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Bonifiche: lo stato dell’arte sulla posizione del proprietario incolpevole
Uno dei temi più dibattuti in materia di bonifiche ambientali è certamente quello della esatta individuazione degli obblighi e della conseguente delimitazione delle responsabilità che gravano sui soggetti che, pur entrando (a vario titolo) in relazione con un sito contaminato, non siano tuttavia responsabili della situazione di inquinamento in cui lo stesso versa.
Molti dubbi sono sorti a questo riguardo anche a causa dei ripetuti tentativi della giurisprudenza di ricondurre i predetti soggetti nel novero di quelli obbligati ad eseguire i vari interventi (di carattere sia emergenziale sia ripristinatorio) previsti dalla legge. Tentativi la cui ragione è facilmente intuibile: essendo tutt’altro che agevole individuare il soggetto a cui sia imputabile una responsabilità per l’inquinamento (si pensi, in particolare, ai fenomeni di contaminazione “storica”), il proprietario del sito è spesso l’unico soggetto facilmente rintracciabile e/o ancora solvibile al momento in cui le indagini volte ad accertare le responsabilità siano state completate.
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Ciò premesso, è opportuno partire ricordando brevemente cosa prevede la vigente normativa italiana (contenuta nel Titolo V della Parte Quarta del d. lgs. 152/2006) sul punto.
Secondo il combinato disposto degli artt. 242 e 304 del d. lgs. 152/2006, al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito o anche all’atto dell’individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento, il responsabile dell’inquinamento deve realizzare entro 24 ore le (eventuali) misure di prevenzione necessarie e comunicare immediatamente alle autorità competenti (il Comune, la Provincia, la Regione ed il Prefetto) «le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire» ai sensi e secondo le modalità stabilite dall’art. 304, comma 2, d. lgs. 152/2006. Il mancato rispetto dei suddetti obblighi comporta a carico di questo soggetto precise responsabilità, anche di natura penale. In particolare, l’art. 257, comma 1, del d. lgs. 152/2006 sanziona penalmente, tra le altre cose, la «mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242», sopra menzionata. Il reato di cui all’art. 257, comma 1, è ricompreso, peraltro, tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa da reato degli enti ai sensi dell’art. 25-undecies, d. lgs. 231/2001 (cosiddetta “responsabilità 231” della società), e ad esso si è affiancato, di recente, il nuovo delitto di «omessa bonifica» di cui all’art. 452-terdecies del codice penale (inserito ad opera della legge 68/2015) , delitto che ha portata più generale (l’economia del presente contributo non consente di soffermarsi sulle problematiche interpretative suscitate da questa nuova disposizione).
Per quanto concerne, invece, gli specifici obblighi dei soggetti non responsabili dell’inquinamento, la norma di riferimento è l’art. 245, comma 2, d. lgs. 152/2006, la quale stabilisce che anche «il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla Regione, alla Provincia ed al Comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242».
Come si vede, questa disposizione si applica non soltanto al proprietario “incolpevole” (della situazione di contaminazione in cui versa il sito), ma anche al «gestore dell’area», figura a cui appare presumibile ritenere che siano riconducibili tutti i soggetti che occupino, a vario titolo (ad esempio, in locazione o in comodato), il sito [1].
Essa pone a carico di questi soggetti un duplice obbligo:
1) di informativa (la comunicazione di cui si è detto, appunto);
2) di intervento, limitato però alle sole «misure di prevenzione».
Ci si è chiesti se la mancata effettuazione della comunicazione di cui l’art. 245, comma 2, d. lgs. 152/2006 esponga il proprietario incolpevole (e, ove presente, il gestore dell’area) a responsabilità di natura penale. A questa domanda, la giurisprudenza largamente maggioritaria ha fornito risposta negativa, ritenendo che del reato di omessa comunicazione possa essere chiamato a rispondere soltanto il soggetto responsabile dell’'inquinamento [2].
Non è escluso, tuttavia, che questi soggetti possano incorrere, in caso di omessa o tardiva comunicazione, nella applicazione della sanzione amministrativa di cui all’art. 304, comma 2, d. lgs. 152/2006 (l’art. 245, comma 2, infatti, rinvia a questo proposito all’art. 242, che, a propria volta, rinvia proprio all’art. 304, comma 2) in forza del quale «se l’operatore non provvede (…) alla comunicazione di cui al presente comma, l’autorità preposta al controllo o comunque il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare irroga una sanzione amministrativa non inferiore a mille euro né superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo».
