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L'APPROFONDIMENTO: ''Gli indumenti di lavoro come dispositivi di protezione individuale''
Nella Circolare n. 34 del 29 aprile 1999, avente ad oggetto "Indumenti di lavoro e dispositivi di protezione individuale", il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale si è posto l'obiettivo di dissolvere i dubbi insorti in merito agli indumenti di lavoro quando sono destinati ad assolvere ad una funzione di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, richiamando particolarmente l'attenzione sul complesso della pertinente legislazione prevenzionistica, ai fini della sua corretta e puntuale applicazione.
Dapprima vengono indicate le tre funzioni assolte dagli indumenti di lavoro:
A) elemento distintivo di appartenenza aziendale, ad esempio uniforme o divise;
B) mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all'espletamento della attività lavorativa:
C) protezione da rischi per la salute e la sicurezza.
In quanto finalizzati alla protezione dai rischi lavorativi, tali indumenti costituiscono dispositivi di sicurezza ai sensi dell'art. 40 del Decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626.
Rientrano in tale concetto di dispositivi di protezione individuale (DPI) «gli indumenti fluorescenti che segnalano la presenza di lavoratori a rischio di investimento, quelli di protezione contro il caldo od il freddo, gli indumenti per evitare il contatto con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici, ecc.»:
L'articolo 43, comma 4 del Decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626 prevede esplicitamente a carico del datore di lavoro l'obbligo di «assicurare le condizioni igieniche nonché l'efficienza dei D.P.I. ossia il mantenimento nel tempo delle loro caratteristiche specifiche quali, ad esempio, l'impermeabilità o la fluorescenza».
In tal senso va menzionata la sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 11139/98 (udienza 9 luglio 1998) del 5 novembre 1998, Burattin - Cassa T. Padova, 4 novembre 1995.
Secondo tale sentenza «l'idoneità degli strumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori - a norma dell'art. 379 d.p.r. n. 547 del 1955 fino alla data di entrata in vigore del d.leg. n. 626 del 1994 e ai sensi degli art. 40, 43, 3° e 4° comma, di tale decreto, per il periodo successivo - deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l'intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa; le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32 cost.), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, è quello di prevenire l'insorgenza e il diffondersi d'infezioni; ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell'obbligo previsto dalle citate disposizioni (fattispecie relativa ai dipendenti dell'azienda municipalizzata nettezza igiene urbana di Padova)».
Da notare che l'art. 4 lett. C) del D.P.R. 19 marzo 1956 n 303 (norme generali per l'igiene del lavoro), che prescrive che il datore di lavoro deve fornire ai lavoratori i necessari mezzi di protezione, «deve essere interpretato nella sua ampia latitudine essendo finalizzato ad ogni possibile tutela dell'incolumità, della salute e dell'igiene del lavoratore nel corso del lavoro; tale obbligo quindi non può essere limitato all'iniziale momento della fornitura del mezzo protettivo, sì da far ritenere penalmente irrilevante sia l'idoneità all'uso originaria sia quella successiva» (fattispecie relativa alla forniture ai lavoratori di impermeabili a non perfetta tenuta ad acqua (Corte di Cassazione Penale - Sez. III n° 3968 del 22/05/1986 Silvestro e Persico ).
Per gli indumenti di lavoro che assumono la caratteristica di dispositivi personali di protezione «è necessario che il datore di lavoro provveda alla loro pulizia stabilendone altresì la periodicità».
Tale pulizia «può essere effettuata sia direttamente all'interno dell'azienda, sia ricorrendo ad imprese esterne specializzate, la scelta, ricade sotto la responsabilità del datore di lavoro».
La Circolare ricorda che «in via generale, qualora gli indumenti sono o possano essere contaminati da agenti chimici, cancerogeni o biologici, nel caso che si provveda alla loro pulizia all'interno dell'azienda, il datore di lavoro dovrà tenere conto dei rischi connessi con la manipolazione ed il trattamento di tali indumenti da parte dei lavoratori addetti e pertanto dovrà applicare le stesse misure di protezione adottate nel processo lavorativo».
