Lavoratori sui binari ferroviari investiti da treni in corsa: sentenze
Nell’accingermi a redigere questo contributo, ho reperito senza particolari difficoltà numerose sentenze su questo tema. Ho selezionato le seguenti, che non sono però da considerarsi pronunce isolate su questo argomento. Ho ritenuto che anche questa informazione fosse un dato utile ai fini dell’analisi da parte dei lettori.
Decesso di un lavoratore travolto da un treno a causa della violazione, da parte di più soggetti, delle disposizioni di servizio concernenti l’obbligo di predisporre un’idonea organizzazione protettiva per i lavoratori operanti sui binari in esercizio
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 6 giugno 2019 n.25133, la Cassazione si è pronunciata in merito alle responsabilità di “M. in qualità di Capo reparto esercizi impianti segnalamento e sicurezza IS 1, Firenze; il B. di capo zona; il C. di tecnico della manutenzione dell’Unità territoriale di Firenze, con mansioni di capo-squadra, preposto alla protezione del cantiere di lavoro; T. di Dirigente del movimento presso la Stazione ferroviaria di Firenze Rifredi”, per il reato di omicidio colposo commesso con colpa generica (negligenza, imprudenza e imperizia) nonché in “violazione delle disposizioni di servizio concernenti l’obbligo di predisporre un’apposita e idonea organizzazione protettiva per le persone addette a lavori sui binari in esercizio, onde assicurarne l’incolumità al passaggio dei treni”.
A tali soggetti era stato contestato altresì di “aver omesso di adempiere ai doveri di adeguata, specifica ed effettiva informazione, formazione e addestramento dei lavoratori, con riferimento ai rischi specifici correlati all’esecuzione di lavori sui binari in esercizio e di adottare le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che avevano ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento accedessero alle zone che li esponevano ai rischi relativi a tali lavori”.
In particolare, “non disponendo che si procedesse in regime di interruzione del binario, come sarebbe stato corretto, bensì in regime di liberazione del binario su avvistamento, peraltro in assenza di formale assegnazione degli incarichi e precisa individuazione della distanza di sicurezza e del punto di avvistamento, non sussistendo la possibilità di avvistare il treno alla “distanza di sicurezza”, calcolabile in non meno di metri 830, laddove in concreto era possibile avvistare i treni provenienti da nord solo alla distanza di metri 200 circa, per la presenza di una curva e di una barriera antirumore, che limitavano la visuale, ed in considerazione altresì dell’orario notturno, dell’assenza di illuminazione e delle caratteristiche della sede dei lavori, in cui vi era un fascio di sette binari paralleli, raccordati da svariati deviatoi; non ricoverando la squadra in luogo sicuro, al transito dei treni; non adoperandosi per eliminare la situazione di pericolo grave e incombente, correlata al passaggio contemporaneo di due convogli, provocavano l’investimento e il conseguente decesso dell’operatore R.D., il quale veniva travolto da un treno regionale su un binario su cui la squadra si era spostata per il sopraggiungere, sul binario adiacente dove operava, di un treno merci.”
In merito ai calcoli delle distanze di cui sopra, durante il processo era emerso che, “secondo la deposizione dei tecnici della prevenzione e la valutazione del consulente del pubblico ministero, professore di meccanica applicata all’Università di Firenze, la distanza di sicurezza corrispondeva a 830 m, mentre nella specie i lavoratori avevano uno spazio di soli 240 m per avvistare il treno. Nemmeno esisteva la distanza di sicurezza per raggiungere un luogo sicuro, trovandosi esso a 40 m, poiché non poteva considerarsi luogo sicuro l’Intervia ove i lavoratori trovarono riparo, già all’epoca considerata zona gialla ed attualmente addirittura zona rossa. Occorrevano ben 27 secondi per raggiungere un posto sicuro, in luogo degli otto secondi di tempo che i lavoratori ebbero a disposizione.”
