I rischi nello smart working: principi generali e microclima
Roma, 2 Mar – A causa della grande diffusione di lavoro agile e telelavoro, come risposta alle misure di contenimento durante l’emergenza COVID-19, il processo di valutazione dei rischi nelle attività di lavoro a distanza è diventato particolarmente rilevante e significativo. Non solo perché una valutazione dei rischi a distanza, che deve fondarsi anche su una “sorta di collaborazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro”, può non essere di semplice realizzazione, ma anche perché non sempre c’è idonea consapevolezza dei possibili fattori di rischio in queste attività.
Per aiutarci a individuarli, fornendo informazioni sulla valutazione e sull’informativa sui rischi, come richiesto dalla Legge n. 81 del 22 maggio 2017, torniamo a sfogliare il documento del Consiglio Nazionale degli Ingegneri ( CNI) “ Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working”, curato dall’Ing. Gaetano Fede (Consigliere CNI coordinatore GdL Sicurezza), dall’Ing. Stefano Bergagnin (GdL Sicurezza CNI) e del Gruppo Tematico Temporaneo “Smart working e lavori in solitudine”.
Ricordiamo che ai rischi connessi al lavoro a distanza abbiamo accennato anche nell’intervista, pubblicata nelle scorse settimane, dal titolo “ Smart working: come gestire la valutazione dei rischi e la formazione?”.
Riguardo ai rischi nelle attività in smart working ci soffermiamo oggi sui seguenti argomenti:
- Il contesto emergenziale, la pianificazione d’impresa e i rischi
- I principi generali: la verifica degli spazi e le pause di lavoro
- L’analisi dei rischi: il microclima e il comfort termico
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Il contesto emergenziale, la pianificazione d’impresa e i rischi
Il documento CNI sottolinea che l’analisi dei rischi deve tener conto di due direttrici differenti: “la risposta transitoria ad un contesto emergenziale in piena evoluzione (pandemia in corso) e la pianificazione strategica d'impresa, destinata a svilupparsi nel prossimo futuro e ad avere un impatto permanente sul tessuto economico nazionale”.
In questo senso c’è la necessità di “adottare un approccio che risulti più versatile rispetto a quello tradizionale anche al fine di tenere il passo con le nuove dinamiche di condivisione e/o remotizzazione delle attività lavorative”.
Riguardo poi all’approfondimento, nel documento, sulle fonti di pericolo e sui rischi che da essi possono derivare, si segnala che “una disamina approfondita di ciascuna di esse non può essere condotta aprioristicamente, ma può e deve necessariamente prendere le mosse dalle risorse (umane e tecnologiche) coinvolte, debitamente contemperate con le criticità specifiche di ciascun settore di impiego”.
In generale tra gli aspetti da approfondire e i rischi specifici da valutare, connessi alle attività svolte in modalità smart working, il documento elenca:
- ergonomia della postazione di lavoro;
- rischio elettrico;
- rischio rumore;
- rischio da sostanze presenti;
- rischio incendio ed esplosione;
- rischio sindrome da visione al computer;
- rischio da campi elettromagnetici;
- rischi psicosociali;
- rischio stress lavoro correlato
- microclima.
I principi generali: la verifica degli spazi e le pause di lavoro
Gli autori delle linee di indirizzo prima di affrontare i singoli rischi si soffermano su alcuni principi generali che “potrebbero essere di utilità per definire le condizioni da concordare tra azienda e affittuario, se si prevede una modalità co-working, o tra azienda e lavoratore se opererà direttamente dalla propria abitazione”.
Riguardo agli ambienti si segnala che è importante che “l’azienda, con il supporto del RSPP, verifichi lo stato degli spazi destinati a co-working con l’affittuario degli stessi, in modo da poter richiedere preventivamente alcune eventuali misure di adeguamento relative alla sicurezza dei locali e alle misure di emergenza”. Nel caso che il lavoratore agile utilizzi la propria abitazione “l’approccio sarà diverso ma è importante fornire indicazioni preventive per evitare situazioni che potrebbero rivelarsi di difficile risoluzione in un secondo momento, quando ad esempio la modalità smart working sia già a regime con tutta la strumentazione da utilizzare”.
Un ulteriore aspetto da considerare, non correlato ad un rischio specifico, “riguarda la necessità di effettuare pause di lavoro ravvicinate, senza dubbio più frequenti rispetto a quanto al momento previsto per i videoterminalisti dalla normativa vigente tramite il titolo VII del D.Lgs. 81/2008. Come noto da tempo la normativa prevede pause di 15 minuti ogni 2 ore di lavoro presso il videoterminale”.
