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Sulla formazione dei lavoratori nel caso di una pluralità di mansioni

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

23/04/2012

L’obbligo da parte del datore di lavoro di assicurare al lavoratore una formazione adeguata in materia di sicurezza sul lavoro va riferito a tutte le singole mansioni che lo stesso è chiamato a svolgere e a tutti i rischi che può correre. Di G.Porreca.

 
 
Commento a cura di G. Porreca.
 
Il contenuto di questa sentenza della Corte di Cassazione penale si riferisce ad uno degli obblighi più importanti che il legislatore ha voluto porre a carico del datore di lavoro a tutela dei lavoratori dipendenti ed è quello della formazione del lavoratore stesso che, secondo l’art. 37 del D. Lgs. 9/4/2008 e s.m.i. contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, deve essere sufficiente ed idonea con particolare riferimento ai rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione caratteristici del settore o del comparto di appartenenza dell’azienda. Il caso particolare preso in esame in questa sentenza riguarda la formazione di un lavoratore allorquando allo stesso vengono affidate più mansioni da svolgere durante la sua attività lavorativa. L’obbligo da parte del datore di lavoro di assicurare al lavoratore una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza sul lavoro, secondo la suprema Corte, va riferito a tutte le singole mansioni che lo stesso è chiamato a svolgere in maniera tale da renderlo edotto su tutti i rischi inerenti ai lavori ai quali è addetto.
 

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Il fatto, il ricorso in Cassazione e le sue motivazioni
Il Tribunale ha assolto l’amministratore di una s.r.l. in qualità di datore di lavoro ed un preposto della stessa società dal delitto di omicidio colposo in danno di un operaio perché il fatto non sussiste. Agli imputati veniva addebitato che, per negligenza, imprudenza ed imperizia e violazione di specifiche norme di prevenzione infortuni (mancata informazione e formazione del lavoratore sui rischi, omessa previsione del rischio nel documento di valutazione, mancanza di adeguata manutenzione dell'autocarro, assenza di un fermo automatico del cassone in caso di accesso agli organi in movimento; ecc), avevano cagionato la morte di un dipendente il quale, per rimuovere del fango dall'albero motore di un autocarro aziendale che stava utilizzando unitamente ad un altro lavoratore, nel mentre era tra la scocca del camion ed il cassone ribaltabile, a causa dell'abbassamento repentino di quest'ultimo, veniva travolto dallo stesso subendo gravi lesioni al capo che portavano al suo immediato decesso.
 
La Corte di Appello ha confermata la pronuncia di assoluzione del Tribunale e nel fare ciò ha formulato alcune osservazioni.  La stessa, infatti, ha posto in evidenza che il giorno dei fatti il lavoratore infortunato, assieme ad un altro lavoratore della stessa azienda, doveva trasportare del terreno di scavo per cui si era allontanato dal capannone per scaricare la terra allorquando il camion si era fermato per un guasto all'albero motore che perdeva olio. A tal punto uno dei lavoratori si era allontanato per andare a prendere un secchio ove raccogliere l'olio mentre l’altro di sua iniziativa aveva cercato di riparare il guasto, rimanendo schiacciato sotto il cassone improvvisamente abbassatosi.
 
Del fatto, secondo la Corte di merito, non doveva rispondere il lavoratore che si era accompagnato all’infortunato in quanto non aveva la qualifica di "preposto" e la sua autorevolezza gli derivava solo da essere uno dei dipendenti più anziani. Lo stesso inoltre svolgeva la sua attività su un piano paritario con la vittima, la quale aveva preso l'iniziativa dell'intervento di manutenzione senza alcun ordine o consenso, e, non essendo presente al momento dell’accaduto,  non aveva pertanto potuto dissentire. Secondo la Corte di Appello non doveva rispondere neanche il datore di lavoro considerato che l'iniziativa dell’infortunato era stata improvvisa ed imprevedibile, essendo l'azienda dotata di due persone specificamente addette alla manutenzione dei mezzi e considerato ancora che il lavoratore aveva  svolta un'attività al di fuori delle mansioni attribuite allo stesso.
 