Tuttavia se viene scelta un'impresa esterna per provvedere a tale pulizia, il datore di lavoro in qualità di «responsabile delle buone condizioni igieniche e dell'efficienza di tali D.P.I» (efficienza che non deve essere pregiudicata da una errata pulizia), «deve preventivamente assicurarsi che l'impresa stesso abbia requisiti tecnici professionali sufficienti allo scopo e curare che tali indumenti vengano consegnati opportunamente imballati, ed evitare rischi di contaminazione esterna».
Ai sensi dell'art. 4 comma 5, lett. n del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, il datore di lavoro deve «assumere gli appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate (uso dei DPI) possano causare rischi per la salute della popolazione», e quindi anche per il lavoratore esterno, e «deve provvedere alla puntuale informazione della lavanderia esterna sulla natura dei rischi connessi alla manipolazione degli indumenti contaminati, e sulla loro entità». Si tratta di precisazioni importanti, anche se implicite e facilmente desumibili da una corretta lettura del D. Lgs. n. 626/94.
È comunque chiaro che «l'impresa esterna è responsabile della sicurezza dei propri dipendenti e dovrà pertanto provvedere alla valutazione dei rischi ed alle conseguenti misure di prevenzione e protezione, anche sulla base delle informazioni fornite dal datore di lavoro che ha conferito l'incarico della pulizia degli indumenti».
Qualora l'agente contaminante sia piombo o amianto occorrerà fare riferimento alle specifiche prescrizioni desumibili dagli art. 14 comma 2 e 28 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277. In tali casi il datore di lavoro «dovrà provvedere affinché gli indumenti di protezione siano riposti in luogo separato da quello destinato agli abiti civili; il lavaggio dovrà essere effettuato in lavanderie appositamente attrezzate, con macchine adibite esclusivamente all'attività specifica; il trasporto dovrà essere effettuato in imballaggi chiusi, opportunamente etichettati». Altrimenti, «in caso di attività comportanti determinati livelli di esposizione a piombo il datore di lavoro viola l'art. 14 comma 2 lettera b) D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, qualora i lavoratori non abbiano la disponibilità di armadietti da utilizzare esclusivamente per gli indumenti di lavoro e gli indumenti di lavoro vengano lavati dagli stessi lavoratori presso i locali dell'azienda senza particolari cautele» (Corte di Cassazione Penale - sez. III n° 6767 del 11/07/1997 Da Rin Spaletta ).
Articolo a cura di Rolando Dubini, avvocato in Milano.
Dapprima vengono indicate le tre funzioni assolte dagli indumenti di lavoro:
A) elemento distintivo di appartenenza aziendale, ad esempio uniforme o divise;
B) mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all'espletamento della attività lavorativa:
C) protezione da rischi per la salute e la sicurezza.
In quanto finalizzati alla protezione dai rischi lavorativi, tali indumenti costituiscono dispositivi di sicurezza ai sensi dell'art. 40 del Decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626.
Rientrano in tale concetto di dispositivi di protezione individuale (DPI) «gli indumenti fluorescenti che segnalano la presenza di lavoratori a rischio di investimento, quelli di protezione contro il caldo od il freddo, gli indumenti per evitare il contatto con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici, ecc.»:
L'articolo 43, comma 4 del Decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626 prevede esplicitamente a carico del datore di lavoro l'obbligo di «assicurare le condizioni igieniche nonché l'efficienza dei D.P.I. ossia il mantenimento nel tempo delle loro caratteristiche specifiche quali, ad esempio, l'impermeabilità o la fluorescenza».
In tal senso va menzionata la sentenza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 11139/98 (udienza 9 luglio 1998) del 5 novembre 1998, Burattin - Cassa T. Padova, 4 novembre 1995.
Secondo tale sentenza «l'idoneità degli strumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori - a norma dell'art. 379 d.p.r. n. 547 del 1955 fino alla data di entrata in vigore del d.leg. n. 626 del 1994 e ai sensi degli art. 40, 43, 3° e 4° comma, di tale decreto, per il periodo successivo - deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l'intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa; le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art. 32 cost.), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, è quello di prevenire l'insorgenza e il diffondersi d'infezioni; ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell'obbligo previsto dalle citate disposizioni (fattispecie relativa ai dipendenti dell'azienda municipalizzata nettezza igiene urbana di Padova)».
