazionale per la sicurezza GRAND PRIX EXPOTRAINING) Anche INAIL e SUVA hanno presentato (o suggerito) analoghi briefing pre-job Sono azioni IMMEDIATAMENTE IMPLEMENTABILI anche NELLE MPMI. |
Rispondi Autore: Gianni - likes: 0 | 29/09/2023 (08:28:54) |
Condivido il commento di Sara.g e mi permetto solo di aggiungere che non credo sia questione di tempo e di un passo alla volta in quanto del tempo e dei passi ne son passati tanti, troppi, a mio avviso è una questione di mentalità imposta da un sistema che è vecchio più del mondo, o si aggiorna velocemente, oppure, è già molto se assistiamo alle conseguen- ze. |
Rispondi Autore: paolo ius - likes: 0 | 29/09/2023 (08:53:31) |
Condivido pienamente l'articolo, avendo peraltro espresso opinioni sovrapponibili in altra occasione. Non condivido invece il commento sui tempi troppo lunghi di Sergio Misuri. ritengo fondamentale agire sulla cultura della sicurezza e in particolare sull'importanza della consapevolezza. Essenziale è inoltre la competenza di chi esegue i controlli - Enti di controllo ma anche Certificatori - evitando di soffermarsi sulle parti burocratiche e attribuendo adeguaTA importanza alla sicurezza (ma, appunto, è NECESSARIA la competenza!) |
Rispondi Autore: Silvestro Casella - likes: 0 | 29/09/2023 (09:58:38) |
Grazie per questa bella riflessione che spero non rimanga solo tale. |
Rispondi Autore: Carmelo Catanoso - likes: 0 | 29/09/2023 (11:14:07) |
Se si volesse fare qualcosa per sviluppare la consapevolezza, soprattutto quella situazionale oltre che quella del rischio, si potrebbe cominciare con quanto proposto in un mio articolo lo scorso 24 luglio su Puntosicuro. |
Rispondi Autore: Maurizio Mazzetti - likes: 0 | 29/09/2023 (11:23:48) |
Le considerazioni svolte dall'autore sono condivisibili, come pure i commenti. Ciò che si trascura, e che trascurano le aziende stesse, è 1) che infortuni e malattie professionali sono un costo non solo per la collettività ma anche per l'azienda stessa, e che i costi della "non sicurezza" sono maggiori dei costi necessari alla sicurezza stessa (qualche pubblicazione dell'Agenzia di Bilbao stimava il ROI superiore al 2) che la gestione della sicurezza è parte integrante della gestione aziendale. Certo non è facile, chiunque come datore di lavoro si sia trovato a gestire un'unità organizzativa ed approcciare un DVR si rende conto della distanza tra due mondi che nascono paralleli ... dovrebbero andare insieme. Ma qui c'è un problema di cultura e competenza che riguarda non solo datori di lavoro, lavoratori e vigilanza, ma anche i consulenti ..... |
Rispondi Autore: Sergio Misuri - likes: 0 | 29/09/2023 (21:26:34) |
La Guerra contro gli infortuni, per la sua oggettiva complessità e varietà di situazioni, non si può combattere con un'unica strategia. Occorre un arsenale articolati di tasti. Richiede sicuramente una consolidata CULTURA della sicurezza sul lavoro, che è la STRADA MAESTRA, da percorrere senza incertezze, notte e giorno. Ripeto: la CULTURA è un processo dovuto, necessario, sacrosanto e deve essere incentivato al massimo. Così come è premessa indispensabile il rigoroso rispetto di tutte le azioni di prevenzione prescritte dalle Norme. MA, nel breve termine, tutto ciò NON BASTA! Non si cambiano in tempi brevi abitudini consolidate negli anni, del tipo: "abbiamo sempre fatto così e non è mai successo niente di grave". Oppure: "mi servono