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Morti sul lavoro e non soltanto schiavi, uno sguardo a 360 gradi

Morti sul lavoro e non soltanto schiavi, uno sguardo a 360 gradi

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Categoria: Approfondimento

12/05/2025

La sicurezza sul lavoro non è un’emergenza ma un fatto quotidiano: serve una nuova cultura condivisa e una nuova cultura del lavoro oltre la burocrazia e l’indifferenza. A cura del Dott. Giuseppe Leocata.


Settembre 2022 - A Milano un operaio marocchino di 51 anni, E. H. F., è morto cadendo da un'altezza di circa 20 metri. Stava lavorando a una facciata quando è caduto. Era sospeso in aria e sarebbe caduto perché avrebbe sbagliato corda. Sembra che il lavoro rientrasse nel superbonus del 110% ma non si trovavano più ponteggi e l’impresa è ricorsa al “lavoro in fune”.

 

Settembre 2022 – È morto in ospedale, dopo due settimane di agonia, l’operaio edile egiziano 31enne, M. A. S. A.; era rimasto schiacciato da un pantografo elevatore in un cantiere. (Per diversi giorni nessuno ne conosceva l’identità). Nel settore dell’edilizia domina il subappalto e si riscontra la "cessione di identità" da parte di stranieri in regola per consentire ad altri stranieri senza permesso di soggiorno di lavorare, in cambio di una parte dei guadagni.

 

Luglio 2024 - È morto S.S, il bracciante agricolo indiano a Latina, rimasto mutilato per la perdita di un braccio (poggiato su una cassetta di frutta) e abbandonato dal datore di lavoro a casa sua. Nessuno dei «caporali» è intervenuto per soccorrerlo. Nonostante perdesse molto sangue, è stato lasciato solo: esclusivamente la moglie a vigilare su di lui. Il datore di lavoro ha dichiarato: “Una leggerezza sua che è costata cara a tutti”. S. e sua moglie vivevano in una scatoletta con il tetto in lamiera; erano “ospitati” da una famiglia italiana e poche ore dopo, la moglie di S. è finita in strada, gli italiani che la “ospitavano" non potevano più tenerla.

 

Inizia riportando questi casi esemplificativi un contributo di un nostro lettore, il Dott.  Giuseppe Leocata, specialista in Medicina del Lavoro ed esperto in disabilità e lavoro, dal titolo “Morti sul lavoro e non soltanto schiavi, uno sguardo a 360 gradi”.



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Morti sul lavoro e non soltanto schiavi, uno sguardo a 360 gradi

 

Scrivere di questa problematica cruciale nel nostro Paese, non è semplice e non ci si può limitare a parlare soltanto dei nuovi schiavi. Questi eventi non vanno considerati una ‘emergenza’ (dopo un po’ dimenticata) ma ‘fatti quotidiani’, bisogna leggere fra le righe della realtà e riprendere un vecchio detto: “Pensare globalmente e agire localmente per cambiare il mondo”.

 

Negli anni ’70, si erano definite delle metodologie di intervento nei luoghi di lavoro sulla salute e la sicurezza fondate sui seguenti principi: partecipazione diretta dei lavoratori, soggettività operaia, rifiuto della monetizzazione dei rischi e della nocività nei luoghi di lavoro, rifiuto della delega della propria salute ai tecnici da parte del gruppo operaio omogeneo; non accettazione della cosiddetta neutralità della scienza e della tecnica e della oggettività dei cicli produttivi che da esse derivano; informazione e formazione permanente, attraverso il corretto rapporto fra gruppo operaio omogeneo e tecnici.

 

La ‘memoria storica’ di quelle conquiste, purtroppo, non è stata tramandata ai giovani lavoratori, ai giovani sindacalisti, ai giovani tecnici e ai giovani medici del lavoro da parte degli ‘anziani’.