La Corte distrettuale ha, pertanto, confermata l'assoluzione valutando anomala ed abnorme la condotta della vittima la quale aveva agito di sua iniziativa, al di fuori di ordini o prassi aziendali, pur potendo far ricorso, per sopperire all'inconveniente, a personale specializzato presente in azienda.
 
Avverso la sentenza ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione il difensore delle parti civili il quale ha lamentato prioritariamente che la Corte di Appello, dopo avere stabilito che la vittima era un "tuttofare" sia presso l'abitazione del datore di lavoro che presso l'azienda, aveva valutato privo di significato che il lavoratore infortunato non avesse ricevuto informazioni e formazione in ordine all'attività da svolgere, considerato che più volte aveva anche svolto lavori di manutenzione meccanica, richiedendo in officina la fornitura di pezzi di ricambio. Dal ricorrente è stato inoltre messo in evidenza il difetto di motivazione della sentenza laddove quella della vittima era stata ritenuta una iniziativa anomala ed imprevedibile e quindi causa sopravvenuta, da sola idonea a determinare l'evento, a fronte del fatto che egli era stato effettivamente utilizzato in azienda, senza avere una specifica mansione e, quindi conseguentemente, senza un'adeguata formazione ed informazione sui rischi, per cui era prevedibile che si adattasse a fare qualsiasi lavoro ritenesse rientrare nelle sue non definite mansioni.
 
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto fondato limitatamente all'affermata esclusione di responsabilità del lavoratore che accompagnava l’infortunato. La suprema Corte, nel premettere che l'incidente si era verificato in quanto il lavoratore infortunato, allo scopo di rimuovere del fango che non consentiva all'albero motore di funzionare regolarmente, si era messo all'interno del perimetro del telaio dell'autocarro a cassone alzato e che smontando il raccordo del tubo idraulico, aveva determinato la caduta immediata del cassone che l'ha travolto determinandone il decesso, ha messo in evidenza che, al momento del fatto, l’infortunato stava espletando delle mansioni non corrispondenti alla qualifica di assunzione che era quella di "impiegato tecnico di cantiere".
 
Vero è che dal punto di vista del diritto civile, ha proseguito la Sez. IV, il datore di lavoro può esercitare unilateralmente lo "ius variandi" delle mansioni del dipendente, sebbene nei limiti consentiti dall'articolo 2103 cod. civ., ma è anche vero che, dal punto di vista del rispetto delle esigenze di prevenzione infortuni, al cambio delle mansioni deve seguire un'adeguata formazione del lavoratore ed informazione sui rischi della sua attività. Con consolidata giurisprudenza la Corte di Cassazione ha più volte affermato, infatti, che “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l'obbligo di assicurare ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro ed alle proprie mansioni, in maniera tale da renderlo edotto sui rischi inerenti ai lavori a cui è addetto”. Inoltre, poiché il datore di lavoro è tenuto a rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti, ne consegue, ha proseguito la Sez, IV, che è ascrivibile al datore di lavoro, in caso di violazione di tale obbligo, la responsabilità del delitto di lesioni colpose allorché abbia destinato il lavoratore, poi infortunatosi, all'improvviso ed occasionalmente, a mansioni diverse da quelle cui questi abitualmente attendeva senza fornirgli, contestualmente, una informazione dettagliata e completa non solo sulle mansioni da svolgere, ma anche sui rischi connessi a dette mansioni (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 41707 del 23/09/2004 Ud. (dep. 26/10/2004), Rv. 2302579).
 
Nel caso di specie, la violazione di tali regole di prevenzione e sicurezza, secondo la suprema Corte, si è palesata evidente se solo si ponga mente alla attività svolta dal lavoratore che, qualificato appunto "impiegato tecnico di cantiere", è stato invece in realtà adibito alle più svariate mansioni, anche manuali, non solo nell'ambito aziendale, ma anche come "tuttofare" rispetto alle esigenze personali del datore di lavoro. Pertanto la peculiarità nell’accaduto non è stata tanto individuata nel fatto che il lavoratore abbia svolto mansioni diverse da quelle di regola effettuate, bensì nel fatto che allo stesso siano state attribuite mansioni "indefinite", con conseguente deficit di formazione ed informazione.
 
