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Rischio stress: limiti e criticità delle indicazioni ministeriali

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Istruzione

28/02/2012

La disciplina dello stress lavoro-correlato: la carenza di indicazioni e riferimenti nelle indicazioni metodologiche fornite dalla Commissione consultiva permanente e i problemi di compatibilità tra fonti europee e nazionali.

 
Urbino, 28 Feb – Un tema delicato su cui si soffermano i Working Papers prodotti da Olympus, Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro, è relativo alla disciplina del rischio da stress lavoro-correlato e alle problematiche e lacune delle indicazioni metodologiche fornite dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e diffuse con circolare del Ministero del lavoro del 18 novembre 2010.
 
Ne parla in particolare il Working Paper 6/2012 dal titolo “ La disciplina dello stress lavoro-correlato tra fonti europee e nazionali: limiti e criticità”, a cura di Valentina Pasquarella, professore aggregato di Diritto del lavoro nell’Università di Foggia.
 
Dopo aver raccontato la storia e la genesi degli accordi e della normativa, europea e nazionale, in merito al concetto di rischio da ‘stress lavoro-correlato’ (SLC), il Working Paper si sofferma sulle indicazioni metodologiche per la valutazione dello SLC rilevando fin dall’inizio che nel testo della Commissione Consultiva “di innovativo c’è ben poco, considerando che la parte definitoria ricalca pedissequamente una parte del testo europeo, come recepito a livello sindacale, mentre nella sezione dedicata al metodo di valutazione del rischio da SLC si riproducono, seppure in modo più scarno, i contenuti della guida operativa, elaborata nel 2010 da un gruppo di lavoro interregionale, quale strumento da utilizzare provvisoriamente in attesa delle indicazioni della Commissione”.
 
Tralasciando alcune questioni controverse, come la differenza tra rischi psicosociali e rischi da SLC, il documento si sofferma prima sulla definizione accolta dalla Commissione consultiva e poi sulla parte metodologica con cui il Ministero descrive la procedura valutativa.
 
A fronte della complessità della metodologia di valutazione, le indicazioni ministeriali si limitano tuttavia “a riprendere, anzi a ricopiare il percorso elaborato dalle Regioni, risultando in molti punti carenti di indicazioni e riferimenti invece necessari per i datori di lavoro impegnati in questa operazione e sollevando, talvolta, problemi di compatibilità con la fonte europea e con quella nazionale di recepimento. Inoltre, la brevità e la semplicità alle quali sono ispirate spesso sollevano criticità a livello interpretativo e applicativo”.
 

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Ricordiamo che, in linea con la guida operativa interregionale, nella circolare si delinea un “modello procedurale dinamico ispirato al principio di progressività delle azioni valutative, prevedendo l’articolazione in due fasi (con requisiti e finalità differenti), in relazione alle quali si forniscono alcuni, forse pochi, contenuti su macro-azioni oggetto di indagine e strumentazione”.
E le recenti linee guida dell’Inail, “rispettando l’architrave ministeriale, prevedono (o meglio, aggiungono) una necessaria fase propedeutica definita di “preparazione dell’organizzazione”, caratterizzata da tre momenti (costituzione del “gruppo di  gestione della valutazione”, sviluppo di una strategia comunicativa e di coinvolgimento del personale, sviluppo di un piano di valutazione del rischio, attraverso la definizione del cronoprogramma delle fasi).
 
In relazione alla prima fase di valutazione la circolare “si limita a prevedere il carattere necessario e preliminare, finalizzato alla rilevazione di indicatori oggettivi e verificabili e se possibile numericamente apprezzabili, appartenenti almeno a tre famiglie: eventi sentinella, fattori di contesto del lavoro e fattori di contenuto del lavoro”.
Mentre la seconda fase (con un “carattere più complesso e approfondito perché indaga sulle percezioni soggettive dei lavoratori”) si pone come “meramente eventuale, perché viene attivata solo se dalla valutazione preliminare siano emersi elementi di rischio da SLC e siano risultati inefficaci gli interventi correttivi adottati per fronteggiarli”.
Non si precisa, invece, “che cosa dovrà seguire alla seconda fase; si può presumere che, in base ai risultati dello screening soggettivo condotto, il datore di lavoro e il suo staff saranno tenuti ad avviare le misure correttive necessarie per ridurre il rischio da SLC e stabilire un programma più intenso di monitoraggio”. In questo senso nella “definizione delle due fasi, è più preciso il documento delle Regioni”.
 
