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Il pianeta si impoverisce, si ammala ed è necessario intervenire subito. Il 60 per cento dei servizi forniti dagli ecosistemi (es. acqua, cibo, regolamentazione del clima) sono degradati o utilizzati in modo insostenibile.
Lo affermano gli esperti che hanno curato il “Millennium Ecosystem Assessment”, il rapporto sullo stato degli ecosistemi del pianeta, sugli scenari futuri e sui possibili interventi, presentato ieri a Roma dalla FAO e dal WWF.
Secondo gli esperti, la pressione esercitata dall’attività umana sulle funzioni naturali della terra è tale che la capacità degli ecosistemi del pianeta di sostenere le generazioni future non può più essere data per scontata.
“I problemi con cui dobbiamo fare i conti oggi – perdita di biodiversità, scarsezza d’acqua, degrado delle terre aride - potrebbero peggiorare in modo significativo nei prossimi 50 anni se non si interverrà subito”, avverte il Direttore Generale della FAO, Dr. Jacques Diouf.
Per “salvare” le risorse è necessaria la collaborazione di tutti, del mondo politico, del mondo industriale e della società civile. Ognuno deve essere disposto a cambiamenti radicali. “La protezione delle risorse naturali non può più essere delegata ad un piccolo settore del governo o della società”, ha affermato Prabhu Pingali della FAO.
Il rapporto rileva che negli ultimi 50 anni gli esseri umani hanno modificato gli ecosistemi più rapidamente e profondamente che in qualsiasi altro periodo della storia.
Il degrado in atto aumenta la possibilità di cambiamenti improvvisi ed imprevedibili che potrebbero avere un impatto molto grave sull’umanità, come per esempio l’emergere di nuove malattie, il deterioramento della disponibilità e della qualità dell’acqua, il crearsi di “zone morte” lungo le coste, il collasso della pesca e modificazioni profonde del clima.
Nel 2000 la concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera aveva raggiunto il livello più elevato degli ultimi 450.000 anni, e dall’avvio della rivoluzione industriale era aumentata di circa il 32 per cento passando da 280 a 376 parti per milione di volume.
Tra il 1960 ed il 1990 l’uso di fertilizzanti chimici di sintesi ha fatto triplicare a livello mondiale la concentrazione di azoto e fosforo nel suolo. Questo aumento può provocare una dannosa crescita di alghe nei laghi e nelle zone costiere, che a loro volta riducendo la disponibilità di ossigeno nell’acqua, causano la morte di molte specie ittiche.
Gli esperti mettono in guardia che tutto questo ha prodotto la più ampia, ed in larga misura irreversibile, perdita di biodiversità sulla terra, e che a causa di ciò circa il 12% degli uccelli, il 25% dei mammiferi e almeno il 32% degli anfibi sono minacciati d’estinzione nel prossimo secolo.
Secondo il rapporto l’intervento umano starebbe sottraendo acqua alle riserve idriche in una misura superiore alla loro capacità di rigenerazione. L’avvento della pesca industriale avrebbe indebolito fortemente le capacità rigenerative delle specie ittiche con una conseguente riduzione del pescato, in alcune zone pari sino ad 1/10 della disponibilità originaria.
Il Rapporto mette in luce che sono “le popolazioni più povere quelle che subiscono maggiormente gli effetti dei cambiamenti dell’ecosistema e che qualsiasi politica di sviluppo che ignori l’impatto del comportamento umano sull’ambiente è destinata a fallire. In Africa sub-sahariana per esempio si prevede che il numero dei poveri salirà, passando da 315 milioni nel 1999 a 404 milioni nel 2015.”
La situazione non è certo positiva, tuttavia è possibile fermare ed in parte sanare il degrado dell’ecosistema con un uso più saggio e meno distruttivo delle risorse naturali.
Ad esempio la protezione delle foreste naturali aiuta a preservare la ricchezza genetica della fauna e della flora spontanea, ma fornisce anche acqua ed aiuta a ridurre le emissioni di carbonio.