Ne consegue che”, ha sostenuto ancora la suprema Corte, “una volta che il lavoratore sia addetto a svolgere funzioni per le quali non ha ricevuto adeguata formazione; soprattutto, come nel caso che ci occupa, quando la ‘fluidità’ di tali mansioni non consente di definire in modo preciso il suo profilo professionale; quando questi ponga in essere comportamenti imprudenti (smontaggio di un circuito idraulico a cassano alzato), non può dirsi che gli eventi letali che ne conseguono sono il frutto di condotte anomale ed imprevedibili, in quanto la imperizia del comportamento è direttamente ricollegabile alla sua mancata formazione ed informazione”.
 
La Corte di Cassazione non ha pertanto condivisa la pronuncia del giudice di merito che, nell'escludere la responsabilità del datore di lavoro, ha ricondotto l'evento mortale alla negligenza della stessa vittima che con il suo comportamento avrebbe posto in essere una condotta idonea da sola a determinare l'evento. Il giudice di merito, invece, secondo la Sez. IV, alla luce dei principi sopra indicati avrebbe dovuto valutare se, in ragione delle concrete modalità di svolgimento del lavoro, poteva riconoscersi una responsabilità in capo al datore di lavoro avendo questi tollerato che il lavoratore non fosse investito di specifiche mansioni e avendo omesso di fornirgli, personalmente o a mezzo della struttura aziendale, una adeguata formazione ed informazione nonché avendo consentito che il lavoratore, titolare di mansioni "indefinite", si cimentasse nelle più svariate attività di lavoro manuale, senza che avesse in relazione ad esse una specifica formazione professionale.
 
Per quanto sopra detto, quindi, la suprema Corte di Cassazione ha annullata la sentenza agli effetti civili, limitatamente alla posizione del datore di lavoro con rinvio al giudice competente per valore in grado di appello. Circa infine la posizione del preposto, la Sez. IV ha rigettato il ricorso proposto nei suoi confronti ed ha confermata la sua assoluzione in quanto la stessa è stata determinata dal fatto che non è risultata provata la sua qualifica di preposto e quindi di sovraordinazione gerarchica rispetto alla vittima.
 
 
 


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Rispondi Autore: Alessandro Claudio Orefice - likes: 0
23/04/2012 (08:55:53)
La sentenza è molto interessante perchè contribuisce a chiarire [purtroppo meglio soppesata la cosa, come al solito... tristemente ex post!]che anche una piccola impresa ha una organizzazione del lavoro con cui fare di calcolo. E proprio perchè OdL... deve essere organizzata.
Ne deriva che il sistema delle diverse posizioni di lavoro [a prescindere anche dall'area afferente ai doveri di prevenzione, restando volendo sotto il principio di effettività di cui all'art. 2103 c.c.]deve essere definito, passandosi dal sapere organizzativo implicito a quello esplicito; cioè sia a livello intra-organizzativo [con un funzionigramma: idoneo come immagine di sintesi dellstruttura] che nei confronti dei singoli attori [comunicazione dei propri compiti rientranti nella mansione,specifica e/o promiscua che sia]. Insomma se la PdL ha dei contenuti promiscui, chiamiamola pure 'PdL Jolly': ma analizziamola, definiamone i contenuti e i poteri [autonomia,finalità, livello di discrezionalità e conseguenti responsabilità]. serve attenzione dunque a non prendere lucciole per lanterne con le esigenze di flessibilità e per non trascenderle: flessibilità non deve voler dire caos, ma comunicare [cioè rendere condiviso] il suo 'quid consistat' agli attori organizzativi. La cattiva abitudine della flessibilità è infatti tradurre in elusione comunicativa il sistema di attese definito dalla conoscenza incrociata del proprio lavoro con quello altrui. Ci sarebbe molto altro da dire [specie per rintuzzare le plausibili obiezioni sterilmente solite del tipo: le PMI non hanno tempo, bisogna lavorare, costa troppo,tra la teoria e il fare c'è di mezzo... etc.]. Resta il fatto centrale che superficialità di pensare [teoria?] non è tollerabile perchè non siamo all'anno zero sotto il concetto di doveri di impresa e di sua organizzazione. Specie a guardare sotto il segno della facoltà dell'intrapre-hendere impresa' non solo con gli onori, ma pure con gli oneri che ne discendono. Diversamente non c'è esercizio di responsabilità,ma di capacità elusiva delle regole.

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