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Sulla corresponsabilità del coordinatore e dell’impresa affidataria

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Edilizia

17/01/2011

La Cassazione: confermata la corresponsabilità del coordinatore e dell’impresa affidataria e la loro posizione di garanzia nei confronti delle ditte appaltatrici che possono operare in un cantiere edile. A cura di G. Porreca.

 
 
 
Commento.
 
È in linea con le disposizioni del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 e s.m.i., contenente il Testo Unico in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, questa sentenza della Corte di Cassazione penale nella quale sono state individuate le responsabilità concorsuali del coordinatore in fase di esecuzione e dell’ impresa affidataria a seguito di un infortunio mortale sul lavoro accaduto in un cantiere edile nel quale, in base ad uno schema complesso di lavori appaltati in cascata, sono venute a trovarsi ad operare simultaneamente diverse imprese esecutrici. Nel caso in esame, in particolare, una impresa affidataria ha concesso parte dei lavori avuti in appalto dalla committenza e relativi alla costruzione di un centro commerciale ad una ditta subappaltatrice la quale a sua volta ha trasferito i lavori di fornitura e posa in opera della struttura metallica del fabbricato ad altra impresa che a sua volta ancora ha affidato ad una quarta società il montaggio di lamiere e pannelli costituenti la copertura metallica del fabbricato. È stato proprio un lavoratore dipendente di quest’ultima ditta subsubappaltatrice che è rimasto vittima dell’infortunio sul lavoro per una caduta nel vuoto a seguito di un cedimento di parte della struttura di copertura.
 
Le decisioni del Tribunale prima e quindi della Corte di Appello ed infine della Corte di Cassazione si ritengono che siano state prese nel pieno rispetto dell’applicazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 81/2008 in quanto, oltre al datore di lavoro dell’infortunato, sono stati chiamati a rispondere dell’accaduto sia il coordinatore in fase di esecuzione che il titolare dell’impresa affidataria per non aver provveduto a coordinare i lavori in corso nel cantiere edile e quest’ultima in più anche per non aver controllata la sicurezza non solo dei propri lavoratori ma anche quella riguardante i lavori svolti dalle imprese subappaltatrici nei confronti delle quali la stessa per norma assume una posizione di garanzia.


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La dinamica dell’infortunio.
L’infortunio sul lavoro in esame è accaduto mentre il lavoratore stava trasportando una pesante lamiera che doveva servire a completare la intelaiature del tetto di copertura e dopo che lo stesso ha messo un piede su di un'apertura presente nel pavimento coperta da un pannello di polistirene che sotto il peso dell’operaio ha ceduto.
Il committente, attraverso il suo coordinatore per la sicurezza, aveva provveduto a predisporre il piano di sicurezza e coordinamento (PSC) e tutte le imprese sia appaltatrice che subappaltatrici avevano redatto il proprio piano operativo di sicurezza (POS) secondo le disposizioni di legge vigenti. Per quanto accaduto sono stati rinviati a giudizio il coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori nominato dal committente, il Presidente dell’impresa affidataria, il responsabile per la sicurezza e direttore tecnico di cantiere, il capocantiere ed il caposquadra della stessa impresa, oltre al datore di lavoro dell'infortunato. Il Tribunale ha riconosciuta la responsabilità di tutti gli imputati, salvo che per il caposquadra (deceduto prima del rinvio a giudizio) e per il Presidente della società che è stato assolto per non aver commesso il fatto, ed ha condannato il coordinatore per la sicurezza alla pena di sei mesi di reclusione, il direttore tecnico di cantiere ed il datore di lavoro dell’infortunato ciascuno ad otto mesi di reclusione ed il capocantiere ad un anno. Tutte le sentenze emesse dal Tribunale sono state successivamente confermate dalla Corte di Appello.
 
Singolare è stata la dinamica dell’infortunio. Al momento dell'evento infortunistico erano in corso i lavori di completamento della struttura metallica di copertura del fabbricato e di tamponamento delle aperture laterali. A seguito della caduta dell’operaio nell’apertura non debitamente protetta ed esistente nel solaio del primo piano, dove il lavoratore infortunato si trovava a lavorare, e sulla quale era stata appoggiata solo una lastra di polistirene, lo stesso cadendo ha impattato contro un tavolato che proteggeva l'imboccatura di un camino sottostante il quale a sua volta ha ceduto facendo finire a testa in giù entro un condotto di aerazione il lavoratore che poi è caduto a terra una volta percorso per intero il condotto e dopo una caduta di circa 14 metri.
 
