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CSE e idoneità del POS: il CSE non è il “sostituto” del datore di lavoro
Ci sono sentenze della Corte di Cassazione che il nostro giornale ha già presentato, ma che, per la loro rilevanza, si prestano a nuovi approfondimenti e riflessioni.
È il caso della sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 n. 23840 del 26 giugno 2025. Abbiamo già commentato la sentenza nell’articolo “ Un commento su una recente assoluzione di un CSE” e ora torniamo a parlarne attraverso il contributo “CSE e verifica di idoneità del POS: il CSE non è il ‘sostituto’ del datore di lavoro” scritto dall’avvocato Giovanni Scudier e dall’ingegnere Guido Cassella.
CSE e verifica di idoneità del POS: il CSE non è il “sostituto” del datore di lavoro
Dall’alta vigilanza alla verifica di idoneità del POS
Una recente sentenza della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha fissato un punto importante su uno degli obblighi del CSE che ancora oggi è motivo di criticità e di interpretazioni non sempre coerenti con l’insegnamento giurisprudenziale sulla funzione del CSE nei cantieri temporanei e mobili: l’obbligo di verifica dell’idoneità del POS previsto dalla lettera b) dell’art. 92 del D.Lgs n. 81/08.
Si tratta di una delle funzioni caratteristiche del CSE, ed in questo senso la sentenza qui in esame costituisce un ulteriore tassello del percorso argomentativo con il quale la Suprema Corte sta definendo il perimetro della posizione di garanzia del CSE, dopo aver iniziato a tracciarlo diversi anni orsono muovendo dall’analisi della lettera a) del medesimo articolo, che regola l’obbligo di “alta vigilanza” del CSE.
Aveva cominciato a tracciare la via Cass. Pen. n. 18149/2010: «la funzione di vigilanza è "alta" e non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alla figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il preposto … Appare dunque chiara la rimarcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto)».
Due sentenze in rapida successione avevano poi segnato la affermazione definitiva dell’alta vigilanza: Cass.Pen. n. 27165/2016 e Cass. Pen. n. 3288/2017.
Così la prima sentenza: “il coordinatore per l'esecuzione non è il controllore del datore di lavoro, ma il gestore del rischio interferenziale … Pertanto il coordinatore ha solo un ruolo di vigilanza in merito allo svolgimento generale delle lavorazioni e non è obbligato ad effettuare quella stringente vigilanza, momento per momento, che compete al datore di lavoro e ai suoi collaboratori».
Così la seconda: “Ild.lgs. n. 81/2008 ha ancor più nettamente connesso l'opera del coordinatore per l'esecuzione alla sicura organizzazione complessiva del cantiere…con ciò intendendosi la conformazione dell'opera, dell'area di cantiere e della sequenza delle lavorazioni - tenuto conto anche, ma non esclusivamente, del rischio da interferenze - alle necessità della sicurezza dei lavoratori»; invece, «le singole lavorazioni, per contro, devono essere organizzate in modo sicuro dai datori di lavori chiamati alla loro esecuzione».
È stata così definitivamente delineata l’area di rischio governata dal CSE: “è quella che attiene alla conformazione generale delle lavorazioni (che tiene conto dell'area e dell'organizzazione del cantiere, delle lavorazioni e delle loro interferenze)”.
È stato altrettanto definitivamente sancito che il rischio specifico delle lavorazioni è escluso dal perimetro di competenza del CSE: il CSE prende in esame i rischi “per la loro derivazione dalle ‘lavorazioni’ considerate nella loro interazione con il cantiere; ma quando uno di quei rischi attiene strettamente alla singola lavorazione, va considerato rischio specifico.» E ancora, “la specificità del rischio non è data dalla maggiore o minore difficoltà di esecuzione della lavorazione ma dalla riconduzione di esso all'attività per la quale si è fatto ricorso alla ditta esecutrice”.
I rischi specifici delle imprese esecutrici sono al di fuori dell’area di rischio che il CSE è chiamato a governare: “per potere addebitare al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione un difetto di verifica, di coordinamento e di adeguamento del POS e un difetto di prescrizioni e di vigilanza sulla esecuzione della prestazione lavorativa” è necessario presupposto “la presenza di un rischio interferenziale e della esigenza di gestire le criticità connesse alla insistenza di più ditte nel cantiere” (Cass. Pen. n. 34869/2017).