Inoltre, era stato accertato dalla Corte d’Appello che “il sistema adottato non corrispondeva a quello disciplinato dall’art.13 IPC, poiché si fondava su un sistema di avvistamento indiretto da parte di una vedetta in cabina ovvero da parte del dirigente del movimento sul pannello luminoso di controllo della circolazione dei treni, senza la preventiva e concreta verifica che sussistesse un adeguato tempo di liberazione del binario, così come prescritto dal predetto art.13.”
Con riferimento al ricorso di M. (quale Capo reparto esercizi impianti segnalamento e sicurezza), secondo la Corte “l’imputato, nonostante fosse titolare di specifici compiti di verifica della corretta applicazione della normativa in materia di igiene e sicurezza del lavoro, si limitò, nell’anno 2009, a censurare la mancata compilazione dei moduli per l’assegnazione degli incarichi, attribuendo, all’esito della verifica del 25-9-2009, che precedette di un solo mese l’infortunio del 25-11-2009, alla voce “sicurezza del lavoro”, la votazione di 10, nonostante fosse risultato in dibattimento che mai l’avvistamento avveniva secondo quanto disponeva l’art.13.”
Per quanto riguarda il ricorso di B. (capo zona), “l’imputato non solo non si attivò per impedire questa prassi [sistema su avvistamento, n.d.r.] incompatibile con gli standard di sicurezza ma anzi ne incentivò l’utilizzo”, laddove invece “se il B. avesse rispettato le prescrizioni di legge e cioè se avesse vietato l’uso del sistema di protezione “su avvistamento”, non sussistendone i presupposti spazio-temporali per l’applicazione, e avesse quindi optato per il sistema di protezione “su interruzione”, l’evento non si sarebbe verificato.”
Quanto al caposquadra C, egli, “in qualità di preposto, era il soggetto cui in via principale competeva di decidere quale sistema di protezione del cantiere adottare.”
Secondo la Cassazione, il C. “avrebbe dunque dovuto necessariamente invocare l’applicazione del sistema di protezione “su interruzione”, adottabile, secondo quanto dichiarato dai testi L.M. e G., mediante una ben precisa procedura, attraverso la quale il binario sarebbe stato posto fuori uso. In mancanza, il C. avrebbe dovuto rifiutarsi di eseguire il lavoro in assenza dei necessari standard di sicurezza.”
A parere della Corte “era infatti imprudente affidarsi alla collaborazione del dirigente del movimento, poiché la possibilità che quest’ultimo commettesse un errore nella trasmissione dei dati doveva considerarsi tutt’altro che inverosimile, attesa la molteplicità dei compiti di sua spettanza”.
Riguardo al dirigente T., infine, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata relativamente alla sua posizione, con rinvio alla Corte d’appello per nuovo giudizio.
Decesso di due manutentori investiti da un convoglio mentre operavano sui binari con una sega-rotaie con lama rotante: condannati il caposquadra e il responsabile movimento in servizio presso la stazione ferroviaria per plurime violazioni
Con Cassazione Penale, Sez.IV, 27 ottobre 2014 n.44794, la Suprema Corte ha confermato la condanna di C.C. e A.G. per il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro “per avere, in cooperazione colposa tra di essi - il primo, nella qualità di “primo tecnico della manutenzione della rete ferroviaria italiana […]” e nella correlata qualità di capo squadra responsabile della sicurezza del cantiere; il secondo, quale responsabile movimento in servizio presso la stazione ferroviaria di Motta S. Anastasia -, nel corso di lavori di manutenzione della linea ferrata nei pressi della stazione predetta cui il C. era intento insieme ad altri quattro lavoratori, cagionato la morte di due di essi, V.G. e Ca.Fo.Li.”.
Nello specifico, “era accaduto che questi ultimi, mentre lavoravano tra i binari, facendo uso di una rumorosa sega-rotaie con lama rotante, venivano violentemente investiti da tergo e scaraventati in avanti dalla motrice del convoglio Palermo-Catania che in quell’istante sopraggiungeva”.