Tutti gli imputati sono stati ritenuti responsabili per non aver predisposto idonei presidi di protezione delle aperture presenti in più punti del cantiere e necessarie per consentire il passaggio dei condotti di aerazione, ed il capocantiere in più per non aver vigilato che non venissero rimosse le protezioni delle stesse aperture. Quest’ultimo in particolare aveva affermato di avere debitamente adempiuto alle disposizioni di legge con la sistemazione sulle aperture di reti termosaldate fissate da pezzi di legno che tenevano aderente la rete a terra e che evidentemente erano state successivamente rimosse.
In realtà si era accertato che le reti termosaldate non erano state stabilmente ancorate al suolo così come richiesto dalla normativa vigente (D.P.R. n. 164 del 1956, articolo 68, comma 1) e dallo stesso POS dell’impresa affidataria secondo cui la copertura di aperture nei solai doveva essere saldamente fissata in modo da rimanere sempre nella stessa posizione ed offrire resistenza non inferiore a quella del piano di calpestio. Anche la protezione dell'apertura dei condotti di aerazione del piano sottostante era stata ritenuta insufficiente dal momento che costituiva un riparo meramente apparente e inidoneo ad offrire la resistenza necessaria al corpo del lavoratore infortunato.
 
Nel cantiere erano presenti più imprese, elemento di indubbia moltiplicazione del rischio” ha affermato la Corte di Appello, “ed il dovere di adottare le misure generali di tutela di tutti i lavoratori, anche non suoi dipendenti, era a carico dell’impresa affidataria” per cui a carico del capocantiere di tale impresa è stata individuata la responsabilità di non aver realizzato un sistema sicuro di protezione e di non aver vigilato debitamente, ciò che gli avrebbe consentito di rilevare prima dell'infortunio che la rete di protezione dell’apertura in questione era fuori posto. Per le stesse ragioni è stato ritenuto responsabile anche il direttore tecnico del cantiere, massimo responsabile del cantiere per l’impresa affidataria anche sotto il profilo della sicurezza, da cui lo stesso capocantiere prendeva ordini; rientrava infatti nei suoi compiti sovrintendere alla predisposizione di misure di carattere generale quali erano quelle in esame. Anche il coordinatore per la sicurezza è stato ritenuto responsabile stante la sua posizione di garanzia che gli competeva nella sua qualità di redattore del Piano di sicurezza e Coordinamento (PSC), “figura centrale”, ha proseguito la Sez. IV, “nella disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 494 del 1996 con specifici compiti (articolo 5) di controllo e vigilanza durante l'esecuzione dei lavori”. “Egli era presente sul cantiere”, ha sostenuto altresì la suprema Corte, “e pertanto avrebbe dovuto accorgersi che il sistema realizzato non era regolare e pretendere la messa in regola, laddove invece lo aveva tollerato”.
 
Il ricorso in Cassazione.
Avverso la sentenza della Corte di appello hanno presentato ricorso per cassazione i difensori del coordinatore per la sicurezza, del direttore tecnico di cantiere e del capocantiere. Il coordinatore per la sicurezza, in particolare, fra le altre motivazioni addotte, ha sostenuto che nei precedenti giudizi non era stato tenuto conto della sua diligente attività svolta in cantiere, documentata anche da fotografie, e che “il ruolo del coordinatore non deve essere inteso quasi come una responsabilità oggettiva”.
Il direttore tecnico ed il capocantiere, dal canto loro, hanno tenuto a precisare che il lavoratore infortunato era dipendente dell’impresa subappaltatrice e non dell’impresa affidataria e che quest’ultima peraltro, nella fase lavorativa in cui è avvenuto l'incidente, non stava effettuando alcuna lavorazione nel piano dove lo stesso è avvenuto. I ricorrenti hanno inoltre posto in evidenza che, in base al contenuto del D. Lgs. n. 494/1996 (in vigore al momento dell’accaduto) ciascuna delle imprese esecutrici presenti nel cantiere era responsabile della sicurezza dei propri dipendenti ed era tenuta a redigere un proprio piano operativo di sicurezza (POS) in relazione alle lavorazioni che era chiamata a svolgere, piano del quale la stessa impresa doveva curare unicamente l'esecuzione, ed hanno sostenuto inoltre che non esiste alcun obbligo in capo al datore di lavoro di un'impresa esecutrice, sia essa l'appaltatore principale o meno, di curare l'attuazione del piano di sicurezza e coordinamento generale (PSC) essendo questo un adempimento di competenza del committente o del soggetto da questi nominato quale coordinatore né di curare l’attuazione di un piano operativo che non sia il suo.
Secondo i difensori del direttore tecnico di cantiere e del capocantiere dell’impresa affidataria, inoltre, i giudici di merito avevano attribuito erroneamente a questa impresa il ruolo sostanziale di " committente" rispetto alle imprese subappaltatrici, in considerazione del fatto che essa era l'impresa principale presente nel cantiere, ed ingiustamente avevano addebitato quindi alla stessa la responsabilità di vigilare sul rispetto del PSC trascurando invece che, ai sensi dell'articolo 2 comma 1 lettera b del predetto D. Lgs., fanno capo esclusivamente al committente, quale "soggetto per conto del quale l'intera opera viene realizzata", le responsabilità in tema di coordinamento previste dall'articolo 6. I ricorrenti, quindi, non ricoprendo l’impresa affidataria il ruolo di committente, hanno dedotto di non avere l'obbligo di dare attuazione alle prescrizioni del PSC della committenza ma solo a quelle del proprio POS ed hanno concluso che, se era pur vero che quest'ultimo POS prevedeva e disciplinava il pericolo di caduta dall'alto, gli stessi avrebbero dovuto curare il rispetto di tale piano solamente nei luoghi in cui l’impresa affidataria attendeva, con le proprie maestranze, a lavorazioni che avessero comportato tale rischio.