Come spiega Cass. Pen. n. 49756/2019, il CSE governa il rischio interferenziale “che deriva dalla presenza diacronica o sincrona in cantiere di più plessi organizzativi”.
Negli anni questi principi sono stati più volte ribaditi, e si può certamente oramai parlare di un orientamento giurisprudenziale consolidato sulla esclusione del rischio specifico dall’area di rischio governata dal CSE e, quindi, dall’obbligo di controllo di cui alla lettera a) dell’art. 92 (Cass. Pen., n. 2845/2021; Cass. Pen., n. 14179/2021; Cass. Pen., n. 24915/2021; Cass. Pen., n. 37214/2024).
Sono state meno numerose, negli anni, le sentenze della Suprema Corte che si sono occupate di un altro obbligo dell’art. 92, quello della lettera b), secondo cui il CSE “verifica l’idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all’articolo 100, assicurandone la coerenza con il PSC”.
Il tema ha cominciato a essere portato all’attenzione dei Giudici quando, stabilito che la funzione del CSE è di “alta vigilanza” e non di controllo minuto, si è posto il problema di definire i contenuti dell’obbligo del CSE di verifica dell’assetto documentale del cantiere.
In particolare, come noto, la questione dibattuta è se la verifica di idoneità del POS debba essere intesa come verifica di completezza e di adeguatezza delle specifiche misure di prevenzione previste dal datore di lavoro per le lavorazioni elencate nel POS medesimo, o se invece la verifica debba essere compiuta dal CSE valutando i contenuti del POS rispetto ai contenuti del PSC. Nel primo caso, ogni mancanza (ma anche ogni inadeguatezza/erroneità) nel POS di una misura di prevenzione necessaria per prevenire il rischio specifico della lavorazione comporta, ove non rilevata dal CSE, una violazione a questi imputabile della lettera b); nel secondo caso, le misure di prevenzione mancanti (o errate) nel POS non sono qualificabili come violazioni del CSE, con la sola eccezione di quelle che si risolvono in un difetto di coerenza con il PSC, rendendo in tale parte il POS incompatibile con il PSC, e quindi influenzando negativamente la gestione dei rischi interferenziali cui il PSC è dedicato.
La questione non riguarda, naturalmente, il caso in cui il POS sia addirittura mancante: in un caso in cui il datore di lavoro dell’impresa esecutrice non aveva redatto né consegnato al CSE alcun POS, e si era verificato un infortunio sul lavoro a seguito di caduta dall’alto da un trabattello di cui il lavoratore aveva rimosso il parapetto, Cass. Pen., n. 15535/2019 ha sancito la responsabilità del CSE per avere “omesso di proporre l’immediata sospensione dei lavori, pur sapendo che difettava ogni reale prescrizione volta a prevenire i rischi di caduta dall’alto”. La Corte non rimprovera al CSE di non avere dettato lui le misure da adottare; non gli imputa la mancanza della misura prevenzionale in sé e per sé, nel suo contenuto specifico; gli imputa invece il fatto che la regola di sicurezza avrebbe dovuto essere contenuta all’interno di un documento (il POS), invece mancante; il che significa, per il CSE, la violazione del proprio obbligo gestorio, di ottenere dall’impresa il POS e di condizionare a tale consegna l’ingresso stesso dell’impresa nel cantiere.
Il tema si pone invece, come si diceva, quando manchi, all’interno del POS, la disciplina di una certa lavorazione e delle sue misure prevenzionali specifiche: l’obbligo di verifica di idoneità del POS significa che il CSE deve rilevare tale mancanza e, se sì, integrare il contenuto mancante?
Si potrebbe rispondere, semplicemente, che la risposta (negativa) si ricava direttamente dal testo della lettera b) dell’art. 92: il CSE verifica l’idoneità del POS “assicurandone la coerenza” con il PSC, rispetto al quale il POS è “complementare”.
In questo senso già Cass. Pen. n. 2845/2021, in un caso in cui la contestazione mossa al CSE “attiene appunto al mancato coordinamento tra i due piani”, specificava che fa capo al CSE l’obbligo di “una scrupolosa verifica della idoneità del POS e nella assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e di coordinamento”.
