Industria 4.0 e sicurezza
Nel passato il salto di qualità nelle modalità di produzione era stato avviato:
- dall’introduzione della macchina a vapore (1784),
- dalla produzione di massa attraverso l’uso sempre più ampio dell’elettricità (1870)
- dall’informatizzazione degli anni 70 del secolo scorso.
Attualmente l’innovazione investe quattro campi di intervento [1]:
- la comunicazione, attraverso la centralizzazione e conservazione delle informazioni, potenza di calcolo e connettività. Su questo terreno si parla di big data, open data, Internet of Things, machine-to-machine e cloud computing.
- La rielaborazione e l’utilizzo dei dati raccolti per ricavarne valore. Entrano qui in campo le “machine learning”, macchine che perfezionano la loro resa “imparando” dai dati via via raccolti e analizzati.
- La progettazione e attuazione di modalità di interazione tra uomo e macchina finalizzate prevalentemente a migliorare le prestazioni sul lavoro (interfacce “touch”, realtà aumentata).
- L’applicazione del digitale al “reale” (manifattura additiva, stampa 3D, robotica, comunicazioni, interazioni machine-to-machine e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo mirato, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni).
L’impatto dei primi tre fattori sulle persone va valutato in termini di costi e benefici: torna il tema della fatica mentale e del tecnostress di cui ci siamo già occupati. E la conseguente necessità di affinare le tecniche per misurarli e l’individuazione di modalità per ridurli.
Il quarto fattore, soprattutto nell’aspetto più eclatante: la robotica, è forse il più ricco di implicazioni. L’introduzione di cobot [2], impegna su vari fronti di riflessione.
Alcuni aspetti sono estremamente concreti (garanzie la sicurezza, relazione del loro uso con i livelli occupazionali, aspetti di gestione pratica dell’interazione uomo/macchina…).
Sul terreno della sicurezza esiste già una specifica tecnica ISO/TS 15066: 2016 “Robots and roboti devices – collaborative robots”. Il documento definisce i criteri per la valutazione dei rischi generati dall’utilizzo dei cobot e le misure di protezione che devono essere adottate. Essa, pur non essendo una norma e quindi non potendo essere armonizzata ai sensi della Direttiva macchine, definisce il quadro di riferimento attuale per la progettazione e realizzazione di sistemi robotici collaborativi.
Altri aspetti, non meno importanti, riguardano l’etica. Non a caso è già stata coniata l’espressione roboetica a indicare quella parte dell’etica che si occupa del rapporto tra uomo e robot.
Il Parlamento UE nel febbraio di quest’anno ha approvato una risoluzione (attenzione però: la risoluzione è un atto non vincolante) che chiede alla Commissione europea regole giuridiche sul rapporto tra uomo e macchine intelligenti cioè invita a individuare responsabilità civili e penali precise in caso di danni causati dagli automi.
Ma soprattutto bisogna tener conto degli aspetti culturali: l’uso di robot evoca fantasie spesso inquietanti che attengono all’immaginario collettivo. Esse abbisognano di essere rielaborate per non incidere profondamente sui livelli di stress di chi si trova a interagire con queste macchine con cui, nel caso dei cobot, lavora a stretto contatto fisico, senza barriere o gabbie protettive. E lo stress, oltre a produrre altri ben noti effetti è una delle concause di errore umano e di infortunio.
Al di là dell’entusiasmo per i successi che il sempre più perfezionato e intensivo uso delle tecnologie può indurre, occorre ricordare che dietro ogni macchina ci sono donne e uomini, che hanno progettato quella macchina, che ogni giorno quella macchina usano: “le scelte tecniche sono il frutto di un pensiero, di una visione che travalica sempre la tecnica. Solo mantenendo aperto lo sguardo, solo tenendo costantemente presenti scopi e strategie si può progettare la tecnica, e usarla senza esserne schiavi. [3]”
Renata Borgato
Docente, formatrice e consulente aziendale
[1] Informazioni tratte da wikipedia
[2] robot collaborativi cioè automi industriali che affiancano i lavoratori interagendo con loro nello stesso ambiente, senza alcuna separazione fisica e che possono lavorare a pochi metri di distanza l’uno dall’altro
[3] F. Varanini (2015) , Macchine per pensare, Guerini, Milano
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