Da notare che l'art. 4 lett. C) del D.P.R. 19 marzo 1956 n 303 (norme generali per l'igiene del lavoro), che prescrive che il datore di lavoro deve fornire ai lavoratori i necessari mezzi di protezione, «deve essere interpretato nella sua ampia latitudine essendo finalizzato ad ogni possibile tutela dell'incolumità, della salute e dell'igiene del lavoratore nel corso del lavoro; tale obbligo quindi non può essere limitato all'iniziale momento della fornitura del mezzo protettivo, sì da far ritenere penalmente irrilevante sia l'idoneità all'uso originaria sia quella successiva» (fattispecie relativa alla forniture ai lavoratori di impermeabili a non perfetta tenuta ad acqua (Corte di Cassazione Penale - Sez. III n° 3968 del 22/05/1986 Silvestro e Persico ).
Per gli indumenti di lavoro che assumono la caratteristica di dispositivi personali di protezione «è necessario che il datore di lavoro provveda alla loro pulizia stabilendone altresì la periodicità».
Tale pulizia «può essere effettuata sia direttamente all'interno dell'azienda, sia ricorrendo ad imprese esterne specializzate, la scelta, ricade sotto la responsabilità del datore di lavoro».
La Circolare ricorda che «in via generale, qualora gli indumenti sono o possano essere contaminati da agenti chimici, cancerogeni o biologici, nel caso che si provveda alla loro pulizia all'interno dell'azienda, il datore di lavoro dovrà tenere conto dei rischi connessi con la manipolazione ed il trattamento di tali indumenti da parte dei lavoratori addetti e pertanto dovrà applicare le stesse misure di protezione adottate nel processo lavorativo».
Tuttavia se viene scelta un'impresa esterna per provvedere a tale pulizia, il datore di lavoro in qualità di «responsabile delle buone condizioni igieniche e dell'efficienza di tali D.P.I» (efficienza che non deve essere pregiudicata da una errata pulizia), «deve preventivamente assicurarsi che l'impresa stesso abbia requisiti tecnici professionali sufficienti allo scopo e curare che tali indumenti vengano consegnati opportunamente imballati, ed evitare rischi di contaminazione esterna».
Ai sensi dell'art. 4 comma 5, lett. n del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, il datore di lavoro deve «assumere gli appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate (uso dei DPI) possano causare rischi per la salute della popolazione», e quindi anche per il lavoratore esterno, e «deve provvedere alla puntuale informazione della lavanderia esterna sulla natura dei rischi connessi alla manipolazione degli indumenti contaminati, e sulla loro entità». Si tratta di precisazioni importanti, anche se implicite e facilmente desumibili da una corretta lettura del D. Lgs. n. 626/94.
È comunque chiaro che «l'impresa esterna è responsabile della sicurezza dei propri dipendenti e dovrà pertanto provvedere alla valutazione dei rischi ed alle conseguenti misure di prevenzione e protezione, anche sulla base delle informazioni fornite dal datore di lavoro che ha conferito l'incarico della pulizia degli indumenti».
Qualora l'agente contaminante sia piombo o amianto occorrerà fare riferimento alle specifiche prescrizioni desumibili dagli art. 14 comma 2 e 28 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277. In tali casi il datore di lavoro «dovrà provvedere affinché gli indumenti di protezione siano riposti in luogo separato da quello destinato agli abiti civili; il lavaggio dovrà essere effettuato in lavanderie appositamente attrezzate, con macchine adibite esclusivamente all'attività specifica; il trasporto dovrà essere effettuato in imballaggi chiusi, opportunamente etichettati». Altrimenti, «in caso di attività comportanti determinati livelli di esposizione a piombo il datore di lavoro viola l'art. 14 comma 2 lettera b) D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, qualora i lavoratori non abbiano la disponibilità di armadietti da utilizzare esclusivamente per gli indumenti di lavoro e gli indumenti di lavoro vengano lavati dagli stessi lavoratori presso i locali dell'azienda senza particolari cautele» (Corte di Cassazione Penale - sez. III n° 6767 del 11/07/1997 Da Rin Spaletta ).
Articolo a cura di Rolando Dubini, avvocato in Milano.
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