Quanto, poi, alle «misure di prevenzione» che, come si è detto, anche il proprietario incolpevole (e, ove presente, il gestore dell’area) sono obbligati ad eseguire, occorre ricordare che esse sono definite dall’art. 240, comma 1, lett. i), d. lgs. 152/2006 come «le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia». Questo obbligo presuppone, pertanto, l’esistenza (e la concreta dimostrabilità) di una «minaccia imminente» di un danno che non si sia ancora verificato e della necessità/possibilità di adottare iniziative di “somma urgenza” idonee ad impedire o minimizzare questa minaccia.
Si tratta di presupposti che, evidentemente, devono essere accertati mediante opportuni approfondimenti tecnici e che difficilmente possono sussistere qualora ci si trovi di fronte a situazioni di contaminazione “storica” o comunque “statica”.
Se non ricorrono questi presupposti, non essendo necessaria l’adozione di «misure di prevenzione», sul proprietario incolpevole e sul gestore dell’area in quanto tali non grava alcun obbligo di intervento.
La giurisprudenza, dopo alcune oscillazioni, ha confermato quanto è desumibile dal tenore letterale delle citate norme, escludendo così che questi soggetti siano obbligati ad eseguire non soltanto gli interventi di carattere ripristinatorio (bonifica e ripristino ambientale) o comunque “definitivo” (messa in sicurezza permanente), ma anche quelli di natura emergenziale (messa in sicurezza di emergenza) [3] o “interlocutoria” (messa in sicurezza operativa). Ciò perché tutti questi interventi richiedono, in ossequio al principio «chi inquina paga», la dimostrazione di una responsabilità per la situazione di contaminazione (dimostrazione per la quale si può fare ricorso anche alle presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c., utilizzando la regola probatoria del “più probabile che non”).
Sulla questione è stata addirittura chiamata a pronunciarsi la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che, con la sentenza del 4 marzo 2015 (pronunciata nella causa C‑534/13), ha messo un importante punto fermo nella querelle che da tempo impegnava la giurisprudenza italiana, confermando che la disciplina di cui al d. lgs. 152/2006, laddove circoscrive gli obblighi e le responsabilità del proprietario nei termini sopra richiamati, è conforme alla direttiva 2004/35/CE (in materia di danno ambientale; va ricordato, infatti, che a livello europeo non esiste una normativa in tema di bonifica dei siti inquinati analoga a quella contenuta nel Titolo V della Parte Quarta del d. lgs. 152/2006) [4].
Questa conclusione impone, però, due precisazioni:
1) in presenza di un inquinamento “dinamico”, cioè ancora in corso (ad esempio, perché vi sono dei serbatoi che perdono o dei sottoservizi ammalorati) o comunque ancora suscettibile di aggravamento (perché, ad esempio, può ancora propagarsi all’esterno del sito o può ancora trasmigrare dal suolo alla falda sottostante o, ancorra, raggiungere le acque sotterranee attinte mediante pozzi utilizzati ad uso irriguo, ecc.), vi è evidentemente il rischio che un soggetto il quale occupi materialmente l’area e prosegua l’attività – in precedenza svolta da un diverso soggetto – da cui deriva l’inquinamento possa contribuire ad aggravarlo; in tal caso, ne risponderà a tutti gli effetti come soggetto responsabile (o, meglio, “corresponsabile”, essendogli imputabile, a rigore, soltanto di avere “peggiorato” una situazione già in essere al momento del suo insediamento) [5];
2) ricorrendone i presupposti di straordinarietà e urgenza, nonché di effettivo e concreto pericolo per la salute e/o l'incolumità pubblica, anche al proprietario incolpevole e al gestore dell’area – dunque, a prescindere dall’accertamento di una responsabilità – potrebbero essere legittimamente indirizzate, in via del tutto eccezionale, delle ordinanze contingibili e urgenti (in particolare, quelle spettanti al Sindaco in forza degli articoli 50 e 54, d. lgs. 267/2000) che impongano determinati obblighi di intervento al fine di fronteggiare situazioni di inquinamento. Questo perché (cfr. Consiglio di Stato, 2 aprile 2003, n. 1678) «la ricerca dell’obbligato di diritto, mediante accertamenti complessi e laboriosi, potrebbe essere incompatibile con l’intrinseca natura dei provvedimenti contingibili ed urgenti»; pertanto, impregiudicata ogni rivalsa nei confronti dell’effettivo responsabile, il soggetto destinatario del provvedimento contingibile ed urgente può essere «individuato (anche) in chi con il bene si trovi in rapporto tale da consentirgli di eseguire con celerità gli interventi ordinati, ritenuti necessari per fronteggiare la situazione di pericolo», tenuto conto della «natura ripristinatoria d’urgenza e non sanzionatoria del provvedimento contingibile», ma salvo «dover verificare in un successivo momento i soggetti a cui effettivamente accollare le spese sostenute per il perseguimento, d’ufficio, della tutela degli interessi della collettività interessata» (sul tema cfr. anche Consiglio di Stato, 14 maggio 2015, n. 2462).
