Le responsabilità legate alla manutenzione dei veicoli aziendali
L’omessa o non corretta manutenzione dei veicoli aziendali è una circostanza talora sottovalutata che può generare diverse conseguenze; a livello esemplificativo, essa può infatti determinare incidenti stradali, investimenti etc., con connessa attribuzione delle responsabilità penali a carico del soggetto gravato della manutenzione di tali veicoli o di altri soggetti.
Va sottolineato in questa sede che, sebbene le conseguenze di tali omissioni - ove accertate - possano manifestarsi in un luogo fisicamente “lontano” dall’azienda, ovvero su una strada o un’autostrada, esse affondano comunque le loro radici in una omissione aziendale della normativa prevenzionistica e quindi nella violazione di obblighi di salute e sicurezza sul lavoro ai sensi del D.Lgs.81/08 e dell’art.2087 del codice civile.
Per la natura stessa di tali conseguenze (es. l’incidente stradale), inoltre, le vittime di questo tipo di infortuni sono spesso rappresentate anche dai terzi (oltre che dai lavoratori stessi).
Un primo esempio è fornito da Cassazione Penale, Sez.IV, 15 luglio 2010 n.27666, con cui la Corte ha confermato la condanna di D.L., quale “legale rappresentante della G. s.r.l., responsabile del decesso del dipendente C.D. e di altre due persone, condannandolo, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di un anno di reclusione ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili”.
Questa la dinamica degli eventi: il C.D., dipendente con funzioni di impiegato-disegnatore, aveva ricevuto dal suo datore di lavoro D.L. l’ordine di recarsi all’aeroporto per prelevare dei clienti al fine di accompagnarli presso lo stabilimento aziendale.
Si trattava di un “compito assolutamente non rientrante nelle sue mansioni di lavoro”.
Dunque, “nella via del ritorno, mentre percorreva l’autostrada…, a seguito del distacco del battistrada, il C. perdeva il controllo dell’autovettura che, dopo aver fatto alcuni giri su se stessa, andava a conficcarsi nella parte posteriore destra di un autocarro fermo, in quanto guasto, sulla adiacente piazzola di sosta. Nell’incidente decedevano sia il C. che le due persone che egli aveva prelevato all’aeroporto.”
La sentenza specifica che “il D.L. veniva ritenuto responsabile per aver affidato al dipendente un’autovettura senza prima verificare l’efficienza ed in particolare lo stato degli pneumatici e non rilevando così che quello montato sulla ruota posteriore sinistra era diverso dagli altri, era usato e di vecchia data (come dimostrato dal fatto che era fuori produzione da anni), circostanze che avevano determinato o contribuito a determinare il distacco del battistrada e dunque a causare l’incidente.”
Infatti, secondo la Cassazione, era “compito del datore di lavoro assicurarsi dell’adeguatezza del veicolo affidato al dipendente, anche sotto il profilo della corretta manutenzione di tutti i suoi componenti, pneumatici compresi”.
E “correttamente, ad avviso del Collegio, è stata ritenuta la responsabilità del D.L. in base alle disposizioni che tutelano la sicurezza sul lavoro, atteso che l’incidente si è verificato proprio nell’espletamento di un’attività che era stata direttamente commissionata al dipendente dal datore di lavoro e per un difetto del mezzo che costui aveva messo a disposizione del primo.”
E’ interessante infine il seguente passaggio della sentenza: “né può invocarsi la concorrente responsabilità del dipendente ex articolo 79 C.d.S. sotto il profilo che il medesimo, in quanto conducente di un veicolo, avrebbe dovuto controllarne la efficienza prima di mettersi alla guida dello stesso”.
Ciò in quanto “l’inosservanza dell’obbligo in questione, certamente esistente a carico del conducente, può infatti portare alla affermazione della responsabilità del medesimo quando gli sia addebitabile un rimprovero di negligenza, come nel caso che egli non accerti difetti palesi o comunque riscontrabili mediante la normale diligenza, come certamente non era nel caso di specie atteso che la Corte di appello ha escluso che il pneumatico presentasse segni visibili di consunzione e che né la vetustà dello stesso né il fatto che lo stesso fosse diverso dagli altri montati sulla vettura (le due circostanze di fatto che sono state ritenute determinanti ai fini del distacco del battistrada) erano circostanze percepibili da colui che si stava per porre alla guida del mezzo medesimo.”
Passiamo ora ad analizzare Cassazione Penale, Sez.IV, 21 luglio 2016 n.31495, che ha confermato la condanna del ricorrente G.R. per il “delitto di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche.”
La ricostruzione dei fatti è la seguente: “la mattina del 20 ottobre 2009 lungo l’autostrada A23, nel territorio del comune di Tarvisio, sulla carreggiata sud vi era stato un incidente stradale.”
Dunque, “durante l’operazione di recupero del mezzo incidentato (il guidatore aveva perso il controllo del veicolo ed era andato a collidere contro la cuspide del guardrail), in particolare durante l’operazione di carico del veicolo sopra il pianale del mezzo di soccorso della società gestita dal ricorrente, accadeva che si rompeva il cavo del verricello ed il veicolo incidentato (un furgone), scivolava dal pianale in basso, acquistando velocità andando così ad investire C.R., dipendente di A. S.p.a., che per ragioni di servizio stava svolgendo in quel momento alcune operazioni di pulizia del manto stradale”.
