COVID: indicazioni operative relative alle attività del medico competente
Roma, 6 Mag – In queste settimane in cui le normative e le indicazioni in materia COVID-19 si susseguono in continuazione, è bene soffermarsi ogni tanto per riflettere sui contenuti anche per comprendere le conseguenze sul ruolo, la funzione o la responsabilità dei vari attori della sicurezza aziendale.
Ci soffermiamo in particolare oggi sul ruolo del medico competente e sulla Circolare 14915 del 29 aprile 2020, una circolare del Ministero della Salute avente per oggetto “Indicazioni operative relative alle attività del medico competente nel contesto delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2 negli ambienti di lavoro e nella collettività”. Abbiamo presentato nei giorni scorsi un articolo – “ Coronavirus: il ruolo del medico competente nella fase 2” – che riportava una nota del Presidente della Società Italiana di Medicina del Lavoro (SIML) su questa circolare.
Oggi pubblichiamo un contributo di Sebastiano Calleri, Responsabile Salute e Sicurezza della Confederazione Generale Italiana del Lavoro nazionale (Cgil), che riporta ulteriori riflessioni e opinioni sul significato della circolare.
“Indicazioni operative relative alle attività del medico competente”: una circolare Ministero della Salute fa finalmente chiarezza
La circolare, molto chiara e ben documentata, perviene nella fase finale del periodo di lockdown delle attività produttive ed è volta a dirimere alcune questioni molto dibattute in questo frangente emergenziale ed a far luce su aspetti controversi anche per quanto riguarda le fasi successive della pandemia.
La nota dà ragione a chi dichiarava fin dai primi momenti che la legislazione italiana relativa alla salute e sicurezza sul lavoro ed alla prevenzione non era stata né indebolita né modificata o alterata dalla decretazione d’emergenza messa in atto dall’esecutivo, permanendo in vigore tutti i cardini di questa, soprattutto in termini di protezione dei lavoratori e delle lavoratrici e anche in materia di obblighi dei datori di lavoro. Inoltre la circolare dà ragione al valore legislativo del protocollo del 24 aprile che ha integrato quello sottoscritto il 14 marzo.
In questo senso, le indicazioni in questione pongono ancor più in evidenza come l’apporto del medico competente nei sistemi prevenzionali aziendali sia fondamentale, e come questa funzione possa e debba essere esercitata anche nel momento particolare che il paese sta vivendo.
Quindi, “il sistema di prevenzione a livello aziendale e nazionale realizzatosi nel tempo offre la naturale infrastruttura per l’adozione di un approccio integrato alla valutazione e gestione del rischio connesso all’attuale emergenza pandemica”: in questa affermazione si incarna correttamente il ruolo dei soggetti coinvolti, riconducendoli al sistema, appunto, sottostante e che deve esplicare appieno il proprio ruolo anche nella gestione della pandemia.
“Se il ruolo del medico competente risulta di primo piano nella tutela della salute e sicurezza sul lavoro nell'ordinarietà dello svolgimento delle attività lavorative, esso si amplifica nell’attuale momento di emergenza pandemica, periodo durante il quale egli va a confermare il proprio ruolo di ‘consulente globale’ del datore di lavoro”: questa osservazione, di conseguenza, chiarisce quindi come il mancato esercizio di ruolo e delle competenze da parte dei MC configura una mancata di attuazione di pratiche fondamentali per la prevenzione, oltreché una elusione di obblighi previsti per questa figura dal corpus normativo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Fatte queste opportune e imprescindibili premesse, la nota prosegue illustrando i dati relativi al numero ed alla diffusione dei medici competenti sul territorio nazionale, e le risultanze per quanto riguarda la loro azione di sorveglianza sanitaria per l’anno 2018, ultimo periodo disponibile.
Sorveglianza sanitaria
Dopo aver definito l’insieme degli atti riconducibili a questa funzione di medicina occupazionale, anche con una citazione circa la necessità che essa sia svolta secondo i principi della tecnica ma anche dei codici etici internazionali, le indicazioni dispongono che il medico competente deve collaborare col datore di lavoro e con il servizio di prevenzione anche per supportare il DL stesso nell’attuazione delle misure previste dal Protocollo condiviso del 14 marzo/24 aprile 2020.
Attraverso questa esplicitazione, si fa pulizia di molte obiezioni e dei tentativi di inosservanza dei doveri connessi all’applicazione del Protocollo del quale sopra, (poi recepito all’interno dei DPCM successivi assurgendo al rango di previsione obbligatoria oltretutto sanzionata con la sospensione dell’attività), che determinano ovviamente la mancanza delle corrette tutele per lavoratori e lavoratrici.
Le indicazioni però entrano anche maggiormente nello specifico: “...è fondamentale quindi che le diverse tipologie di misure di contenimento del rischio siano il più possibile contestualizzate alle differenti tipologie di attività produttive ed alle singole realtà aziendali in cui si opera; in tale contesto, la collaborazione attiva e integrata del medico competente, con il datore di lavoro e con le RLS/RLST, contribuirà al miglioramento continuo dell’efficacia delle misure stesse.”