Precisati nei termini anzidetti gli obblighi del proprietario incolpevole, è opportuno ricordare in questa sede che, sempre secondo l’art. 245, comma 2, d. lgs. 152/2006 «è comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell’ambito del sito in proprietà o disponibilità».
Questa disposizione, come si vede, si riferisce, oltre che al proprietario incolpevole e al gestore dell’area (che è indirettamente richiamato dalla circostanza che si faccia riferimento al sito “in disponibilità”), anche ad altri soggetti, genericamente definiti «interessati» (si pensi, ad esempio, al promissario acquirente di un’area nella quale intenda realizzare un compendio immobiliare: questo soggetto avrà dunque tutto l’interesse a velocizzare i tempi di realizzazione della bonifica, senza poter attendere che vi proceda d’ufficio la pubblica amministrazione).
Essa è chiara nello stabilire che questi soggetti, a differenza del responsabile dell’inquinamento, hanno soltanto la facoltà, ma non anche l’obbligo di adottare eventuali interventi di messa in sicurezza di emergenza e/o di realizzare la bonifica e il ripristino ambientale del sito (e, di recente, la giurisprudenza ha ribadito che i soggetti non responsabili non sono tenuti nemmeno ad eseguire la caratterizzazione dell’area, cfr. Consiglio di Stato, 16 luglio 2015, n. 3544). Essi, di conseguenza, non possono incorrere in alcuna responsabilità di natura penale ove non vi provvedano.
Nella pratica, sono sorti dubbi in merito al fatto che il soggetto che abbia deciso di attivarsi volontariamente per realizzare la bonifica ai sensi del citato art. 245, comma 2, d. lgs. 152/2006 si assuma così l’obbligo di portarla a termine.
Sul punto, nel corso del tempo, si sono registrate tre diverse posizioni giurisprudenziali:
1) secondo una prima tesi, una volta avviato – per quanto volontariamente – il procedimento di bonifica, l’interessato non potrebbe fermarsi alla sola messa in sicurezza e alla redazione del piano di caratterizzazione, ma dovrebbe concludere l’intero procedimento e realizzare anche la bonifica e il ripristino ambientale dell’area già configurate nel piano di caratterizzazione. Non rileverebbe, pertanto, «il profilo della effettiva responsabilità e l’applicazione del principio comunitario “chi inquina paga”, che potranno essere richiamati in rivalsa nei confronti dei ritenuti responsabili» (TAR Toscana, 22 giugno 2010, n. 2035);
2) una seconda tesi – per così dire, “intermedia” – muove dalla considerazione che la responsabilità del soggetto che interviene per avviare la bonifica trarrebbe origine dall’atto con cui egli si impegna volontariamente ad attuare una serie di adempimenti. Ne conseguirebbe, secondo questa tesi, che non si può desumere da questa iniziativa volontaria l’assunzione di un impegno ad eseguire qualsiasi intervento, ma solo di quelli prevedibili nel momento in cui l’iniziativa è stata posta in essere, secondo criteri di normalità. In altre parole, «l’atto volontario di impegno all'intervento di messa in sicurezza implica l'assunzione di un sacrificio patrimoniale, da contenere però nei limiti della normalità, e cioè della prevedibilità. Il contenuto del giudizio (di prevedibilità) attiene in questo caso alla misura del proprio intervento come conseguenza probabile dell'iniziativa assunta» (TAR Lombardia, Brescia, 16 marzo 2006, n. 291);
3) la giurisprudenza più recente, invece, ha affermato che la procedura di bonifica, se «fondata sulla volontaria iniziativa del proprietario dell’area inquinata», «prosegue solo fino a quando permanga l’adesione dell’interessato, sicché, qualora sopravvenga, come nel caso di specie, l’indisponibilità del proprietario, la procedura si arresta e l’amministrazione non dispone di poteri autoritativi diretti ad imporre misure correlate all’attuazione di interventi programmati ai sensi dell’art. 245 del d.l.vo 2006 n. 152» (TAR Lombardia, Milano, 8 luglio 2014, n. 1768). Quest’ultima posizione – la quale, per inciso, è l’unica in cui la giurisprudenza si è pronunciata in base alla disciplina del d. lgs. 152/2006 (le prime due citate sentenze, infatti, riguardavano situazioni a cui era applicabile ratione temporis il precedente regime incentrato sul d. lgs. 22/1997 e sul DM 471/1999) – appare quella maggiormente in linea con quanto previsto dalla vigente normativa.
