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Sulla protezione del capo negli ambienti sia chiusi che a “cielo aperto”

Sulla protezione del capo negli ambienti sia chiusi che a “cielo aperto”
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Edilizia

27/01/2025

I lavori edili rientrano fra le attività che necessitano di una protezione del capo da parte del lavoratore attraverso l'utilizzo di un casco, anche a prescindere dalla circostanza che gli stessi si svolgano in ambienti chiusi ovvero a "cielo aperto".

 

Non si è occupata di un infortunio sul lavoro questa volta la Corte di Cassazione in questa sentenza della III Sezione penale, una delle prime del 2025 avente il numero 1030, ma del ricorso presentato da un datore di lavoro condannato dal Tribunale alla pena di 3.500 € di ammenda perché ritenuto responsabile in ordine ai reati a lui contestati aventi rispettivamente ad oggetto la violazione di due articoli del D. Lgs. n. 81/2008 in materia di salute e sicurezza sul lavoro e più precisamente dell’articolo 18, comma 1, lettera f), per avere omesso quale datore di lavoro la fornitura ai propri dipendenti degli strumenti di protezione personale e dell’art. 96 dello stesso decreto legislativo relativo all’obbligo di redigere il piano operativo di sicurezza.

 

L’imputato, nel ricorso, aveva basata la sua difesa sostenendo, quanto alla prima contravvenzione, che, stante la tipologia di lavorazione edile che era in corso al momento in cui era stato eseguito il controllo da parte dell’Organo di Vigilanza, non vi era la necessità di utilizzare il casco protettivo poiché non vi era un pericolo di caduta di oggetti dall'alto, trattandosi di lavorazioni che avvenivano a "cielo aperto" e sostenendo altresì, per quanto riguarda l’obbligo di esibire agli ispettori del lavoro il piano operativo di sicurezza, di avervi comunque provveduto successivamente alla visita di controllo.

 

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha di conseguenza condannato il ricorrente  al pagamento della somma di 3.000 € in favore della Cassa delle ammende oltre che al versamento delle spese giudiziarie, sostenendo che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, l'esecuzione di lavori edili rientra fra le attività che necessitano della predisposizione di un'adeguata protezione del capo del lavoratore, attraverso l'utilizzo di un casco, anche a prescindere dalla circostanza che le opere si svolgano in ambiente chiuso ovvero a "cielo aperto", atteso che il pericolo che in tale modo si tende a preservare non è solamente quello connesso alla caduta di un grave dall'alto (circostanza che, peraltro, non è da escludersi anche laddove le opere si svolgano a " cielo aperto" ove solo si immagini la frequente movimentazione di materiali edili e di macchinari attraverso le "gru" impiegate nell'edilizia anche se non soprattutto, in spazi "aperti"), ma è riferito a qualunque tipo di accidente che la realizzazione di tali opere, in se generalmente fonte di pericoli, può determinare a carico di una parte, il capo, particolarmente vulnerabile del corpo umano.

 

In merito alla esibizione del piano operativo di sicurezza la suprema Corte ha precisato che lo stesso va consegnato al momento della ispezione, non essendo sufficiente fornire dopo la visita ispettiva elementi documentali atti a dimostrare la sua redazione. Tale prova, infatti, non può essere evidentemente fornita in maniera efficace attraverso la postuma esibizione di un documento con data anteriore alla visita ispettiva e priva di qualsiasi certezza.



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Il fatto, l’iter giudiziario, il ricorso per cassazione e le motivazioni.

Il Tribunale, ritenuta la penale responsabilità di un datore di lavoro in ordine ai reati a lui contestati, aventi rispettivamente, ad oggetto, quanto al punto A) della contestazione, la violazione dell'art. 18, comma 1, lettera f), del D Lgs. n. 81 del 2008, per avere omesso, di fornire ai propri dipendenti degli strumenti di protezione personale, e, quanto al punto B), la violazione dell'art. 96, comma 1, lettera g) del medesimo testo di legge, per avere omesso di presentare il prescritto " piano operativo di sicurezza", lo ha, pertanto, condannato, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena di euro 3.500,00 di ammenda.

 

L’imputato ha interposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore fiduciario, articolando dei motivi di impugnazione nei confronti della pronunzia relativa alla affermazione della sua responsabilità quanto al reato sub A) e rivolti verso la condanna avente ad oggetto il secondo reato. Il motivo sviluppato per primo ha riguardato il fatto che mentre la contestazione era stata riferita al non avere messo a disposizione dei propri lavoratori gli strumenti di protezione personale (nella specie il casco) la motivazione della sentenza era stata, invece, sviluppata con riferimento al fatto che l'imputato non avrebbe imposto ai propri dipendenti l'osservanza delle disposizioni relative all'uso dei sistemi di protezione individuale per cui, con riferimento alla violazione di legge, vi era stata una non corrispondenza fra il fatto contestato ed il fatto per il quale è intervenuta la condanna penale.

