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Incidente al Truck Center di Molfetta: i fatti e il processo

Procedure inadeguate, cattiva gestione della sicurezza e mancata formazione sono le principali cause dell’incidente. La ricostruzione dei fatti e l’esito del processo: condannati responsabili e società a pene pecuniarie e colpa organizzativa. Di R.Dubini.

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A cura di Rolando Dubini, avvocato in Milano

 

Sei colpevoli, ma forse non i soli, per la tragedia Truck Center, l’autorimessaggio di Molfetta dove il 3 marzo 2008, per le forti esalazioni di acido solfidrico sprigionatesi da una cisterna di  acido solfidrico che dovevano bonificare.

In tale contenitore persero la vita 4 operai, Guglielmo Mangano, di 44 anni, e, nel tentativo di salvarlo, i colleghi Michele Tasca, di 19, Luigi Farinola, di 37,  l’autotrasportatore Biagio Sciancalepore (dipendente di una società di trasporti che lì custodiva i mezzi), di 24,  e Vincenzo Altomare, di 64 anni, amministratore della stessa Truck Center; unico superstite, ferito, fu Cosimo Ventrella. Secondo l'accusa, fu un'intossicazione acuta da acido solfidrico a provocare la morte dei lavoratori e di Altomare che si calarono nella cisterna l'uno per salvare l'altro.

 

 

Concorso in omicidio colposo plurimo e lesioni colpose gravi con violazione delle norme di prevenzione infortuni (artt. 589 e 590 del codice penale), per cui sono stati condannate le  persone ritenute responsabili a 4 anni di reclusione e 5 di interdizione «dall’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione di documenti societari nonché di ogni altro ufficio con potere di rappresentanza di persone giuridiche».

 

Condanne a pene pecuniarie correlate alla colpa organizzativa di cui al D.Lgs. n. 231/2008 (responsabilità amministrativa dell'ente) per le 3 società imputate: 1milione e 400mila euro per la Fs Logistics; 400mila ciascuno per la Cinque Bio Trans e la Truck Center Sas.

 


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Nel processo si erano costituiti parte civile i famigliari delle vittime e l'Inail. Il giudice ha anche disposto, come richiesto dal pm, il trasferimento degli atti alle procure di Taranto, per esaminare eventuali profili di colpa emersi nella fase dibattimentale. Due i punti cruciali: la composizione chimica dello zolfo trasportato e il rispetto, o meno, delle normative di sicurezza, per Eni Spa che ha prodotto lo zolfo, e per la Nuova Solmine,, azienda chimica in provincia di Grosseto che lo utilizza per produrre acido solforico per le ipotesi di reato di trasporto di merci pericolose, smaltimento e immissioni di rifiuti pericolosi e violazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Stessa decisione è stata presa per Meleam Puglia, che offre un servizio globale alle imprese nel campo della sicurezza nei luoghi di lavoro e della gestione e certificazione aziendale ed è autrice del (carente) piano di sicurezza adottato dalla Truck Center. Assieme alle aziende saranno esaminate le posizioni di tutti gli attori coinvolti nei fatti eventualmente contestati.

 

Le procure dovranno valutare inoltre la posizione di alcuni testimoni delle stesse società che, sentiti in dibattimento, avrebbero reso falsa testimonianza. Il giudice ha inoltre disposto il dissequestro dei documenti fatti sequestrare dalla Procura nel giugno scorso in vari stabilimenti Eni in Italia e il pagamento di provvisionali, da 150.000 a 300.000 euro, in favore di genitori, mogli e fratelli delle vittime conviventi delle vittime costituiti parti civili. I tre imputati condannati, inoltre, dovranno liquidare 50.000 euro ciascuno ai figli di Vincenzo Altomare. Ulteriori somme risarcitorie saranno quantificate dal giudice civile, dove pure saranno determinati i danni patiti dai parenti non conviventi.

Il processo di primo grado è stata dunque un’ecatombe giudiziaria da cui si è salvato solo Filippo Abbinante, l’autista dipendente de La Cinque Bio Trans che quel drammatico lunedì pomeriggio trasportò la cisterna assassina a Molfetta per la pulitura: il pm aveva invocato l’assoluzione (cui però si erano opposte le parti civili) «perché il fatto non costituisce reato». Tesi accolta dalla sentenza.


