Le sentenze di assoluzione degli RSPP
La distinzione tra “il piano intellettivo/valutativo (proprio del RSPP)” e “quello decisionale/operativo (proprio di altri garanti, principalmente il datore di lavoro)” che non devono essere confusi
In Cassazione Penale, Sez.IV, 9 dicembre 2019 n.49761, la Suprema Corte ha sgombrato il campo da possibili fraintendimenti rispetto al ruolo dell’ RSPP che non è in alcun modo sovrapponibile a quello delle figure di linea.
Questo l’accaduto: “la mattina del fatto si era verificato un incendio interessante la ventola dell’aria primaria e la tubazione di mandata che alimentava il bruciatore dell’impianto di essicazione del cascame di legna per la produzione dei pannelli di truciolare. Bloccata la produzione, era stato organizzato un intervento per la sostituzione della ventola, a cura di tre dipendenti della G.S. e di S.C., dipendente della ditta S.”.
Tale “intervento comportava lo sfilamento di una parte di tubazione di notevole dimensione posta ad una certa altezza da terra da altra parte collegata con una flangia. Per raggiungere la tubatura da spostare, era stata utilizzata una “gaietta”.” Ma “il tubo da spostare si era ribaltato, cadendo a terra” e il S.C. “era stato inevitabilmente investito e schiacciato dal grosso tubo di 600 chili, perdendo la vita a seguito di shock emorragico conseguente alle plurime lesioni riportate.”
Dalle circostanze riscontrate e dalle testimonianze i giudici di merito hanno ritenuto “che i manutentori procedettero “a tentativi”, senza adeguata formazione: non era stata prevista o indicata una modalità operativa apposita, non era stato valutato il rischio di caduta del tubo, né si era predisposta un’opera confacente di sicurezza, quale ad es. l’installazione di un ponteggio metallico atto a sostenere la tubazione.”
La Corte d’Appello ha condannato il direttore dello stabilimento nonché delegato del datore di lavoro, il datore di lavoro della G.S., il caporeparto e l’RSPP. Tutti i soggetti su richiamati hanno presentato ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte ha confermato tutte le condanne ad eccezione di quella dell’RSPP, di cui ha accolto il ricorso (annullando con rinvio la sentenza) con le argomentazioni che seguono.
Secondo la Cassazione, le argomentazioni della sentenza d’appello “appaiono illogiche e contraddittorie laddove, da una parte, addebitano agli imputati mancanze decisionali di carattere esecutivo che attengono alla omessa predisposizione di un piano di intervento e di sicurezza specifico per l’operazione lavorativa in disamina; dall’altra - indebitamente equiparando la figura del RSPP, che è quella di un consulente, a quella del datore di lavoro e del preposto, che sono invece figure prevenzionistiche operanti nella quotidianità dell’attività lavorativa -, addebitano anche al A.D. [RSPP, n.d.r.] di non avere individuato e valutato, nell’immediato, i rischi dell’operazione che si stava eseguendo.”
In particolare, “la Corte territoriale non spiega in che termini il A.D. sarebbe stato coinvolto nell’attività lavorativa in questione, certamente non quotidiana”, anche “al fine di stabilire - ad esempio - se e come il A.D. fosse stato consultato, in precedenza, dal datore di lavoro in merito all’intervento specifico di cui si tratta, al fine di individuare e valutare i rischi di tale attività.”
Su questo importante e decisivo punto, la Cassazione chiarisce che “il RSPP risponde dell’evento, in concorso con il datore di lavoro, solo se si fornisce adeguata dimostrazione che lo stesso abbia svolto in maniera negligente la sua attività di consulente del datore di lavoro, a seguito di errore tecnico nella valutazione dei rischi, per suggerimenti sbagliati o mancata segnalazione di situazioni di rischio colposamente non considerate.
Nel caso, invece, la motivazione della sentenza impugnata sembra confondere il piano intellettivo/valutativo (proprio del RSPP) da quello decisionale/operativo (proprio di altri garanti, principalmente il datore di lavoro). Si parla di evento determinato da scelte esecutive sbagliate, ma tali scelte non spettano al RSPP, il quale non è presente tutti i giorni in azienda e non è tenuto a controllare le fasi esecutive delle lavorazioni.”
Queste le conclusioni della Suprema Corte sulla posizione dell’ RSPP: “la motivazione della sentenza impugnata è viziata, poiché la sua responsabilità viene individuata, essenzialmente, in un omesso intervento in fase esecutiva che è estraneo alle competenze consultive/intellettive del RSPP, e senza che sia stato adeguatamente argomentato in ordine alla conoscibilità, da parte sua, della situazione oggettivamente pericolosa e del suo dovere di segnalazione del rischio al datore di lavoro, in una fase antecedente alla lavorazione stessa.”
Assolto l’RSPP della S.p.a. committente e condannato il datore di lavoro subappaltatore per l’infortunio mortale occorso a due dipendenti di quest’ultimo
In Cassazione Penale, Sez.IV, 18 dicembre 2018 n.56952, la Corte ha confermato da un lato l’assoluzione di un RSPP (rigettando il ricorso del Procuratore Generale e delle parti civili) e dall’altro la condanna di un datore di lavoro in relazione ai fatti che seguono.
Nello specifico, “i due lavoratori deceduti erano dipendenti del D.T., titolare dell’omonima ditta che nell’occorso agiva quale subappaltatrice della S.p.a. I.C., che aveva in appalto lavori per conto della committente S.p.a. C.O.I. per la manutenzione, fra le altre cose, di cisterne e vasche per la raccolta di acque meteoriche.”