pochi minuti per finire". Oppure: "queste precauzioni vanno bene per i principianti; non servono per me che lavoro da 30 anni e non mi sono mai scalfito un mignolo". Ecc. 1) Contro le IMPRUDENZE INVOLONTARIE occorre la REITERAZIONE di brevi e istantanee “PILLOLE” di ALLERTA (addestramento ad hoc) per rendere più facili (possibilmente istintive) le azioni “virtuose” e più “difficili” (quasi “autobloccanti”) i comportamenti imprudenti. Queste ricette, suggerite dalle più prestigiose Organizzazioni, sono immediatamente fruibili anche dalle PMI. Occorrono 2-3 minuti "ad hoc" di allerta prejob. Risultati positivi immediatamente fruibili (anche se. ovviamente, non immunizzanti) 2) Occorre anche la DISCIPLINA nella SORVEGLIANZA che il Datore di Lavoro deve pretendere dai Preposti e la DISCIPLINA nei COMPORTAMENTI che i Preposti devono “spiegare”, promuovere PROGRESSIVAMENTE NEI LAVORATORI e VIGILARE ASSIDUAMENTE , per contrastare le CATTIVE ABITUDINI, tollerate quasi sempre perché ritenute generalmente a bassissimo rischio statistico, che non significa IMMUNITÀ. Il lungo cammino nella strada maestra è fatto dunque di PICCOLI continui PASSI, in una direzione di marcia ben precisa (CONSAPEVOLEZZA). Se non si inizia ORA con i PRIMI TIMIDI PASSI, tra decenni saremo sempre al punto di partenza e la battaglia contro gli INFORTUNI non sarà neanche iniziata o sarà combattuta con fionde e lanterne in mano ai volenterosi in cerca di CULTURA. i |
Rispondi Autore: CF@S - likes: 0 | 30/09/2023 (07:10:14) |
Tutto vero e sottoscrivo tutto. Ma tuttavia a mio avviso per quanto impopolare possa essere scriverlo ci sono due punti fondamentali da sottolineare. 1. La consapevolezza del rischio e successivo danno un lavoratore può svilupparla solo se conosce perché informato il rischio stesso e l’effetto probabile del danno su di lui anche con video e immagini shock. 2. Purtroppo se non si mette un “ tetto” al profitto una impresa sarà sempre spinta a “ far di più “ sacrificando risorse e tempo su ciò che “ non rende” come le procedure, formazione, dpi della sicurezza. Ho ovviamente sintetizzato. Ma se ci fosse un reale volontà politica ( trasversale) è fattibile e non parlo solo di repressione. |
Rispondi Autore: Leonardo Cuccaro - likes: 0 | 30/09/2023 (08:21:13) |
Più che vittime del lavoro, oppure quando si usa il termine improprio di "MORTI BIANCHE" io parlerei di "VITTIME DEL MERCATO SPIETATO". Provate a confrontare la validità amministrativa di un qualsiasi CONTRATTO QUADRO di Appalto in Italia (con le singole voci di costo per la varie prestazioni di lavoro e Servizi) con un omologo CONTRATTO di 10 -15 anni fa. Vi accorgerete che gli attuali, anziché costare di più (per seguire INFLAZIONE, COSTO DELLA VITA, SVALUTAZIONE DELLA MONETA, etc) costano meno (per seguire le STRATEGIE DI MASSIMA RIDUZIONE COSTI FISSI E VARIABILI). Il management aziendale, dal piccolo al medio al grande imprenditore, cosa fa? Ed è qui che si consumano le scelte e gli equilibri economici che prendono la loro forma nelle stazioni appaltanti. Le DISECONOMIE e le ESTERNALITA' fanno da padrone nel sistema economico. In una economia keynesiana è lo Stato che DEVE fare la parte del BUON PADRE DI FAMIGLIA. Concordo con Catanoso quando afferma che non c'è volontà vera di agire, da parte degli organi statali e politici competenti (....scusate, ho sbagliato aggettivo - > INCOMPETENTI !) |