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Il dettaglio dell’incidente ricostruito dalle indagini e le fasi del processo nel dettaglio

Il dibattimento si era aperto il 28 marzo 2009 con una sola certezza: era stato l’acido solfidrico o idrogeno solforato (H2S) presente nella cisterna giunta nella zona Asi per la bonifica a causare i decessi.

Sul banco degli imputati per omicidio colposo plurimo aggravato dalla violazione delle norme di prevenzione infortuni, ai sensi dell'artcolo 589 del codice penale, comma 2, si sono seduti  in cinque: Mario Castaldo (rappresentante legale di Fs Logistica), Alessandro Buonopane (responsabile trasferimento zolfo di Fs Logistica), Pasquale Campanile (committente del trasporto della cisterna e Dirigente de La Cinque Biotrans), poi condannati, e Filippo Abbinante (autista de La Cinque Biotrans che ha condotto la cisterna da Bari a Molfetta).

Imputate per responsabilità amministrativa, e poi condannate, la stessa Truck Center, la Fs Logistica e La Cinque Biotrans.

 

La Procura della Repubblica era rappresentata dal Pubblico Ministero dott. Giuseppe Maralfa.

Il giudice monocratico dott. Lorenzo Gadaleta aveva fissato un calendario di udienze fittissimo, con dibattimenti per tutto il mese di giugno e luglio, con  l'obiettivo di arrivare alla sentenza in tempi brevissimi.

Nella seconda udienza vi era stata la testimonianza dell’unico superstite, Cosimo Ventrella, il quale ha dichiarato che  già alle 15.30, mezz’ora prima della tragedia, all’interno dell’autorimessa fortissimo era l’odore di zolfo, probabile indizio dell’apertura del portellone della cisterna-killer.

 

L'indagine ha messo in luce gravissime carenze per quel che riguarda le condizioni di sicurezza sul lavoro e la formazione (omessa) degli operai. Gli interrogativi si addensano anche sulla composizione chimica del contenuto della cisterna-killer. A livello industriale il metodo più efficiente per produrre lo zolfo sfrutta l’acido solfidrico, uno scarto della lavorazione del petrolio, trasformato in zolfo liquido (con eliminazione di acqua) e immagazzinato per il trasporto in cisterne. Una certa percentuale di acido è inevitabile in un carico di zolfo, ma non può superare precisi limiti, il cui rispetto è un obbligo fondamentale di natura tecnica a tutela della sicurezza degli operatori.. Sarà proprio la questione della composizione chimica dell'atmosfera della cisterna killer a costituire  uno degli elementi principali dell’intero procedimento, che nel frattempo viene spostato a Trani a causa della mancanza di spazio nell’aula della sezione di Molfetta.

 

La ricerca della verità su quanto accaduto passa attraverso precisa ricostruzione di tutte le fasi del trasporto dello zolfo, che avviene durante l'udienza del 9 giugno: dallo scalo intermodale Ferruccio di Bari le cisterne si dirigevano, su gomma, allo stabilimento Eni di Taranto, dove avveniva il caricamento con lo zolfo liquido. Successivamente ritornavano nel capoluogo barese e, caricate su un mezzo ferroviario, partivano alla volta di Scarlino, un comune della provincia di Grosseto, dirette alla Nuova Solmine, un’ex azienda mineraria del Gruppo Eni in seguito privatizzata, leader in Italia nella produzione di acido solforico da zolfo.

Questo il percorso abituale dei serbatoi verdi carichi di zolfo, mantenuto allo stato liquido da una temperatura che oscilla tra i 110 i 130 gradi centigradi. La Truck Center di Molfetta si inserisce in questo ciclo quando la Cargo Chemical (società poi confluita nella Fs Logistica) del gruppo Ferrovie dello Stato stipula un contratto con la Timac di Barletta per il trasporto di acido solfidrico. Per ripulire le cisterne dello zolfo si affida a La Cinque Biotrans che a sua volta commissiona l’azienda molfettese Truck Center.