Così, “nell’ambito di tale rapporto, che durava da diversi anni, i due lavoratori avevano ricevuto disposizioni da O.D., cognato dell’amministratore unico della ditta C.O.I. S.p.a., L.M., di eseguire lavori per rendere nuovamente fungibile una cisterna per la raccolta delle acque piovane sita presso la sede della ditta stessa. Qualche giorno dopo […] il G.P. e l’B.A. si recavano, di propria iniziativa, presso tale ditta per portare a compimento l’operazione richiesta, senza che nessuno li vedesse o ne fosse a conoscenza; si addentravano nella cisterna e, a causa delle esalazioni di acido solfidrico, perdevano la vita per anossia cerebrale.”
Pur essendo stata “riconosciuta l’assoluta imprudenza nell’occorso delle due vittime”, la Corte d’Appello aveva “escluso che tale comportamento dei due dipendenti assumesse valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento”.
Secondo quanto accertato, l’RSPP della committente “aveva stilato idonea documentazione nella quale si dava atto dei rischi connessi ai lavori svolti in vasche e cisterne, ed inoltre aveva messo a disposizione dei dipendenti i necessari dispositivi di protezione utili allo svolgimento delle predette mansioni, garantendo la salubrità dei luoghi di lavoro.”
La Cassazione osserva che “in primo luogo, non possono ritenersi equivalenti le posizioni di responsabilità del D.T. e del M.R. rispetto all’infortunio mortale in esame, che ha riguardato due dipendenti del D.T., mentre il M.R. era responsabile del servizio di prevenzione e protezione ( RSPP) di una ditta diversa rispetto a quella del D.T.”.
Inoltre “sotto un diverso, ma connesso, profilo, il riscontrato deficit di formazione dei lavoratori deceduti, cui si accenna anche nella sentenza di primo grado, non può che essere imputato al datore di lavoro - e non certo allo RSPP di un’altra azienda”, dal momento che “tra i numerosi obblighi a suo carico in tale ambito, è sempre sul datore di lavoro che grava il fondamentale obbligo di formazione ed informazione dei lavoratori”.
L’imprevedibilità del comportamento del lavoratore, qualificato per formazione ed esperienza: assoluzione del datore di lavoro e dell’RSPP
Concludiamo questa breve rassegna, condotta come sempre senza pretese di esaustività, con Cassazione Penale, Sez. IV, 3 marzo 2016 n.8883, con cui la Suprema Corte si è pronunciata su un caso in cui un datore di lavoro ed un RSPP, assolti in primo grado dai reati contestati, erano stati invece condannati in solido dalla Corte d’Appello (appellata dalla parte civile) al risarcimento del danno in favore della parte civile stessa. I due soggetti hanno presentato ricorso in Cassazione. La Corte ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata “perché il fatto non costituisce reato”.
L’accaduto viene così sintetizzato dalla Cassazione: “vi era un elettricista esperto cui era stato affidato un lavoro da svolgersi attraverso un elevatore e con una serie di strumenti di protezione di cui era stato dotato. Quel lavoro - secondo quanto ricostruito da un teste esperto e come ha ricordato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione della ditta committente - poteva e doveva essere posto in essere in sicurezza dall’elevatore. L’elettricista in questione, che peraltro era un soggetto particolarmente esperto di sicurezza sul lavoro essendo stato egli stesso nominato responsabile della sicurezza dei lavoratori della sua azienda, decide, forse per fare più in fretta, o comunque incautamente, di salire sul tetto per meglio posizionare i fili, percorre il tratto ricoperto da sottili lastre di eternit, che inevitabilmente si sfondano, e precipita al suolo.”
La Suprema Corte osserva: “ebbene, che tipo di rimprovero può rivolgersi ad un datore di lavoro o a un responsabile aziendale per la sicurezza che ha dotato il dipendente, esperto e formato in materia di sicurezza del lavoro, di tutti i presidi antinfortunistici e della strumentazione necessaria per effettuare il lavoro in sicurezza, analogo a quello che egli era chiamato a compiere da cinque anni, rispetto a siffatto comportamento? Hanno potuto incolpevolmente il datore di lavoro e il responsabile per la sicurezza della S.A. fare affidamento sul fatto che un soggetto così esperto non ponesse in essere il comportamento che ha cagionato l’incidente?
Le risposte da dare a simili quesiti, ad avviso del Collegio, sono che nessun rimprovero può muoversi ad entrambi gli odierni ricorrenti in un caso siffatto, in quanto gli stessi si sono legittimamente fidati della professionalità del soggetto cui aveva affidato il lavoro da compiersi.”
Secondo la Corte, infatti, “quello che ci occupa è proprio un caso in cui tutte le cautele possibili da assumersi ex ante erano state assunte.”
E alla domanda: “era da prevedersi che un operaio dotato di siffatta qualificazione ponesse in essere un comportamento del genere?”, la Suprema Corte risponde - e conclude - affermando che tale comportamento non era prevedibile a fronte di un contesto in cui risultano “provate non solo la valutazione preventiva del rischio derivante dallo svolgimento in quota dei lavori di sostituzione dei faretti e di posizionamento dei fili, ma anche la concreta dotazione al lavoratore, nel frangente dell’infortunio, degli strumenti idonei ad effettuare tali tipi di lavoro in sicurezza.”
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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