Il datore di lavoro in una impresa strutturata come persona giuridica
Vengono ribaditi dalla Corte di Cassazione in questa recente sentenza due principi che la stessa ha avuto modo di illustrare più volte in sue precedenti espressioni e riguardanti la individuazione della figura del datore di lavoro in strutture societarie e la responsabilità della figura del responsabile del sistema di prevenzione e protezione, nel caso dell’infortunio di un lavoratore accaduto nell’azienda nella quale svolge la propria attività. La sentenza ha riguardato in particolare il ricorso presentato dal datore di lavoro di un’azienda di immagazzinaggio condannato nei due primi gradi di giudizio per l’infortunio di un lavoratore avvenuto durante le operazioni di scarico delle merci, per colpa consistita nel non avere rispettato le disposizioni di cui all’articolo 26 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i. sulla sicurezza negli appalti e subappalti e di cui all’art. 2087 del codice civile, il quale aveva basato la sua difesa sul fatto di avere nominato un RSPP, al quale andavano addebitate le responsabilità a lui attribuite, e sul fatto che, considerata la dimensione della sua impresa, non avrebbe potuto verificare direttamente la sicurezza di ogni singola unità lavorativa.
In un'impresa strutturata come persona giuridica, ha sostenuto la suprema Corte in questa occasione, il destinatario della normativa antinfortunistica è il suo legale rappresentante essendo la persona fisica per mezzo della quale l'ente collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive e sulla quale ricade l'onere di dimostrare che dalla sua qualifica non discende anche quella di datore di lavoro. Con riferimento poi alla eventuale responsabilità della figura del RSPP per l’infortunio di un lavoratore, la suprema Corte ha ribadito ancora una volta i limiti delle responsabilità di tale figura facendo un elenco dettagliato delle principali sentenze nelle quali sono stati indicati. Alla luce dei principi giurisprudenziali in esse indicati ha rigettato il ricorso confermando la condanna del datore di lavoro.
Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.
La Corte di Appello ha confermata la sentenza del Tribunale con cui l’amministratore unico di una società svolgente l’attività di magazzinaggio era stato condannato alla pena di settecento euro di multa, in relazione al reato di cui agli artt. 113 e 590, commi primo, secondo e terzo, del codice penale, per avere cagionato delle lesioni gravi a un proprio dipendente, addetto allo scarico delle merci, in concorso con il responsabile di un’altra società nei confronti del quale era stato proceduto separatamente, Allo stesso era stata addebitata una colpa generica per l’inosservanza dell'art. 26, comma 2 lettere a) e b), del D. Lgs n. 81/2008, per non avere cooperato in modo adeguato ed efficiente all'attuazione di misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro, per non essersi coordinato col committente e con altri appaltatori per gli interventi relativi all'attuazione di tali misure, dopo essersi scambiate le informazioni, al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'attività complessiva, e per inosservanza dell'art. 2087 cod. civ. per omessa adozione di misure di tutela dell'integrità fisica del lavoratore.
Il lavoratore, in ordine alla ricostruzione dei fatti, stava scaricando dei pallet da un autocarro con un transpallet allorquando si affiancava all’autocarro un altro mezzo per effettuare lo scarico in una porta di scarico attigua. Nell’effettuazione di tale manovra il lavoratore veniva urtato da tale mezzo e subiva delle gravi lesioni; uno dei testi ascoltati durante le udienze aveva riferito che al momento dell’infortunio non vi era nessuno dell’azienda che desse indicazioni precise sul come operare. L'organo giudicante, inoltre, aveva evidenziato che, all'interno del plesso aziendale, non era stato adeguatamente valutato il rischio interferenziale derivante indubbiamente dalla presenza di più imprese né erano state fornite precise indicazioni sulle procedure da seguire e sulle manovre da fare. Alcune informazioni erano state inserite in un DUVRI elaborato dalla committente che non fornivano comunque indicazioni specifiche sui possibili rischi interferenziali fra i vari addetti alle operazioni di scarico. Anche il RSPP dell’azienda aveva ammesso al riguardo che la ditta appaltatrice si era limitata a recepire acriticamente la valutazione dei rischi operata nel DUVRI redatto dalla committente, senza apportare modifiche significative sulle misure da adottare durante le manovre dei mezzi e le operazioni di scarico.
L’imputato ha ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello, a mezzo del proprio difensore, sostenendo che non poteva essere affermata la sua responsabilità in quanto aveva nominato un RSPP. Un eventuale obbligo di coordinamento con le imprese che operavano sul sito spettava quindi al più al RSPP e non a lui quale legale rappresentante né era stato tenuto conto della struttura complessa della società da lui amministrata, che, per le sue dimensioni, non consentiva una supervisione da parte dello stesso su tutto il territorio nazionale.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso secondo il quale la responsabilità di quanto accaduto era da attribuire al responsabile del servizio di prevenzione e protezione in conseguenza delle carenze di informativa. La stessa in merito alla responsabilità del RSPP per l’infortunio di un lavoratore accaduto in una azienda ha ritenuto di citare alcuni principi richiamati in precedenti sentenze quali:
- il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto consulente del datore di lavoro è privo di potere decisionale e risponde di un evento infortunistico in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate (Sez. 4, n. 49761 del 17/10/2019 pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Sulla non responsabilità di un RSPP per l’infortunio”);
- il responsabile del servizio di prevenzione e protezione ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018 pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Sulla responsabilità del RSPP per infortunio da errato DVR”);
- la mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (Sez. 4, n. 24958 del 26/04/2017);
- il responsabile del servizio di prevenzione e protezione svolge una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti, sicché il datore di lavoro, è sempre direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio (Sez. 4, n. 50605 del 05/04/2013 pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Sui limiti dei poteri e delle responsabilità del RSPP e del delegato”);
- il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, può, in misura concorrente, essere ritenuto responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che essa avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione (Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014).
Secondo la suprema Corte, quindi, stanti i limitati poteri del RSPP e i principi giurisprudenziali sopraindicati operanti in materia, permane comunque la corresponsabilità del datore di lavoro che, con la nomina di un RSPP, non è esonerato dall'obbligo di controllare direttamente la rispondenza delle attrezzature e dei luoghi alle prescrizioni di legge in materia antinfortunistica. La Corte territoriale aveva pertanto correttamente rilevato che l'obbligo di previsione e neutralizzazione del rischio interferenziale spettava all'imputato, come del resto espressamente indicato nel DUVRI nel quale si leggeva in calce che egli aveva condotto la valutazione dei rischi con la collaborazione del RSPP.
La responsabilità del ricorrente, inoltre, ha così concluso la Corte suprema, non poteva essere esclusa in conseguenza della dedotta notevole dimensione della società dallo stesso amministrata in quanto, in tema di infortuni sul lavoro, sussiste la responsabilità del legale rappresentante di una società di notevoli dimensioni, in assenza di una delega di funzioni certa e specifica ed in assenza di una documentazione attestante una organizzazione del lavoro nell'ambito dell'azienda con specifica suddivisione dei ruoli in ragione della quale sia demandata ad altro soggetto in via esclusiva la predisposizione delle misure di prevenzione e il relativo controllo sulla concreta applicazione delle misure antinfortunistiche. “In un'impresa strutturata come persona giuridica”, in definitiva, ”il destinatario della normativa antinfortunistica è il suo legale rappresentante, essendo la persona fisica per mezzo della quale l'ente collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive e sulla quale ricade l'onere di dimostrare che dalla sua qualifica non discende anche quella di datore di lavoro”.
Il ricorso è stato quindi rigettato e al rigetto è conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Gerardo Porreca
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