 

Emerge successivamente un secondo elemento fondante la responsabilità poi accertata in giudizio: si tratta della scheda di sicurezza dei prodotti pericolosi prevista dalle direttive comunitarie e dalla legislazione italiana, la "scheda a sedici punti", che avrebbe dovuto indicare la pericolosità del prodotto trasportato e che l’Eni avrebbe dovuto rilasciare o avrebbe rilasciato ai conducenti. Di detta scheda non si è mai trovata traccia nella ditta di Molfetta Truck Center.

Due dubbi fondamentali alimentano la ricerca della verità processuale, quelli sulla effettiva (e pericolosa) composizione chimica e sulla (mai rintracciata) scheda di sicurezza, che non sono dissipati dalle deposizioni, condite da molti «non ricordo», «non me ne occupavo io» e «che io sappia, no»: il giudice Gadaleta decide di far tornare in aula i testi dell’Eni e della Nuova Solmine.

 

L’unica certezza è rappresentata dalle procedure di sicurezza. Modificate dopo il marzo 2008, giorno del dramma. La domanda spontanea è quindi: se erano inadeguate, perché sono state modificate solo dopo la tragedia? Quel che si è fatto dopo, non poteva farsi prima? La sentenza di condanna, evidentemente, si fonda su una simile considerazione.

 

Altri testi e consulenti vengono ascoltati alla metà di giugno. Secondo quando dichiarato in aula, l’impianto molfettese Truck Center era privo di autorizzazioni per la bonifica della cisterna, le cisterne prima che procedesse alla immissione di zolfo liquido non venivano controllate e il piano di sicurezza della Truck Center era stato richiesto, e riguardava solo,  per autoparco e autolavaggio, ma non per la pericolosa zona di bonifica industriale.

Nel frattempo le indagini della Procura si erano intensificate, disponendo sequestri e acquisizioni di documenti e materiale informatico delle aziende coinvolte nel processo penale e in quello per la responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231/2001. Al centro dei controlli le schede di rischio che accompagnano il trasporto di zolfo liquido in tutto il territorio nazionale e la percentuale di acido solfidrico contenuta nella sostanza. Come detto, queste sono le due questioni cruciali intorno alle quali si è incardinato il processo.

 

I legali rappresentanti delle aziende Nuova Solmine ed Eni vengono anche ascoltati su una presunta richiesta di risarcimento danni avanzata nei confronti del colosso petrolchimico Eni, a causa della presenza nello zolfo di acido solfidrico in quantità tale da poter forse provocare dei danni all’impianto di lavorazione. Dalle testimonianze emerge che la Nuova Solmine aveva bloccato pagamenti all’Eni per circa 1,6 milioni di euro, una cifra pari ai danni avanzati nella richiesta poi fatta decadere. In più, la stessa Eni non avrebbe percepito altri 1,4 milioni quale premio di qualità finché appunto la qualità della fornitura non fosse stata dimostrata.

Su questi punti i testimoni non riescono a fornire risposte chiare e convincenti al giudice che procede all'escussione, e per tale motivo le loro deposizioni sono state trasmesse alla procura per una eventuale incriminazione per falsa testimonianza.

L’attenzione del magistrato si sofferma anche sulla costruzione nel petrolchimico tarantino, proprio in concomitanza delle contestazioni processuali per la strage, di un nuovo impianto per la produzione di zolfo stavolta allo stato solido, sottoforma di perline, per evitare la presenza di acido solfidrico.

Gli eventi si intrecciano, i tempi inevitabilmente si allungano. Dopo una seduta-fiume in cui vengono ascoltati i consulenti tecnici delle parti in causa, il dibattimento è aggiornato a ottobre 2009.

Le emergenze dibattimentali, quanto emerge dalle udienze, getta ombre pesanti sulla gestione corretta e sicura  del settore del trasporto di sostanze chimiche pericolose, ed in particolare su quelle che vengono chiamate "esternalizzazioni", outsourcing, regolate dall'articolo 26 del D.Lgs. n. 81/2008, il testo unico di sicurezza del lavoro: i  passaggi concatenati di subappalti e contratti a terzi. Si tratta di un tema che richiama alla mente la strage alla stazione di Viareggio, anche in quel caso la causa scatenante fu una cisterna.