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Degrado degli ecosistemi, a rischio il futuro delle risorse
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Il pianeta si impoverisce, si ammala ed è necessario intervenire subito. Il 60 per cento dei servizi forniti dagli ecosistemi (es. acqua, cibo, regolamentazione del clima) sono degradati o utilizzati in modo insostenibile.
Lo affermano gli esperti che hanno curato il “Millennium Ecosystem Assessment”, il rapporto sullo stato degli ecosistemi del pianeta, sugli scenari futuri e sui possibili interventi, presentato ieri a Roma dalla FAO e dal WWF.
Secondo gli esperti, la pressione esercitata dall’attività umana sulle funzioni naturali della terra è tale che la capacità degli ecosistemi del pianeta di sostenere le generazioni future non può più essere data per scontata.
“I problemi con cui dobbiamo fare i conti oggi – perdita di biodiversità, scarsezza d’acqua, degrado delle terre aride - potrebbero peggiorare in modo significativo nei prossimi 50 anni se non si interverrà subito”, avverte il Direttore Generale della FAO, Dr. Jacques Diouf.
Per “salvare” le risorse è necessaria la collaborazione di tutti, del mondo politico, del mondo industriale e della società civile. Ognuno deve essere disposto a cambiamenti radicali. “La protezione delle risorse naturali non può più essere delegata ad un piccolo settore del governo o della società”, ha affermato Prabhu Pingali della FAO.
Il rapporto rileva che negli ultimi 50 anni gli esseri umani hanno modificato gli ecosistemi più rapidamente e profondamente che in qualsiasi altro periodo della storia.
Il degrado in atto aumenta la possibilità di cambiamenti improvvisi ed imprevedibili che potrebbero avere un impatto molto grave sull’umanità, come per esempio l’emergere di nuove malattie, il deterioramento della disponibilità e della qualità dell’acqua, il crearsi di “zone morte” lungo le coste, il collasso della pesca e modificazioni profonde del clima.
Nel 2000 la concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera aveva raggiunto il livello più elevato degli ultimi 450.000 anni, e dall’avvio della rivoluzione industriale era aumentata di circa il 32 per cento passando da 280 a 376 parti per milione di volume.
Tra il 1960 ed il 1990 l’uso di fertilizzanti chimici di sintesi ha fatto triplicare a livello mondiale la concentrazione di azoto e fosforo nel suolo. Questo aumento può provocare una dannosa crescita di alghe nei laghi e nelle zone costiere, che a loro volta riducendo la disponibilità di ossigeno nell’acqua, causano la morte di molte specie ittiche.
Gli esperti mettono in guardia che tutto questo ha prodotto la più ampia, ed in larga misura irreversibile, perdita di biodiversità sulla terra, e che a causa di ciò circa il 12% degli uccelli, il 25% dei mammiferi e almeno il 32% degli anfibi sono minacciati d’estinzione nel prossimo secolo.
Secondo il rapporto l’intervento umano starebbe sottraendo acqua alle riserve idriche in una misura superiore alla loro capacità di rigenerazione. L’avvento della pesca industriale avrebbe indebolito fortemente le capacità rigenerative delle specie ittiche con una conseguente riduzione del pescato, in alcune zone pari sino ad 1/10 della disponibilità originaria.
Il Rapporto mette in luce che sono “le popolazioni più povere quelle che subiscono maggiormente gli effetti dei cambiamenti dell’ecosistema e che qualsiasi politica di sviluppo che ignori l’impatto del comportamento umano sull’ambiente è destinata a fallire. In Africa sub-sahariana per esempio si prevede che il numero dei poveri salirà, passando da 315 milioni nel 1999 a 404 milioni nel 2015.”
La situazione non è certo positiva, tuttavia è possibile fermare ed in parte sanare il degrado dell’ecosistema con un uso più saggio e meno distruttivo delle risorse naturali.
Ad esempio la protezione delle foreste naturali aiuta a preservare la ricchezza genetica della fauna e della flora spontanea, ma fornisce anche acqua ed aiuta a ridurre le emissioni di carbonio.
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