Si ricorda che alcune normative europee, ad esempio la normativa britannica, “prevedono, in caso di utilizzo di laptop, phablet o smartphone (che hanno schermi di dimensioni inferiori), pause più brevi ma molto più ravvicinate e frequenti. Sono vivamente consigliate durante l’utilizzo di tali strumentazioni pause brevi (30-60 secondi sarebbero sufficienti) ogni 15 minuti o in alternativa una pausa più lunga (5-10 minuti al massimo) dopo non di più di 1 ora di lavoro”.
E sarebbe importante che anche la nostra normativa si adeguasse a queste esigenze “derivanti da nuove modalità di lavoro che richiedono una revisione della gestione dei tempi di pausa, per imporre una maggiore tutela dei lavoratori che utilizzano le nuove strumentazioni digitali a disposizione ormai da tempo”.
L’analisi dei rischi: il microclima e il comfort termico
Rimandando ad altri approfondimenti la trattazione di altri rischi generali, ci soffermiamo brevemente oggi sul rischio microclimatico.
Si sottolinea che microclima e qualità dell’aria “devono avere caratteristiche tali da consentire di preservare salute e benessere di chi li popola. Ciò si realizza o per mezzo di ricambi di aria reperita dall’esterno o attraverso specifici sistemi di condizionamento e riscaldamento”.
E le indicazioni presentate nel documento dovrebbero essere applicate non solo presso locali comuni in cui il lavoratore, in modalità smart working, opera, ma anche presso abitazioni private o comunque non aziendali (seconde case, case vacanza, altre abitazioni private, ecc.).
È necessario che:
- “lo spazio disponibile sia tale da consentire liberi movimenti;
- i locali siano dotati del requisito di agibilità (è preferibile non siano ubicati in seminterrati);
- l’illuminazione e l’areazione siano idonee;
- il locale sia asciutto e non umido;
- le condizioni igieniche siano idonee”.
Si ricorda poi che l’ambiente interno termico dipende da fonti interne ed esterne e per chi svolge le proprie mansioni in modalità di lavoro agile, è bene ricordare, tra le possibili sorgenti di calore, “la sicura presenza di attrezzature elettriche (tra cui luci o computer), la radiazione solare, la presenza umana di altri soggetti non necessariamente colleghi con cui lo spazio viene condiviso”. Mentre comuni fonti di freddo “possono essere efficacemente rappresentate dai ponti termici nelle costruzioni, dalle superfici delle finestre, dalle pareti non correttamente isolate”.
In questo senso il comfort termico risente pertanto degli “effetti combinati dati dalle diverse fonti di calore e freddo presenti nell’ambiente circostante”.
Sono poi riportati i “parametri di riferimento suggeriti dalla normativa, e che dovrebbero essere segnalati come necessari ai lavoratori in smart working”:
- temperatura interna invernale: 18 ÷ 22 °C
- umidità relativa invernale 40 ÷ 60 %
- temperatura interna estiva inferiore all’esterna di non più di 7°C
- umidità relativa estiva compresa tra 40 ÷ 50 %
- velocità dell’aria inferiore a 0,15 m/sec.
Nel caso specifico dei lavoratori in smart working che operano presso l’abitazione o in ambienti non aziendali in cui non è possibile un controllo diretto da parte dell’azienda, “questi rimangono semplicemente consigli e indicazioni da fornire come necessari al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei diretti interessati, ma si ritiene che tale passaggio informativo sia opportuno”. Avendo ricevuto idonee informazioni, i lavoratori che si trovassero a operare in ambienti in assenza di adeguate condizioni microclimatiche, potranno “attivarsi per la ricerca di opportune soluzioni (usando, ad esempio, scambi d’aria con l’ambiente esterno o usando i sistemi di condizionamento e riscaldamento a disposizione presso il privato)”.
Rimandiamo alla lettura integrale del documento CNI sia in relazione agli altri rischi presentati che agli ulteriori dettagli sul rischio microclimatico e sui fattori fondamentali per garantire un sano equilibrio finalizzato alla soddisfazione degli occupanti (temperatura dell’aria, temperatura media radiante, velocità dell’aria, umidità relativa, proprietà termiche dell’abbigliamento, calore metabolico/livello di attività fisica).
Tiziano Menduto
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Rispondi Autore: Wolf - likes: 0 | 02/03/2022 (14:02:53) |
Leggi l'articolo e ti viene il pesante dubbio che al CNI o non abbiano letto la Legge 81/2017 o l'abbiano fatto ma senza capirla. Stiamo ancora a confondere smart working, telelavoro e home working, a parlare di ergonomia della postazione di lavoro e di rischio elettrico e microclimatico come lo smart worker lavorasse semplicemente da casa anziché in ufficio. Fin quando non si farà a meno dell'idea ottocentesca del lavoro come produzione di qualcosa (fosse anche solo un documento) da parte di un lavoratore con una postazione fissa da qualche parte, hai voglia a parlare di futuro. |