Le decisioni della Corte di Cassazione.
La corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi degli imputati ritenendoli infondati. Per quanto riguarda il coordinatore per la sicurezza e le sue osservazioni la suprema Corte ha ritenuta corretta la valutazione fatta dalla Corte di Appello in merito al suo comportamento avendolo considerato “colpevole in quanto posto in essere in violazione della specifica posizione di garanzia che gli imponeva di verificare in concreto l'attuazione di quanto previsto nei piani di sicurezza (PSC e POS) e il continuo rispetto delle prescrizioni anche, e può dirsi specialmente, in relazione alla evoluzione dei lavori, essendo assai sovente proprio questo il momento più pericoloso della vita di un cantiere edile, da un lato, per il subentrare di un certo affidamento sulle prassi seguite e, dall'altro, normalmente, per l'ingresso nel cantiere di nuovi soggetti non a conoscenza di tutto quanto già in precedenza fatto fino a quel momento”.
 
Per quanto riguarda il ricorso del direttore tecnico e del capocantiere dell’impresa affidataria e le osservazioni dagli stessi formulate sugli obblighi del committente che in base alle norme di sicurezza ha il compito fondamentale di curare il coordinamento tra le diverse imprese che operano nel cantiere, la Sez. IV ha posto in rilievo che gli stessi imputati “hanno trascurato di considerare che tale regolamentazione non è certamente esaustiva della complessiva disciplina che regola la sicurezza sul lavoro, dal momento che il decreto legislativo in questione si inserisce nel complessivo ambito della disciplina dettata in tale materia, quale normativa speciale dettata per meglio proteggere uno specifico ambiente di lavoro, quello del cantiere temporaneo e mobile appunto, che, a causa delle sue particolari caratteristiche (collegate alla mancanza di un punto di riferimento imprenditoriale stabile dal momento che ogni cantiere costituisce una realtà a sé, con proprie esigenze e affidata a un soggetto che ben può essere ogni volta diverso) e della correlativa particolare pericolosità del lavoro che in esso si svolge, necessita di norme particolari ed apposite che però non escludono certamente, ed anzi presuppongono, essendo di essa integrative, la contemporanea applicazione della normativa generale”.
Ciò è tanto vero” ha proseguito la suprema Corte, “che il Decreto Legislativo n. 494 del 96, articolo 1, comma 2, stabilisce espressamente che, nello specifico settore da esso regolato, quello dei cantieri temporanei e mobili, e fatte salve le specifiche disposizioni da esso dettate, trovano applicazione le disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 626; e l'articolo 8 del medesimo Decreto Legislativo richiama i datori di lavoro presenti nel cantiere all'osservanza delle misure generali di tutela di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 3” ed “impone loro - alla lettera g. - di curare, ciascuno per la parte di competenza, la cooperazione tra datori di lavoro e lavoratori autonomi".
Per quanto sopra detto, quindi, la Sez. IV ha ritenuto essere perfettamente coerenti con l'impianto normativo di cui al D. Lgs. n. 494/1996 ed al D. Lgs. n. 626/1994 (all’epoca in vigore) le affermazioni contenute nelle sentenze di condanna secondo cui, avendo il cantiere una struttura ed una organizzazione complessa, rientrava nei compiti dell'impresa principale quello di coordinare le imprese appaltatrici e quello di adottare le misure generali di tutela di tutti i lavoratori, anche non suoi dipendenti. “La responsabilità dell'impresa principale che riveste il ruolo di committente rispetto alle imprese subappaltatrici”, ha sostenuto ancora la suprema Corte, “essendo connessa alla realizzazione dell'opera complessiva, permane ancorché essa non operi più nell'area in cui la situazione di rischio si colloca". In sostanza, ha concluso la Sez. IV, quello che i giudici di entrambi i precedenti gradi del procedimento avevano correttamente affermato è che l’impresa affidataria, e per essa il capocantiere ed il direttore tecnico di cantiere in quanto massimo responsabile della sicurezza, “quale principale società appaltatrice dei lavori per la realizzazione del centro commerciale ed appaltante essa stessa di specifiche opere, era tenuta alla vigilanza dell'intero cantiere tanto più che, come ha sottolineato in particolare la sentenza di primo grado, si trattava di misure di carattere generale”.
 
 
 
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