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La certificazione dei contratti e gli ambienti confinati

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Spazi confinati

17/09/2012

Certificazione dei contratti e qualificazione delle imprese con riferimento agli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Gli obblighi di imprese e lavoratori autonomi, la verifica dell’idoneità tecnico-professionale e il sistema sanzionatorio.

 
Modena, 17 Set – Nei giorni scorsi PuntoSicuro ha presentato documenti e interventi presenti sul Bollettino n. 4 del 25 giugno 2012 “Speciale ambienti confinati” realizzato dalla Commissione di certificazione del Centro Studi Internazionali e Comparati Marco Biagi dell’ Università di Modena e Reggio Emilia.
Entriamo ora nel vivo dei requisiti necessari per il lavoro negli ambienti confinati con riferimento specifico alla certificazione dei contratti.
 
L’intervento “ Certificazione dei contratti e qualificazione delle imprese: luoghi confinati e a sospetto di inquinamento”, a cura di Gabriele Gamberini  e Davide Venturi, ricorda che, a seguito di una serie di gravi infortuni avvenuti in diversi luoghi confinati, è stato approvato il Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177 che prevede un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che operano nell’ambito degli ambienti confinati e sospetti di inquinamento. In particolare la norma obbliga le imprese che vogliono operare nel settore ad ottenere la qualificazione “attraverso un adeguamento del proprio modello di organizzazione e gestione a determinati standard minimi di sicurezza”.
 
Per comprendere meglio tale normativa, anche con riferimento al Decreto legislativo 81/2008 (Testo Unico Sicurezza o TUSIC), è necessario fare riferimento all’art. 27 TUSIC “che prevede l’introduzione di un modello di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi che intendono operare in alcuni specifici settori”. Il sistema di qualificazione delle imprese non ha la sola finalità di costituire elemento preferenziale per la partecipazione alle gare relative agli appalti e subappalti pubblici e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica (comma 2, art. 27). Una analisi approfondita suggerisce infatti la interpretazione “dell’intera disciplina attraverso il combinato disposto degli articoli 27, 26 comma 1, lettera a), e 6, comma 8, lettera g), TUSIC, laddove quest’ultima norma attribuisce alla Commissione consultiva permanente ivi prevista il compito di definire i criteri per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi nei diversi settori produttivi”.
Inoltre l’art. 26 prevede che per alcune tipologie di appalti “il committente abbia l’obbligo di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice e del lavoratore autonomo a cui affida l’esecuzione dei lavori oggetto del contratto. In mancanza di norme speciali applicabili per la generalità dei settori produttivi, l’art. 26 TUSIC dispone che la verifica dell’idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice o del lavoratore autonomo avvenga attraverso l’acquisizione di un’autocertificazione oltre che il semplice controllo dell’iscrizione alla Camera di Commercio”.
 
In definitiva - continuano gli autori dell’intervento - “il concetto di  verifica dell’idoneità tecnico-professionale (ex art. 26, comma 1, TUSIC) si presenta come analogo – ma non coincidente – con quello di qualificazione delle imprese (ai sensi del d.P.R. n. 177/2011). Il primo è un obbligo del committente nel caso di affidamento di lavori in regime di appalto endoaziendale (di somministrazione di beni o di lavoro autonomo, sempre da eseguirsi in locali nella disponibilità giuridica del committente), mentre il sistema di qualificazione professionale opera in tutte le occasioni in cui vi siano attività in ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento e costituisce un obbligo del soggetto stesso che esegue i lavori”. E in caso di affidamento di queste tipologie di lavori ai sensi dell’art. 26, comma 1 (D.Lgs. 81/2008) “l’oggetto della verifica dell’idoneità tecnico-professionale ivi prevista sarà la qualificazione dell’impresa esecutrice (o del lavoratore autonomo esecutore) dei medesimi ai sensi del D.P.R. n. 177/2011”.


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L’intervento si sofferma poi sui vari requisiti specifici, sul sistema di sicurezza che  impresa e lavoratore autonomo del settore devono necessariamente porre in essere (art.2, d.P.R. 177/2011), ad esempio ricordando che almeno il 30% del personale impiegato nelle lavorazioni in questione “deve avere un’esperienza minima triennale nelle attività specifiche  e deve essere stato assunto con contratto a tempo indeterminato ovvero, nel caso di ricorso a contratti di lavoro diversi, questi ultimi sono soggetti all’obbligo della certificazione di cui al Titolo VIII d.lgs. n. 276/2003”. È sottoposto poi al medesimo obbligo anche il contratto di appalto “mediante il quale l’impresa principale esternalizza le lavorazioni in ambienti confinati e/o a sospetto di inquinamento”.
Rimandiamo i lettori ad una lettura integrale dell’intervento, anche in merito ai vari requisiti richiesti dal 177/2011 e agli ulteriori obblighi a carico tanto dell’impresa/lavoratore autonomo che esegue i lavori, quanto del committente.
 