Chiariti il novero e i limiti degli obblighi di intervento posti a carico del proprietario incolpevole di un sito contaminato, occorre però ricordare che, se gli interventi vengono realizzati dalla pubblica amministrazione – e ciò avviene qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dalla normativa in questione oppure non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati –, il proprietario non responsabile dell’inquinamento è tenuto a rimborsare le relative spese, anche se soltanto nei limiti del «valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi», conservando il diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento; questa ripetizione delle spese a carico del proprietario incolpevole può peraltro avvenire solo a seguito di un «provvedimento motivato dell’autorità competente che giustifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità» (cfr. artt. 250 e 253, d. lgs. 152/2006).
In altre parole, sul proprietario non responsabile grava soltanto una responsabilità di natura patrimoniale, limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica.
Di questo rischio di carattere “economico” dovranno tener conto – si potrebbe dire, a maggior ragione – coloro i quali non siano ancora proprietari di un’area, ma intendano diventarlo. Ci si riferisce, ovviamente, ai potenziali acquirenti, che, prima di perfezionare l’acquisto, non potranno oggi esimersi dal compiere un’accurata due diligence ambientale avente natura sia tecnica sia legale [6].
In conclusione, può non essere superfluo ribadire come il proprietario (che si ritenga) “incolpevole” debba però, per evitare di incorrere in responsabilità, premurarsi, da un lato, di dimostrare l’assenza di una propria responsabilità e, dall’altro, di verificare se, in presenza di un inquinamento, vi sia o meno la necessità di adottare delle «misure di prevenzione» o di altre misure emergenziali.
Quanto al primo aspetto, il proprietario dovrà provare la mancanza di un nesso di causa fra la propria attività e l’inquinamento che dovesse emergere (o, come si è detto, anche soltanto fra la propria attività e l’“aggravamento” dell’inquinamento eventualmente già presente nel sito e riconducibile a pregresse attività; quest’ultimo rischio risulta particolarmente elevato, ovviamente, ogniqualvolta questi sia subentrato nell’esercizio di una attività produttiva già in essere e non vi abbia apportato significative variazioni). Con riferimento, invece, alla seconda verifica, benché, come detto, il proprietario abbia l’obbligo di realizzare solo le «misure di prevenzione», essa ben potrebbe estendersi a considerare anche la necessità o meno di eseguire interventi di messa in sicurezza d’emergenza: non va trascurato, infatti, che questi ultimi interventi potrebbero consentire di limitare la diffusione della contaminazione e, pertanto, ricordando la responsabilità patrimoniale (cioè, economica) comunque gravante sul proprietario anche per contaminazioni di cui non sia responsabile, di ridurre il costo della futura bonifica.
Mara Chilosi e Andrea Martelli
avvocati
[1] Non risulta che la giurisprudenza si sia mai pronunciata sulla figura del «gestore dell’area» richiamata dall’art. 245, comma 2 , d. lgs. 152/2006. Lo ha fatto, però, con riferimento alla figura, per certi versi analoga, del «titolare di diritti reali o personali di godimento» richiamata dall’art. 192, comma 3 (in materia di abbandono di rifiuti), dello stesso d. lgs. 152/2006, osservando che «le esigenze di tutela ambientale sottese alla norma (…) rendono evidente che il riferimento a chi è titolare di diritti reali o personali di godimento va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque soggetto si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto, tale da consentirgli – e per ciò stesso imporgli – di esercitare una funzione di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l'area medesima possa essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia dell'ambiente» (così Cons. Stato, 13 gennaio 2010, n. 84; v. anche Cass. Civ., Sez. Unite, 25 febbraio 2009, n. 4472)
[2] La Cass. pen. Sez. III, con sentenza n. 18503/2011 ha, in particolare, osservato che «l'art. 257, comma 1 sanziona penalmente due ipotesi distinte: l'omessa bonifica del sito inquinato e la mancata comunicazione dell'evento inquinante alle autorità competenti secondo le modalità indicate dall'art. 242. In entrambi i casi il destinatario del precetto è tuttavia lo stesso e, cioè, colui il quale cagiona l'inquinamento.