Ora, con la sentenza n. 23840 del 26 giugno 2025, la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione sancisce in maniera esplicita e perentoria che il CSE, quando verifica la idoneità del POS, non deve verificare la presenza in dettaglio delle specifiche misure di prevenzione atte a regolare i rischi specifici delle lavorazioni; il CSE non ha né l’obbligo di rilevare la mancanza di tali specifiche misure di prevenzione, né tantomeno di provvedere direttamente a prevederle.
Oltre alla importanza di una affermazione così esplicita, è di estremo interesse la motivazione, perché la Suprema Corte applica, anche ai profili documentali dell’art. 92, il principio fondamentale che contraddistingue la figura del CSE, e che una volta per tutte è confermato come l’elemento che definisce la posizione di garanzia del CSE: l’area di rischio che il CSE è chiamato a governare non include il rischio specifico dell’impresa. L’area di rischio del CSE è quella dei rischi interferenziali, e questo vale non soltanto per quanto riguarda gli obblighi di vigilanza, ma anche per gli obblighi di verifica documentale.
Il caso
Il caso si può riassumere così: durante i lavori di impermeabilizzazione dei locali di una autorimessa previa eliminazione della pavimentazione esistente, si verificava un infortunio di un lavoratore interinale il quale, mentre utilizzava un trapano elettrico operando assieme ad un collega per la esecuzione di fori a 7 cm da terra in cui inserire ferri di armatura, perdeva la presa del trapano e rimaneva con il guanto della mano destra impigliato nella punta, riportando lesioni alla mano.
Veniva contestato al datore di lavoro di non aver valutato i rischi della lavorazione, non avendo previsto in dettaglio nel POS le specifiche misure preventive e protettive da adottare in relazione ai rischi connessi alle lavorazioni di posa ferri di armatura per le strutture in fondazione; ma veniva anche contestato al CSE di non aver previsto all'interno del PSC le misure preventive e di sicurezza specifiche con riferimento alle perforazioni a ridotta distanza dal magrone con l'utilizzo di trapano per gli ancoraggi orizzontali. Veniva in sostanza contestata la mancanza di indicazioni puntuali, sia nel POS che nel PSC.
Il Tribunale assolveva il CSE e contro la sentenza di assoluzione ricorreva il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale.
La tesi accusatoria viene così riassunta nella sentenza della Suprema Corte: “laddove il garante [il CSE, ndr] sia a priori inottemperante agli obblighi di controllo sulla completezza e idoneità contenutistica dei documenti di sicurezza previsti dalla legge e sia, altresì, inosservante dell'ulteriore obbligo giuridico di sopperire alle eventuali lacune degli stessi, non residua spazio alcuno per evocare il concetto della vigilanza sulle lavorazioni, che in tanto può essere preso in considerazione, in quanto, a monte, sia stata accertato che il garante abbia adempiuto al proprio dovere sostanziale di valutazione da collocarsi in una fase antecedente all'inizio concreto delle lavorazioni. In altri termini il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione non può vigilare sull' osservanza di procedure e disposizioni che non sono mai state date prima, né dal datore di lavoro, né da lui stesso in via surrogatoria”.
I grassetti sono nostri.
In sostanza, secondo questa tesi, va affermata la responsabilità del CSE per non aver rilevato la carenza contenutistica del POS e per non avere egli “sopperito” alla carenza previsionale del POS nella predisposizione del documento di sua specifica competenza, cioè del PSC: il CSE doveva accorgersi che nel POS mancavano le misure di sicurezza, e doveva inserirle nel suo PSC, agendo “in via surrogatoria” del datore di lavoro. Di più: secondo questa tesi, proprio perché vi è violazione dell’obbligo di controllo sui documenti di sicurezza, non è neppure necessario accertare la violazione dell’obbligo di vigilanza: la violazione documentale viene prima, né può esservi vigilanza sul rispetto di una misura di prevenzione che nei documenti non c’è [1].
La posizione di garanzia del CSE non include il rischio specifico delle lavorazioni
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e conferma l’assoluzione dell’imputato.
Per farlo, significativamente la Suprema Corte compie una ampia ricognizione delle sentenze che hanno definito l’obbligo di “alta vigilanza” del CSE, a partire proprio dalla sopra ricordata sentenza n. 3288/2016, per proseguire poi con la altrettanto chiara sentenza n. 27165 dello stesso anno.