Dalle dichiarazioni testimoniali e dagli accertamenti tecnici eseguiti era emerso nei gradi di merito “il difetto di manutenzione del cavo e la diretta efficacia causale della violazione delle norme cautelari di cui all’art.71 co.4 ed 87 d.lvo 81/2008 circa l’obbligo in capo al G.R. di manutenzione mensile del verricello e della morsettatura uni N13”.
Più in particolare, “il cavo del verricello il giorno dell’infortunio era in evidente stato di usura, presentava formazione di ruggine, ovalizzazione della sezione, nonché una rottura in corrispondenza dei morsetti di fissaggio del capo morto, lato gancio irregolare con trefoli sfilacciati, con la morsettatura del capo morto inadeguata rispetto alla normativa uni N13411.”
Per quanto riguarda la condotta del lavoratore infortunato, la Cassazione sottolinea che “non può certo il C.R., dipendente della Società A., considerarsi un estraneo al luogo ove operava il carro attrezzi, gestito dalla ditta dell’imputato, anzi vi era, certamente, una inevitabile comunanza di luogo tra gli addetti al carro attrezzi e la persona offesa in ragione del fatto che tutti erano intervenuti per lo stesso motivo: vale a dire l’incidente stradale poco prima verificatosi, i primi per recuperare il mezzo incidentato, gli altri, tra cui il C.R., per ripristinare la sede stradale.”
E “pertanto, a tutti gli effetti il C.R. va ritenuto un lavoratore che, in ragione della sua precipua mansione, si è venuto a trovare nell’area di quel rischio che doveva essere previsto e gestito dal ricorrente.”
In conclusione, per quanto riguarda la responsabilità del ricorrente, resta “ferma la incontrovertibile colpa del medesimo nel non aver sostituito il cavo dell’argano del carro attrezzi sicuramente usurato e, prevedibilmente, pronto a spezzarsi se sottoposto a forte trazione.”
Concludiamo questa breve rassegna, condotta come sempre senza la pretesa di essere esaustivi sull’argomento, con una sentenza di qualche mese fa (Cassazione Penale, Sez.IV, 11 maggio 2021 n.21561), con cui la Corte si è pronunciata sulle responsabilità di un autotrasportatore (G.S.) per un incidente stradale in cui hanno perso la vita tre persone.
In particolare, secondo gli accertamenti “si sarebbe verificato lo sganciamento progressivo della coppia di ruote dell’assale posteriore destro del trattore stradale condotto dall’imputato, il quale avrebbe proseguito la marcia a una velocità comunque superiore a quella prescritta (81 km/h a fronte di un limite di 70 km/h) nonostante le vibrazioni che necessariamente si verificavano sull’autoarticolato, fino a che, una volta verificatasi l’avulsione della coppia di ruote, perdeva il controllo del veicolo che invadeva la corsia opposta di marcia e impattava violentemente contro la Mercedes Benz C200”.
E’ da notarsi che era altresì emerso che, “poco tempo prima del sinistro, il G.S. aveva notato un “malfunzionamento di ammortizzatore anteriore” (cui seguì la riparazione del guasto) e che, quanto alle gomme, queste erano state sostituite dall’officina aziendale, il cui responsabile T. (inopinatamente sentito in qualità di testimone, laddove la sua qualità di soggetto responsabile della manutenzione del veicolo avrebbe reso necessario che costui fosse udito con le garanzie di cui all’art.63, cod.proc.pen.) ha riferito di avere provveduto a montare pneumatici “da sbarre 70” che assicurassero una migliore stabilità dell’autoarticolato.”
Ma a questo proposito - a parere della Cassazione - nella sentenza della Corte d’Appello “non risulta chiarito, ad esempio, se il malfunzionamento precedentemente registrato dall’imputato avesse o meno caratteristiche similari a quelle che, secondo il consulente tecnico del P.M., dovevano essere state necessariamente percepite dal G.S. negli istanti immediatamente antecedenti il sinistro; se così fosse, occorrerebbe anche approfondire l’aspetto relativo alle rassicurazioni fornite dall’officina meccanica aziendale dopo gli interventi che presso di essa furono eseguiti sull’autoarticolato e, conseguentemente, all’incidenza di tali rassicurazioni sulla condotta alla guida del G.S. prima dell’incidente.”
Con questa pronuncia la Suprema Corte ha pertanto annullato con rinvio la sentenza impugnata per un nuovo giudizio, stabilendo che debba essere approfondito, in sede di merito, “se i malfunzionamenti segnalati dall’imputato all’officina aziendale presentassero analogie sintomatiche con le anomalie emerse in occasione dell’incidente e descritte dal consulente del P.M. ing. L.; e se quindi, avuto particolare riguardo agli interventi precedentemente eseguiti sull’autoarticolato e alle rassicurazioni ricevute, vi fossero realmente motivi di allarme tali da dover indurre il G.S., nel breve arco di tempo indicato dal consulente tecnico, a modificare il proprio assetto di guida o a fermarsi per verificare cosa stesse accadendo.”
E “va da sé che tale verifica non può essere scissa da un ulteriore approfondimento, relativo alla rilevanza causale della velocità elevata tenuta nell’occorso dall’autoarticolato condotto dall’imputato”.
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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