 

Per il Pubblico Ministero Giuseppe Maralfa tutti gli imputati, ad eccezione di Abbinante, l’autista, sono colpevoli di omicidio colposo plurimo aggravato dalla violazione delle norme di prevenzione infortuni e: il 5 ottobre 2009 chiede la condanna alla pena di cinque anni di reclusione e l'interdizione dalla professione. Sanzioni amministrative ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001 sono state richieste per le società coinvolte nella tragedia: la "Fs Logistica" (1,120 milioni di euro), "La Cinque Biotrans" (640mila euro) e la stessa Truck Center (400mila euro).

La  sentenza del 26 ottobre 2009 del Tribunale di Trani – giudice monocratico Lorenzo Gadaleta – accoglie in pieno l’impianto accusatorio del pubblico ministero Giuseppe Maralfa, anche in ordine al verosimile processo «Truck Center Bis».

 

Quello che si profila non già alla luce dell’appello preannunciato dai difensori dei condannati ma per ulteriori aspetti d’indagine ravvisati dal Tribunale e che il pm aveva già in serbo per far luce anche sulle posizioni, e dunque su presunte responsabilità, dell’Eni Spa e della Nuova Solmine Spa, rispettivamente produttrice ed acquirente della fatale partita di zolfo, nonché della società bitontina Meleam Puglia che curò il protocollo di sicurezza della Truck Center. Di qui la trasmissione degli atti in Procura, come richiesto dalla Pubblica Accusa, alla luce di alcune circostanze emerse nel corso del dibattimento ma che le parti civili avevano immediatamente ravvisato. Tant’è che a giugno 2009 ci furono perquisizioni, sequestri ed acquisizioni che interessarono anche la divisione commerciale romana dell’Eni e le sue raffinerie di Taranto e Livorno.

Il pm dovrà, inoltre, valutare anche eventuali reati di falsa testimonianza per alcune deposizioni rese a dibattimento da testimoni-operatori di Eni e Nuova Solmine.

 

Il pubblico ministero Giuseppe Maralfa si è detto “soddisfatto del lavoro svolto e del fatto che l'impianto accusatorio abbia retto subito dopo la lettura della sentenza”. Inoltre, ha aggiunto, “nel corso del processo sono emerse circostanze interessanti. Ora attendiamo le motivazioni del giudice per eventuali decisioni o provvedimenti”. (motivazioni entro 90 giorni)

«Era una sentenza prevedibile ma questo non vuol dire che ci piaccia» ha dichiarato il legale della Truck Center, Maurizio Altomare.

 

Deluse invece le famiglie delle vittime. “E' poco quello che abbiamo ottenuto”, ha commentato la vedova di Luigi Farinola, uno degli operai uccisi. “Spero che il carcere per quelle persone sia vero e non che dopo poco pagano ed escono. Loro hanno condannato a morte cinque persone”. Anche la madre di Michele Tasca, 20 anni, ha commentato con le lacrime agli occhi: «Sono delusa, mi aspettavo di meglio da questa sentenza». Secondo il padre di Biagio Sciancalepore, inoltre “ci sono altre persone che devono ancora pagare”.

Di seguito, una dichiarazione dell’assessore al Lavoro, Michele Losappio,all’indomani della sentenza del Tribunale di Trani, sulla vicenda del Truck Center di Molfetta:

 

“La sentenza del Tribunale, rigorosa nella individuazione delle responsabilità penali e nelle sue motivazioni, va apprezzata dalla pubblica opinione.

“Non sempre si trovano magistrati in grado di aggredire le cause strutturali delle stragi di lavoro piuttosto che limitarsi a stigmatizzare le disattenzioni dei lavoratori.

“Ad essi va dunque il plauso ed il sostegno della Regione.

“Va poi evidenziata la scelta di trasmettere gli atti alla Procura per accertare eventuali nuove responsabilità di colossi societari come ENI e Nuova Solmine.

“A loro più che ad altri spetta, per il rilievo e la solidità dei Gruppi, assumere misure e procedure di lavoro che tutelino la vita e la salute delle maestranze.

“Se questo non è accaduto occorre accertarne le cause e le responsabilità.”



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Rispondi Autore: Fabio Barberini - likes: 0
14/04/2015 (14:14:38)
Ho molto apprezzato l'articolo per chiarezza e completezza dei contenuti.

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