La Suprema Corte ricorda che quell’indirizzo interpretativo è stato confermato negli anni successivi: “Tali principi sono stati costantemente ripresi anche nella giurisprudenza successiva con cui si è ribadito che la funzione di alta vigilanza del coordinatore per la sicurezza dei lavori, che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato, riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate”; cita le sentenze della stessa Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021 e n. 14179 del 10/12/2020, “con cui si è affermato che "l'area di rischio governata dal coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori si individua in base all'area di intervento di tale garante, per come definita, ai sensi dell'allegato XV al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, dal piano di sicurezza e coordinamento, che comprende, oltre ai rischi connessi all'area di cantiere e all'organizzazione di cantiere, anche i rischi interferenziali connessi alle lavorazioni (cd. rischi generici), tra i quali non rientrano i rischi specifici propri dell'attività della singola impresa, di competenza del datore di lavoro, in quanto non inerenti all'interferenza fra le opere di più imprese").”
Ebbene, a fronte di questo percorso della giurisprudenza, evidenzia la Corte che nel caso in esame l'addebito mosso al CSE “è quello di non aver "previsto in dettaglio... all'interno del piano di sicurezza per l'esecuzione ..le misure preventive e di sicurezza specifiche con riferimento alle perforazioni a ridotta distanza dal magrone (circa 7 cm) con utilizzo di trapano per gli ancoraggi orizzontali", a fronte della riscontrata carenza del piano di sicurezza.”
È su questo punto che la sentenza detta il principio fondamentale, che è decisivo per confermare l’assoluzione del CSE nel caso di specie, ma che soprattutto assume particolare interesse per la portata generale che riveste in relazione all’obbligo di verifica di idoneità del POS di cui all’art. 92 lettera b).
Afferma infatti la Corte: “Così perimetrato il contenuto della posizione di garanzia del coordinatore, deve rilevarsi come la previsione che secondo l'accusa sarebbe stata omessa, tuttavia, non attiene all'area di rischio che il coordinatore è tenuto a governare, ovvero alla organizzazione complessiva del cantiere e alla sequenza delle lavorazioni, secondo quanto indicato supra, bensì attiene al rischio specifico della lavorazione propria dell'impresa esecutrice, il cui governo è demandato al titolare di detta impresa.”
E nettamente prosegue: “L'assunto dell'accusa, in sede di formulazione della imputazione, e del ricorrente, in sede di impugnazione della sentenza assolutoria, secondo cui [il CSE] avrebbe dovuto implementare il PSC con le previsioni mancanti nel POS, non tiene conto che anche il compito della verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza da parte del coordinatore, previsto dall'art. 92 D.Lgs. n. 81/2008 deve sempre essere collegato al contenuto della sua posizione di garanzia che, come detto, non deve essere esteso fino a ricomprendere gestione di rischi specifici inerenti alle modalità di esecuzione delle singole lavorazioni e prive di riflessi sul piano dell'organizzazione generale del cantiere.”
Non c’è spazio per dubbi di sorta: tutti gli obblighi del CSE, ivi compreso quello di verifica dell’idoneità del POS, vanno letti sulla base del principio che rappresenta “il contenuto della sua posizione di garanzia”: non compete al CSE la gestione di rischi specifici inerenti alle modalità di esecuzione delle singole lavorazioni in cantiere.
C’è una sola eccezione a questa regola, e cioè quando il rischio specifico della lavorazione ha “riflessi sul piano dell’organizzazione generale del cantiere” e cioè, per dirla con Cass. Pen. n. 3288/2017, quando può avere effetti sulla “infrastruttura generale del cantiere”. È esattamente ciò che prevede la lettera b) dell’art. 92, quando indica quale criterio deve guidare il CSE nel verificare l’idoneità del POS: assicurare che il POS sia coerente con il PSC.
Si può ben notare che questa conclusione è perfettamente coerente con la necessità di salvaguardare l’autonomia imprenditoriale e le scelte del datore di lavoro, al quale altrimenti il CSE dovrebbe imporre le proprie scelte e le proprie misure di prevenzione (anomalia tanto più evidente quando si tratti di misure di prevenzione del POS “sbagliate” o “inadeguate” e non “mancanti); inoltre, questa conclusione consente altresì di evitare il risultato, paradossale, di imporre al CSE di individuare nel proprio documento, e cioè il PSC – documento sui rischi interferenziali – le misure di prevenzione dimenticate dal datore di lavoro nel proprio documento, e cioè il POS – documento sui rischi specifici [2].