A seguito di tale evento, “si rimproverava in particolare al C. [caposquadra, n.d.r.] di avere omesso: di collocare a 1 km dal cantiere, in entrambe le direzioni di marcia dei treni, le tabelle di segnalazione previste dalla normativa, idonee a preavvertire i conducenti dei treni in transito della presenza di lavoratori sui binari; di organizzare adeguatamente un servizio di avvistamento idoneo a segnalare tempestivamente ai lavoratori impegnati sui binari l’arrivo dei treni; di prendere adeguati accordi preventivi con il responsabile del movimento di stazione per le segnalazioni in ordine all’arrivo dei treni.”
Peraltro, secondo la Corte d’Appello, “ove le tabelle di segnalazione di lavori in corso (tabelle del tipo S) fossero state apposte, il macchinista avrebbe attivato i relativi segnali acustici, non potendosi nemmeno escludere che, secondo i canoni di comune prudenza e diligenza, egli avrebbe rallentato la sua corsa e avrebbe altresì potuto, verosimilmente, fermarsi in tempo per evitare l’investimento. Inoltre, la segnalazione acustica avrebbe probabilmente allertato l’agente avvistatore del sopraggiungere del convoglio.”
All’imputato A. (responsabile movimento) “si rimproverava di avere omesso di: comunicare preventivamente al caposquadra gli orari di transito in stazione dei treni; concordare preventivamente con il caposquadra l’adozione di ogni idonea cautela per garantire la sicurezza dei lavoratori impegnati su linea attiva; impedire l’esecuzione dei predetti lavori di manutenzione in assenza di comunicazione per iscritto (cd. Mod. M40) da parte del caposquadra in ordine alla natura e alla tipologia dei predetti lavori; segnalare anticipatamente e con mezzi adeguati l’arrivo del predetto treno in area stazione ai lavoratori impegnati sui binari; verificare la presenza di lavoratori sui binari prima di concedere il segnale di via libera al transito in stazione del convoglio Palermo-Catania.”
La Corte d’Appello, con riferimento ad A., osservava tra l’altro che, “se è vero che il C. omise di consegnargli il modello M 40, contenente l'indicazione scritta degli interventi da eseguire, diligenza avrebbe allora imposto che egli ne impedisse l'esecuzione;
- in ogni caso, sapendo della presenza di una intera squadra di operai, egli avrebbe dovuto, prima di dare segnale di libero transito, verificare con maggiore scrupolo la situazione all'interno della stazione e all'approssimarsi del convoglio, anziché limitarsi ad un fugace accertamento visivo, dalla soglia del proprio ufficio”.
Inoltre, “l'assunto secondo cui egli non sarebbe stato in grado di udire i rumori del sega-rotaie utilizzato dai due operai, era smentito dagli esiti dell'esperimento giudiziale; se poi a tanto avesse ostato la porta chiusa per il caldo e il climatizzatore in funzione, a maggior ragione, una volta aperto l'uscio per controllare, avrebbe egli dovuto verificare con maggior cura”.
In conclusione, secondo la Cassazione, “quanto all’ A. l’esistenza di una sua posizione di garanzia rilevante nel caso di specie è correttamente fatta discendere dalle mansioni pacificamente attribuitegli di dirigente e responsabile del movimento di stazione, come tale tenuto a vigilare che il movimento dei treni in stazione avvenga in condizioni di sicurezza per tutti coloro che possano esserne coinvolti, restando del tutto irrilevante la mancanza di una richiesta di interruzione d’esercizio su uno o più binari nonché la pure dedotta omessa consegna di precisa e adeguata comunicazione scritta (Mod. 40) del programma di lavori della giornata e del numero di lavoratori addetti, atteso che - come rettamente evidenziato in sentenza - posto che egli, come è pacifico in causa, era comunque informato della presenza di una squadra di operai nell’area della stazione, proprio tale omissione avrebbe dovuto attivare i compiti e i poteri di vigilanza ed eventualmente di inibizione allo stesso assegnati, evidentemente funzionali agli obiettivi di sicurezza e prevenzione predetti.”
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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