Dunque “secondo l’interpretazione amministrativa, “solo la prima fase è obbligatoria; la seconda, basata sui fattori soggettivi, è eventuale e la sua attivazione è lasciata alla discrezionalità datoriale, seppure al verificarsi di determinati presupposti. In sostanza, il Ministero sancisce l’obbligatorietà del mero controllo numerico di dati e di elementi che dovrebbero già essere in possesso delle aziende perché inseriti nel DVR, indipendentemente dalla valutazione specifica dello SLC”. Il documento sottolinea che tale previsione “lascia alquanto perplessi sul piano sia giuridico, sia pratico” e, ad esempio, sembra contrastare con i contenuti sia dell’accordo europeo, sia dell’accordo interconfederale di recepimento che considerano fondamentale l’analisi dei fattori soggettivi nella valutazione del problema di stress da lavoro.
Da un punto di vista pratico “sarebbe stato opportuno sancire l’obbligatorietà di entrambe le fasi, considerando che, in caso di danno prodotto dallo SLC, il datore di lavoro che non avesse proceduto alla valutazione soggettiva, ritenendo che non vi fossero i presupposti per farlo, incontrerebbe molte difficoltà a dimostrare di aver fatto quanto possibile per evitarlo”. A questo proposito è bene non dimenticare che comunque “le indicazioni della Commissione sono misure minime e nulla impedisce al datore di lavoro di procedere discrezionalmente alla valutazione approfondita (anche limitatamente ad alcune partizioni organizzative) indipendentemente dagli esiti della fase preliminare”.
 
Rimandiamo il lettore alla lettura completa del saggio che segnala poi la singolarità di alcuni elementi oggetto della prima fase di valutazione (ad esempio le segnalazioni al medico competente e le frequenti lamentele dei lavoratori), alcune lacune relative alla seconda fase (ad esempio non si precisa il periodo trascorso il quale si possano ritenere inefficaci gli interventi correttivi messi in atto per fronteggiare i rischi da SLC) e allo scarso coinvolgimento di lavoratori e RLS nella prima fase valutativa.
 
Ci soffermiamo invece sul problema della messa e regime della procedura; a tal proposito, il Ministero “individua un periodo transitorio per programmare e completare le attività descritte, in quanto interpreta il 31 dicembre 2010, definitivamente fissato dal t.u. (dopo le varie proroghe), quale data di avvio della procedura valutativa e non di conclusione dell’espletamento dell’obbligo”. Insomma con una vera e propria astuzia lessicale, la Commissione arriva a interpretare la locuzione “a far data dal 31 dicembre 2010”, non nel “senso inteso dal legislatore secondo cui, da quella data, entra in vigore l’obbligo di aver completato l’intera valutazione dello SLC, ma nel senso che dal 31 dicembre 2010 deve essere avviata l’attività valutativa, che, quindi, parte, ma non si sa quando sarà completata”.
 
Concludiamo riportando alcune brevi osservazioni conclusive presenti nel saggio.
 
Se è indubbio che il d.lgs. n. 81/2008 ha compiuto passi avanti in materia di rischi stress lavoro correlati, i buoni propositi del legislatore “non hanno trovato finora corrispondenza in metodologie d’azione altrettanto efficaci e fruibili da un punto di vista pratico-operativo, forse per l’esigenza di costruire una strumentazione d’indagine valida dal punto di vista scientifico, ma non eccessivamente onerosa e utilizzabile in concreto dai datori di lavoro, per evitare il ricorso obbligatorio alla sorveglianza sanitaria o all’ausilio di figure professionali ad hoc esterne all’azienda”.
Si ricorda inoltre che le linee guida dell’Inail possono rappresentare un “affidabile ausilio pratico-operativo (anche se non sono obbligatorie), ma non si deve dimenticare che il rischio da SLC, per la sua natura, non richiede uno strumento di valutazione ‘meccanicistico’, ma ‘l’applicazione di metodi condivisi di approccio al problema’, puntando ad una ‘valutazione del rischio specifico attraverso strumenti differenti, articolati fra loro’ ed a una ‘gestione degli interventi correttivi con il concorso di tutti gli attori del sistema di prevenzione e protezione interna’” [1].
 
Dunque di fronte a un problema “nei confronti del quale si coglie una notevole difficoltà sia culturale, a causa della scarsa sensibilità e della limitata conoscenza della materia, sia organizzativa, per i datori di lavoro, in quanto ancora poco consapevoli dei contenuti dell’obbligo da adempiere, le risposte fornite dalla Commissione sembrano inadeguate e indirizzate prevalentemente ad ottenere la semplificazione della procedure e la riduzione dei costi d’impresa”.
E in particolare la “genericità di alcune previsioni e la lacunosità di molteplici aspetti delle indicazioni fornite in via amministrativa inducono ad auspicare che il Ministero intervenga, in tempi brevi, per integrare o specificare i profili più controversi della metodologia definita, anche alla luce delle critiche da più parti sollevate, magari avviando in parallelo la definizione di una procedura di valutazione che interessi anche gli altri rischi psicosociali”.
    
 
 
Olympus - Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro, “ La disciplina dello stress lavoro-correlato tra fonti europee e nazionali: limiti e criticità”, a cura di Valentina Pasquarella, professore aggregato di Diritto del lavoro nell’Università di Foggia, Working Paper di Olympus 6/2012 (formato PDF, 250 kB).
 
 
Tiziano Menduto
 
 
 
Link:


[1] Coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro, Valutazione, cit., p. 11.



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