 

Con un successivo motivo di impugnazione il ricorrente si è lamentato per il fatto che il Tribunale aveva ritenuto sussistere la prescrizione relativa all'uso del casco protettivo, sebbene, stante la tipologia di lavorazione edile che era in corso al momento in cui è stato eseguito il controllo, non vi era la necessità di tale presidio poiché non vi era un pericolo di caduta di oggetti dall'alto, trattandosi di lavorazione che avveniva a "cielo aperto". Come ulteriore motivo inoltre, l’imputato ha lamentata la violazione delle disposizioni codicistiche in materia di prova, avendo omesso il Tribunale di verificare se e quando il "piano operativo di sicurezza" era stato da lui predisposto dall'imputato, accontentandosi di una prova indiziaria, laddove avrebbe potuto agevolmente acquisire una prova diretta dell'avvenuto adempimento da parte del ricorrente degli obblighi a lui prescritti.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.

Il ricorso è stato ritenuto inammissibile da parte della Corte di Cassazione. Sull’osservazione fatta dal ricorrente secondo la quale gli era stato contestato un determinato comportamento e cioè quello di non avere fornito ai propri dipendenti, trattandosi di persone adibite a lavori edili, taluni dispositivi di sicurezza individuale di cui dovevano essere dotati, come previsto dall’art. 18 comma 1 lettera d) del D. Lgs. n. 81/2008 mentre la sentenza di condanna avrebbe accertato una diversa condotta e cioè di non avere vigilato sul fatto che tali dispositivi fossero effettivamente utilizzati dai dipendenti, come previsto dal comma 1 lettera f) dello stesso art. 18, il Collegio ha sostenuto che tale imprecisione, per quanto non commendevole, non è stato comunque un fattore idoneo a minare la legittimità della sentenza impugnata.

 

Infatti, premesso il richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo la quale nel capo di imputazione non è la indicazione delle disposizioni che si assumono violate a costituire l'oggetto della cognizione del giudicante, essendo questo costituito dalla descrizione del fatto che viene contestato, salva la possibilità del giudice di qualificare tale fatto entro la più appropriata fattispecie penale, il Collegio ha rilevato come dalla lettura della sentenza non è emerso il dato lamentato dal ricorrente, cioè che il Tribunale abbia condannato il prevenuto per un fatto diverso da quello a lui effettivamente contestato; era stato contestato in sede giudiziale che i lavoratori non indossavano il casco non essendone dotati e ciò è valso ad integrare la fattispecie penale contestata al prevenuto, essendo preciso dovere di questo, nella sua qualità di datore di lavoro, provvedere a tale dotazione.

 

In ordine poi all’osservazione fatta dal ricorrente secondo cui il Tribunale aveva ritenuto sussistere la prescrizione relativa all'uso del casco protettivo, sebbene, stante la tipologia di lavorazione edile che era in corso al momento in cui è stato eseguito il controllo, non vi era la necessità di tale presidio poiché non vi era il' pericolo di caduta di oggetti dall'alto, trattandosi di lavorazione che avveniva a "cielo aperto", la suprema Corte ha ricordato che l'esecuzione di lavori edili rientra fra le attività che necessitano della predisposizione di un'adeguata protezione del capo del lavoratore, attraverso l'utilizzo di un casco, anche a prescindere dalla circostanza che le opere si svolgano in ambiente chiuso ovvero a "cielo aperto", atteso che il pericolo che in tale modo si tende a preservare non è solamente quello connesso alla caduta di un grave dall'alto (circostanza che, peraltro, non è da escludersi anche laddove le opere si svolgano a "cielo aperto" ove si immagini la frequente movimentazione di materiali edili e di macchinari attraverso le "gru" impiegate nell'edilizia anche, se non soprattutto, in spazi "aperti") ma è riferito a qualunque tipo di accidente che la realizzazione di tali opere, in se generalmente fonte di pericoli, può determinare a carico di una parte particolarmente vulnerabile del corpo umano. La Sezione III ha peraltro aggiunto, proprio con riferimento alle lavorazioni a "cielo aperto", che l'utilizzo di strumenti a protezione del capo è previsto anche in relazione ai rischi connessi alla sua prolungata esposizione ai raggi del sole.

 

Venendo ai motivi di impugnazione relativi alla contestazione mossa al prevenuto sub B) del capo di imputazione, riguardante il piano operativo di sicurezza, la Corte di Cassazione ha rilevato che i difensori sono partiti dal presupposto errato secondo cui laddove un determinato fatto,  quale è appunto la predisposizione e la trasmissione agli organi competenti del piano operativo della sicurezza, possa essere dimostrato con certezza attraverso una produzione documentale, la relativa prova debba essere offerta solo attraverso l'accertamento dell’esistenza ovvero della inesistenza di tale documento, e non anche attraverso una dimostrazione di tipo logico­-inferenziale (nella occasione data dal fatto che, una volta richiesto dagli Ispettori del lavoro l'imputato non era stato in grado di presentare il piano in questione).