Dunque “la caratteristica fondamentale della certificazione dei contratti di lavoro (ai sensi del Titolo VIII d.lgs. n. 276/2003) prevista dalla norma in esame riguarda il proprio carattere di obbligatorietà, e non di facoltatività come nella generalità dei casi. L’obbligo di certificazione riguarda in primo luogo i contratti di lavoro flessibile, intendendo per tali i contratti diversi da quello subordinato a tempo indeterminato (il quale dunque non necessita di certificazione)”.
Tuttavia si sottolinea che la lettura della norma non appare univoca: “secondo una interpretazione letterale, l’obbligo di certificazione dei contratti flessibili non sembrerebbe riguardare tutti i rapporti di lavoro flessibile dell’impresa, ma soltanto quelli che riguardano i lavoratori con esperienza triennale, che devono essere come minimo il 30% della forza lavoro”. Interpretazione che tuttavia “limiterebbe l’azione di verifica preventiva della commissione di certificazione, proprio con riferimento ad un settore ad alto rischio, laddove molto spesso di fatto vengono utilizzati rapporti di lavoro autonomo non genuini e con pieno inserimento nell’organizzazione gerarchica del committente”. È dunque auspicabile un futuro “chiarimento sulla questione, eventualmente anche da parte della Commissione consultiva permanente”.
 
Sono poi soggetti all’obbligo di certificazione “tutti i contratti di appalto che esternalizzano le attività in luoghi sospetti di inquinamento e/o in luoghi confinati”. E qualora le esternalizzazioni “rientrino nelle ipotesi di cui all’art. 26, comma 1, TUSIC, devono essere certificati anche i relativi contratti di subappalto”.
In particolare tale complessa disposizione “in tema di certificazione dei contratti di appalto (sempre) e di subappalto (solo negli appalti endoaziendali) ha in realtà lo scopo di far rientrare nell’obbligo di certificazione da un lato tutte le ipotesi di esternalizzazione produttiva (obbligo generale di certificazione degli appalti), e dall’altro lato la filiera delle esternalizzazioni che presentano specifici rischi interferenziali (appalto/subappalti endoaziendali) tra organizzazione del committente e organizzazione dell’appaltatore/subappaltatori”.
E riguardo alla certificazione dei contratti di appalto e di subappalto, l’attività della commissione di certificazione “appare particolarmente ampia, in quanto quest’ultima difficilmente potrà limitarsi alla verifica della sussistenza dei criteri organizzativi tali per cui il contratto in esame si differenzia dal contratto di somministrazione di lavoro, così come prevede l’art. 84 d.lgs. n. 276/2003, ma piuttosto dovrà estendere la propria attività di verifica ad ulteriori aspetti”. La certificazione del contratto finirà “per estendersi anche alla verifica della legittimità del modello organizzativo seguito dai contraenti nell’appalto/subappalto”. 
 
Il documento si conclude affrontando il tema del sistema sanzionatorio.
 
Infatti il d.P.R. 177/2011 non stabilisce sanzioni specifiche, come “nulla in questo senso è previsto dall’art. 27 TUSIC, a cui il regolamento si riferisce”.
Tuttavia, secondo gli autori, in caso di violazione delle disposizioni del d.P.R. 177/2011 si può ritenere che “debba trovare applicazione l’apparato sanzionatorio disposto dal Testo Unico”.
Ad esempio “potrebbe essere ragionevole ritenere che la mancata certificazione dei contratti di appalto (nell’ipotesi diversa dall’appalto endoaziendale) e di lavoro (nel caso di lavorazioni svolte dal datore di lavoro nelle ipotesi di contratto di lavoro diversi dal contratto di lavoro a tempo indeterminato almeno per la percentuale minima dei lavoratori dotati di esperienza almeno triennale) sia soggetta al provvedimento denominato disposizione ai sensi dell’art. 302-bis TUSIC, con la conseguenza che l’eventuale mancato rispetto della disposizione comporti le sanzioni specifiche per tali ipotesi di violazione”. Senza dimenticare che la mancata certificazione dei contratti “configura indubbiamente l’inidoneità dell’impresa e/o del lavoratore autonomo ad operare nello specifico settore”.
E per finire, sempre relativamente al piano sanzionatorio, si indica che “qualora l’impresa adottasse un modello di organizzazione e di gestione ai sensi dell’art. 30 TUSIC”, al fine di ottenere l’esimente al sistema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (d.lgs. n. 231/2001), nel caso in cui a seguito di un infortunio sul lavoro si arrivi ad una condanna del datore di lavoro, la mancata certificazione dei contratti potrebbe far venir meno l’efficacia del modello aziendale adottato, in quanto l’art. 30 TUSIC richiede espressamente che l’impresa proceda alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge (art. 30, comma 1, lett. g)”.
 
 
Certificazione dei contratti e qualificazione delle imprese: luoghi confinati e a sospetto di inquinamento”, a cura di Gabriele Gamberini (Scuola internazionale di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro Adapt-CQIA, Università degli Studi di Bergamo – ADAPT research fellow) e Davide Venturi [1] (ADAPT senior research fellow – membro della Commissione di Certificazione CSMB Università di Modena e Reggio Emilia), intervento tratto dal Bollettino Commissione di Certificazione n. 4 del 25 giugno 2012 “Speciale ambienti confinati” (formato PDF, 554 kB).
 
 
 
Tiziano Menduto
 
 
 
 
 
 
 



[1] Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero personale dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione alla quale appartiene


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