Ancor di più, oltre al ruolo positivo che il medico competente esercita in questo contesto attraverso l’informazione e la formazione dei lavoratori e delle lavoratrici rispetto al contenimento del rischio di contagio, è importante anche quello di supporto del datore di lavoro non esclusivamente nella sorveglianza sanitaria, ma soprattutto “nella valutazione del rischio...in un contesto peculiare come quello del rientro al lavoro in periodo pandemico”.
Ed affinché non risultasse poco chiaro il contesto appena richiamato, la circolare opera (finalmente!) una scelta interpretativa chiara: “L’atto finale della valutazione del rischio è il DVR (Documento di Valutazione del Rischio), obbligo in capo al datore di lavoro. Sarà necessario adottare una serie di azioni che andranno ad integrare il DVR, atte a prevenire il rischio di infezione da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro contribuendo, altresì, alla prevenzione della diffusione dell’epidemia.”
Test Sierologici
Relativamente a questo argomento, e sempre nel contesto delle azioni di sorveglianza sanitaria che sono intimamente connesse alla protezione dei lavoratori ed alla complessiva valutazione dei rischi, le indicazioni entrano in merito con una prescrittività esplicita e precisa.
Il medico competente, come sappiamo, può proporre al datore di lavoro di adottare una serie di mezzi diagnostici, anche al fine del suo ruolo proattivo nella valutazione e come mezzi di contenimento/prevenzione del contagio: è di dominio pubblico a questo proposito come alcuni responsabili aziendali abbiano esplicitato la volontà di far sottoporre i dipendenti e le dipendenti ai test sierologici e non ai tamponi, a seguito di alcune ordinanze regionali in merito.
La disposizione, quindi, è la seguente: “I test sierologici, secondo le indicazioni dell’OMS, non possono sostituire il test diagnostico molecolare su tampone, tuttavia possono fornire dati epidemiologici riguardo la circolazione virale nella popolazione anche lavorativa. Circa l’utilizzo dei test sierologici nell’ambito della sorveglianza sanitaria per l’espressione del giudizio di idoneità, allo stato attuale, quelli disponibili non sono caratterizzati da una sufficiente validità per tale finalità. In ragione di ciò, allo stato, non emergono indicazioni al loro utilizzo per finalità sia diagnostiche che prognostiche nei contesti occupazionali, né tantomeno per determinare l’idoneità del singolo lavoratore.”
Risulta poi oltremodo opportuna, e da accogliere con favore l’ultima previsione delle indicazioni stesse: “Inoltre si richiama l’attenzione che deve essere posta nell’evitare lo stigma e la discriminazione nei confronti dei lavoratori che hanno sofferto di COVID-19 e che rientrano nell’ambiente di lavoro.”
Ci pare di poter dire che va determinata in tutti i contesti aziendali, attraverso la negoziazione e gli atti formali dei comitati previsti dal Protocollo condiviso, la declinazione di questo principio di salvaguardia, ancor più necessario nella lunga e difficile fase della ripresa delle attività produttive.
Sebastiano Calleri
Responsabile nazionale salute e sicurezza nei luoghi di lavoro-CGIL
Scarica la normativa di riferimento:
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Rispondi Autore: avv. Dubini Rolando - likes: 0 | 07/05/2020 (12:43:50) |
Una precisa e puntuale sottolineatura dei punti cruciali di questa fondamentale Circolare del Ministero della salute 29 aprile 2020 di Sebastiano Calleri: oltre al ruolo positivo che il medico competente esercita in questo contesto attraverso l’informazione e la formazione dei lavoratori e delle lavoratrici rispetto al contenimento del rischio di contagio, è importante anche quello di supporto del datore di lavoro non esclusivamente nella sorveglianza sanitaria, ma soprattutto “nella valutazione del rischio...in un contesto peculiare come quello del rientro al lavoro in periodo pandemico”. Ed affinché non risultasse poco chiaro il contesto appena richiamato, la circolare opera (finalmente!) una scelta interpretativa chiara: “L’atto finale della valutazione del rischio è il DVR (Documento di Valutazione del Rischio), obbligo in capo al datore di lavoro. Sarà necessario adottare una serie di azioni che andranno ad integrare il DVR, atte a prevenire il rischio di infezione da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro contribuendo, altresì, alla prevenzione della diffusione dell’epidemia.” |
Rispondi Autore: Liria - likes: 0 | 07/05/2020 (22:28:35) |
Sono un dipendente di un ente locale affetto da patologie pregresse( diabetico,iperteso e cardiopatico) quindi a rischio epidemiologico. volevo chiedere se in questa fase di emergenza il medico competente può dichiarare il lavoratore non idoneo ? E se si a cosa va incontro il lavoratore? Grazie |