 

Sarebbe stato possibile proprio al ricorrente, che ha sostenuto di avere, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del merito, redatto tempestivamente il predetto piano, e non solo successivamente alla avvenuta visita ispettiva, fornire elementi documentali atti a dimostrare non solo la redazione di esso ma anche il suo inoltro, precedente alla visita ispettiva, agli organi cui lo stesso doveva essere trasmesso, non potendo tale prova, evidentemente, essere in maniera efficace fornita, come verificatosi nell'occasione, attraverso la postuma esibizione di un documento la cui data, apposto su di esso ed anteriore alla visita ispettiva, era priva di qualsivoglia certezza.

 

Il ricorso è stato, pertanto, dichiarato inammissibile e il ricorrente, visto l'art. 616 cod. proc. pen., è stato condannato al pagamento della somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende oltre che al pagamento delle spese processuali.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Sezione III penale - Sentenza n. 1030 del 10 gennaio 2025 (u. p. 2 ottobre 2024) -  Pres. Sarno – Est. Gentili – PM Molino – Ric. omissis.  - I lavori edili rientrano fra le attività che necessitano di una protezione del capo da parte del lavoratore attraverso l'utilizzo di un casco, anche a prescindere dalla circostanza che gli stessi si svolgano in ambienti chiusi ovvero a "cielo aperto".

 

 




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Rispondi Autore: Riccardo Coletti - likes: 0
27/01/2025 (08:45:33)
La Cassazione afferma che l'elmetto sia obbligatorio nei lavori edili, a prescindere dal tipo di lavoro che venga eseguito. Pur riconoscendo il principio che, indossare l'elmetto sia una buona prassi e sia generalmente consigliabile, tuttavia non mi sembra che esista nessun obbligo normativo che lo imponga tassativamente: il principio del DL 81/08 è che il datore di lavoro debba valutare i rischi e in base a questi ultimi, definire i DPI necessari.
Del resto, ci sono alcuni lavori definiti "edili" o che possono svolgersi in un "cantiere edile" che non comportano assolutamente un rischio per il quale sia necessario l'elmetto: ad esempio lavori manuale di sistemazione di un giardino, la posa manuale di piastrelle o di cavi elettrici a terra, all'interno di una civile abitazione (escludendo i lavori in quota e il rischio di caduta)....
Rispondi Autore: Carlo Tadini - likes: 0
27/01/2025 (09:47:53)
il commento di Riccardo Coletti e' perfetto di chi lavora in cantiere o in altri posti di lavoro. Poi possiamo ipotizzare il meteorite che cade, il piccione che collassa, il bullone che vola ma condivido pienamente. Buona giornata.
Rispondi Autore: Roberto Lamperti - likes: 0
27/01/2025 (11:01:24)
L'ennesima riprova che il Datore di Lavoro è sempre e comunque responsabile. Il lavoratore dipendente viene considerato come essere "non senziente" in materia di tutela della propria (ed altrui) incolumità fisica.. Non è sufficiente fornirlo dei D.P.I., non è sufficiente informarlo periodicamente sulla utilità degli stessi, bisogna anche "vigilare" affinchè ne faccia corretto utilizzo.. Quindi il Datore di Lavoro che (particolarmente nelle micro-imprese) deve già sobbarcarsi una infinità di incarichi e di responsabilità, dovrebbe anche dotare i cantieri di videocamere per controllare costantemente i propri dipendenti... (ah, no, c'è la privacy...). Ogni lavoratore (se il Datore di Lavoro gli fornisce gli strumenti e le corrette e documentate informazioni) dovrebbe essere responsabile per le proprie azioni.
Rispondi Autore: Nicola - likes: 0
27/01/2025 (17:53:05)
Ma la cassazione sa per cosa è testato un casco?
Quindi per mettere delle piastrelle su un vialetto serve il casco secondo la loro mente? Mah, resto veramente allibito, sono sentenze che fanno perdere credibilità al sistema.
Rispondi Autore: Luca - likes: 0
29/01/2025 (16:18:50)
Forse la Cassazione intende fare riferimento all'obbligo del casco in tutti i cantieri, al chiuso o all'aperto, ove è presente il rischio di picchiare la testa co ro sporgenze, soffitti bassi, passaggi sui ponteggi, rischio di lancio di pietre x passaggio automezzi, ecc., ecc.. Non penso (spero) si voglia arrivare a dire che se il lavoratore edile opera su una strada liscia e pianta un picchetto debba tenere in testa il casco.

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