Il CSE non è un sostituto del datore di lavoro
Troviamo qui la seconda ragione di interesse della sentenza: essa chiarisce una volta per tutte che il CSE non è un sostituto del datore di lavoro, e la sua funzione non è quella di “sopperire” alle mancanze del datore di lavoro sostituendosi ad esso “in via surrogatoria”.
Viene così smentito in maniera perentoria l’assunto che sta alla base della tesi respinta dalla Suprema Corte, e che in maniera più o meno consapevole a volte riecheggia in talune interpretazioni “estensive” degli obblighi del CSE, e cioè che quando il datore di lavoro sbaglia, il CSE dovrebbe intervenire al suo posto, facendo in sua vece ciò che il datore di lavoro non ha fatto.
In questo modo, la sentenza della Suprema Corte costituisce così anche l’occasione per affermare, sia pure implicitamente, un principio che di per sé dovrebbe essere una guida imprescindibile e che invece purtroppo viene più di qualche volta dimenticato: le posizioni di garanzia, su cui è costruito l’intero sistema della sicurezza del lavoro, vanno applicate con rigore, rispettandone il perimetro senza sovrapposizioni, scambi e commistione di ruoli.
È l’insegnamento, non sempre adeguatamente attuato, della sentenza Thyssen ( Cass. Pen., Sez. Unite, 24 aprile 2014 n. 38343): “esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare”.
Avvocato Giovanni Scudier
Ingegnere Guido Cassella
Scarica la sentenza di riferimento:
[1] Si noterà che, così argomentando, si ottiene un ulteriore effetto, e cioè neutralizzare la delimitazione della lettera a) dell’art. 92 alla “vigilanza alta” che non include i rischi specifici dell’impresa: se il rischio specifico deve essere considerato dal CSE a livello documentale e deve essere da lui gestito tramite i contenuti del POS, si fa rientrare dalla finestra ciò che la Suprema Corte aveva faticosamente fatto uscire dalla porta.
[2] La contestazione mossa al CSE, nel caso di specie, non era di non avere integrato il POS con le misure mancanti, bensì di non avere sopperito alla carenza del POS tramite il documento “di sua specifica competenza”: anche la tesi accusatoria, in altre parole, riconosceva che in nessun caso il CSE può essere chiamato a mettere mano direttamente sui contenuti del POS.
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Pubblica un commento
| Rispondi Autore: Maria Cristina Motta | 20/10/2025 (08:59:14) |
| Articolo interessante Grazie. Sarebbe utile a questo punto aprire una discussione e commentare i contenuti del POS, nello specifico relativamente alla presenza ed alla qualità (se presenti) di indicazioni correlate al recepimento del PSC. | |
| Rispondi Autore: Giovanni Bersani | 20/10/2025 (09:29:19) |
| Articolo interessante e ottima sentenza. Anche se dover passare per un Tribunale prima, e per una Corte di Cassazione dopo... se si è nel giusto resta una grande tristezza. Comunque, viste le sentenze di una volta, guardiamo appunto al bicchiere mezzo pieno :) | |
| Rispondi Autore: Lino Emilio Ceruti | 20/10/2025 (18:32:49) |
| Mi pare che la Suprema Corte cominci a rilevare criticità strutturali negli orientamenti giurisprudenziali finora consolidati in merito agli obblighi del CSE avvicinandosi progressivamente a posizioni da tempo auspicate dagli operatori del settore. Le responsabilità attribuite alle Figure coinvolte nel processo costruttivo di un’opera non possono essere gestite in modo da sovraccaricare ruoli tecnici già deputati a funzioni particolarmente delicate. È fondamentale che ciascuna Figura sia posta nelle condizioni di operare con chiarezza rispetto agli obblighi, alle responsabilità conseguenti e ai limiti del proprio mandato. Forse (e finalmente) sembra che la Corte di Cassazione stia imboccando una direzione interpretativa più equilibrata, in grado di scongiurare letture eccessivamente rigide o ideologiche che, in passato, hanno generato non poche distorsioni applicative. | |