 

Nell’ambito della igiene e sicurezza del lavoro, oggi ci si deve muovere nell’ambito di norme complesse e, tuttavia, non sufficienti per tutelare la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro; è necessario ricostruire una cultura collettiva e condivisa, che oggi è decisamente in crisi; la mera imposizione è una tecnica imperfetta.

 

Vengono spesso, e soltanto annunciati ma senza un seguito, dal competente ministero interventi nella logistica, sull'organico degli ispettori, nell'edilizia, nell'estensione della copertura assicurativa a categorie di lavoratori dipendenti e autonomi oggi esclusi.

 

Si afferma, soltanto a parole, il coinvolgimento degli attori del sistema nazionale di prevenzione, il rafforzamento dei controlli, la promozione di una maggiore sensibilizzazione di lavoratori e imprese, il potenziamento della formazione e dell'informazione per costruire una cultura della sicurezza, a partire dalla scuola, il sostegno economico alle aziende. Si è definita a livello normativo la ‘patente a punti’ per le imprese, con un punteggio che calerebbe in caso di violazioni e incidenti fino a far scattare l’esclusione dalle gare o il blocco delle attività, dimenticando che negli anni passati i diritti dei lavoratori si conquistavano scendendo in piazza.

Soprattutto nelle piccole e medie imprese, le normative sulla sicurezza sono considerate un onere e un costo da ridurre, si corre troppo e sempre. Nelle aziende agricole di tutta Italia, la situazione è fuori da ogni controllo.

 

Gran parte degli infortuni sono dovuti a mancata valutazione del rischio e a mancata formazione. Esiste un falso mercato della formazione con soggetti che certificano senza fare i corsi. Inoltre, le associazioni di categoria talvolta non supportano i loro iscritti in tal senso.

 

Nelle ASL, a cui spettano i controlli su salute e sicurezza, il personale è diminuito notevolmente; esse non sono in rete tra loro e non hanno una banca dati comune con Inps e Inail. Non vi è una strategia nazionale e unitaria sui compiti e le attività dei Servizi di Vigilanza delle ASL, sono diventati una realtà residuale e vanno avanti con progetti locali e particolari, senza una visione di insieme della realtà e una reale programmazione. Si incontrano giovani medici che scelgono la specialità in medicina del lavoro come ripiego e che finiscono a fare i ‘manovali dei visitifici’ per società private e/o pubbliche o che non hanno motivazioni adeguate a svolgere i delicati ruoli degli Organi di Vigilanza delle ASL, se assunti nel Pubblico.

 

Vanno ripresi e attuati un ragionamento e un percorso operativo sul ‘macrosistema’ per ritornare al governo della ‘Politica’ sull’economia e sulla logica di banche e assicurazioni multinazionali che utilizzano la statistica e l’epidemiologia per attuare scelte con ferrea logica matematica e sempre più mirate a ciò che è più opportuno (‘redditizio’) in termini di ‘investimenti monetari’ e non ricorrendo a valutazioni mirate al sociale. La vita e la salute di ogni lavoratore non può essere ostaggio della fatalità e neppure della ‘imperfezione’ dell’essere umano. Il criterio primario nell’organizzazione di ogni luogo di lavoro, di ogni attività economica, dev’essere la sicurezza dei lavoratori.

 

Oggi si registra sempre di più la debolezza dei diversi nodi della rete della prevenzione, della salute e della sicurezza sul lavoro e all’assottigliamento delle relative maglie nell’ambito della Sanità: i Lavoratori – italiani, migranti, riders, ecc. (i quali oggi più di ieri hanno la priorità di conservare a qualunque costo il posto di lavoro e il salario, ‘prioritari’ rispetto alla loro salute globale nei luoghi di lavoro – si pensi soltanto ad esempio alle divergenze sulla lettura del disastro per la salute dei lavoratori e degli abitanti del quartiere Tamburi a causa dell’ILVA di Taranto), il Sindacato (in forti difficoltà), le Imprese virtuose (le quali andrebbero valorizzate), le Unità Operative Ospedaliere di Medicina del Lavoro (sempre più ridotte e ‘non in linea’ con la ‘mission’ delle aziende ospedaliere: ‘curare i malati’), le Cliniche Universitarie (con risorse sempre di più ridotte e che sembra abbiano perso il contatto reale con la realtà concreta del lavoro e con le persone - lavoratori, operatori, servizi territoriali e istituzioni).