Ad avvalorare tale conclusione sta il rilievo che l'art. 257, comma 1 non menziona altri soggetti e ciò benché l'art. 242 preveda che la procedura di comunicazione debba trovare applicazione anche all'atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.
L'autonomia della posizione di colui il quale cagiona l'inquinamento rispetto a quella di colui il quale accerti la sussistenza di contaminazioni sul suolo è rimarcata dall'art. 245 che ha per oggetto gli obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione. (…).
Da quanto precede emerge che sotto il profilo formale l'obbligo di comunicazione per gli "interessati non responsabili" risiede in realtà nell'art. 245 e non già nell'art. 242 richiamato unicamente dall'art. 245 stesso per la disciplina degli aspetti procedimentali.
Per cui se il legislatore avesse voluto fare riferimento nell'art. 257 anche a coloro che non hanno cagionato l'inquinamento, (…) non solo avrebbe dovuto menzionare anche questi ultimi quali soggetti attivi del reato, ma necessariamente avrebbe dovuto fare riferimento all'art. 245 (e non art. 242) per individuare l'obbligo di comunicazione gravante su questi ultimi. Il che non è».
[3] È rimasto minoritario, infatti, l’orientamento giurisprudenziale (cfr. ad esempio TAR Friuli-Venezia Giulia, 31 maggio 2013, n. 318) secondo il quale, ove vi sia un pericolo di inquinamento, gli artt. 245, comma 2, e 304 d.lgs. 152/2006 estenderebbero al proprietario ed al gestore dell’area gli obblighi che l’art. 242 fa gravare sul responsabile dell’inquinamento (in particolare, l’obbligo di eseguire la «messa in sicurezza di emergenza», ciò in ragione del rapporto intrattenuto con l’area inquinata dal proprietario incolpevole o dal gestore che consentirebbe loro di intervenire con la sollecitudine richiesta dagli interventi di questa specie).
[4] È rimasto minoritario, infatti, l’orientamento giurisprudenziale (cfr. ad esempio TAR Friuli-Venezia Giulia, 31 maggio 2013, n. 318) secondo il quale, ove vi sia un pericolo di inquinamento, gli artt. 245, comma 2, e 304 d.lgs. 152/2006 estenderebbero al proprietario ed al gestore dell’area gli obblighi che l’art. 242 fa gravare sul responsabile dell’inquinamento (in particolare, l’obbligo di eseguire la «messa in sicurezza di emergenza», ciò in ragione del rapporto intrattenuto con l’area inquinata dal proprietario incolpevole o dal gestore che consentirebbe loro di intervenire con la sollecitudine richiesta dagli interventi di questa specie).
[5] È rimasto minoritario, infatti, l’orientamento giurisprudenziale (cfr. ad esempio TAR Friuli-Venezia Giulia, 31 maggio 2013, n. 318) secondo il quale, ove vi sia un pericolo di inquinamento, gli artt. 245, comma 2, e 304 d.lgs. 152/2006 estenderebbero al proprietario ed al gestore dell’area gli obblighi che l’art. 242 fa gravare sul responsabile dell’inquinamento (in particolare, l’obbligo di eseguire la «messa in sicurezza di emergenza», ciò in ragione del rapporto intrattenuto con l’area inquinata dal proprietario incolpevole o dal gestore che consentirebbe loro di intervenire con la sollecitudine richiesta dagli interventi di questa specie).
[6] Peraltro, con riferimento all’operazione avente ad oggetto il trasferimento della titolarità di un sito contaminato, è bene precisare altresì che il venditore che sia anche il responsabile dell’inquinamento, a propria volta, non potrà confidare troppo nella possibilità di “trasferire” all’acquirente, mediante lo strumento del contratto, la responsabilità di eseguire gli interventi di bonifica e ripristino; come ha correttamente ricordato anche di recente la giurisprudenza, infatti, «laddove si ammettesse la possibilità di derogare in via convenzionale al basico criterio di distribuzione del “chi inquina paga”, si consentirebbero agevoli elusioni degli obblighi di prevenzione e riparazione imposti dalla pertinente normativa di settore» (cfr. la già citata sentenza del Consiglio di Stato n. 4225/2015).
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