 

In un sistema sanitario di imperante privatizzazione, risulta difficile pensare a delle vie di uscita per risalire la china e per garantire a tutti una sanità equa e la tutela della salute per tutti, anche nella medicina del lavoro. La Politica non c’è e non sembra essere questa l’ottica del Governo, che ha ben altro da inseguire al momento e non sembra neanche nei pensieri delle figure che operano nel settore.

 

Nell’ambito istituzionale e nelle diverse associazioni interessate è giunta l’ora di uscire dai propri orticelli e dal coltivare interessi più o meno ‘autoreferenziali’ o di ‘parrocchia’ e basati su ‘logiche mercantili’.

 

Un passo importante potrebbe essere quello di revocare l’autonomia delle Regioni sulla Sanità (modificare il famoso Titolo V della Costituzione) e ricentralizzare anche l’igiene e la sicurezza sul lavoro, mettendo ad un unico tavolo centrale e con articolazioni periferiche: INAIL, Direzione Generale del Lavoro, Ministero della Salute. Questi si dovrebbero confrontare, dopo avere definito le linee culturali e politiche della tematica, con le associazioni imprenditoriali, sindacali, dei medici del lavoro e delle figure tecniche della prevenzione, per condividere la linea e per eventuali adeguamenti. Questo percorso potrebbe essere cruciale per evitare inutili sovrapposizioni di interventi e di azioni (soltanto ad es. dal punto di vista ispettivo e dei corsi di formazione da affrontare in modo unitario e congiunto).

 

I sindacati, infine, potrebbero assumere nuovamente un ruolo prioritario nella nostra società, riprendendosi il compito di ricostruire una nuova cultura del lavoro in una società 4.0 e di occuparsi anche realmente della tutela e della formazione dei lavoratori in materia sindacale e di igiene e sicurezza del lavoro e di tutela dell’ambiente in cui viviamo, con il supporto di figure tecniche e sanitarie lungimiranti e disponibili ad agire in questa logica.

 

Chiudo con una affermazione di Ken Loach, che in relazione al suo film “I, Daniel Blake” di Ken Loach a 80 anni, ci ha trasmesso sia una riflessione spietata su un mondo sempre più cinico, distratto e inutile, sia una fiducia assoluta negli esseri umani: “Dov’è la speranza? Penso che sia nella rabbia, in una rabbia costruttiva che potrebbe trasformarsi in un movimento … Un altro mondo è possibile e necessario”.

 

 

dr. Giuseppe Leocata

Medico Chirurgo – Specialista in Medicina del Lavoro

Esperto in “Disabilità e Lavoro”

 



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Rispondi Autore: Pietro - likes: 0
12/05/2025 (10:49:34)
Grazie per aver ricordato l'importanza di un'azione sociale che negli ultimi decenni è venuta a mancare ovvero quella dei sindacati che per primi si "dovrebbero" , come giustamente scrive, prodigare per tutelare quel poco che sta rimanendo dei lavoratori nell'industria (e non solo) italiana.
Gioco-forza mancando un "buon" sollecito all'attenzione che bisognerebbe riporre su un tema così importante, quello del diritto in questo caso alla Sicurezza, sono pochi i Datori di Lavoro che osano cimentarsi con l'etica necessaria a far si che la dignità umana non finisca sempre sotto la suola delle scarpe (antifortunistiche nella migliore delle ipotesi).
Quando avremo DdL consapevoli dei costi fantasma generati dalla mancanza di sicurezza?

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