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Problematiche di bonifica dei materiali di riporto

Il problema della qualificazione giuridica dei materiali di riporto è sorto in Lombardia nel 2010 quanto la Provincia di Milano, con l’ordine di servizio interno del 29 novembre 2010, ha stabilito che: ”in attesa che si pervenga a una loro classificazione uniforme da parte degli Enti preposti ai controlli, vanno considerati e trattati come rifiuti”.
Tale decisione ha comportato:
·         la sospensione dei procedimenti di bonifica di siti con presenza di materiali di riporto;
·         l’imposizione dell’obbligo di rimozione e smaltimento dell’intero strato di materiale di riporto presente sul sito come rifiuto, tramite “piano di gestione dei rifiuti”.
Qualora infatti si accertava su una determinata area la presenza di materiale di riporto, questo doveva essere qualificato come rifiuto e inviato allo smaltimento o al recupero in quanto, a questi casi, non era applicabile la disciplina delle bonifiche, di cui all’art. 242 e seguenti del D.Lgs. 152/06, bensì quella dell’abbandono di rifiuti regolata dall’art. 192 del medesimo D.Lgs. 152/06.
L’ipotesi di considerare i materiali di riporto dei rifiuti ha per fortuna avuto  una vita breve. La necessità di avviare allo smaltimento/recupero tutti i materiali di riporto avrebbe infatti avuto pesanti impatti sia economici sia ambientali, in quanto in breve tempo si sarebbero saturate le capacità di smaltimento degli impianti in grado di accettare tali materiali, con il conseguente incremento delle tratte di trasporto e delle tariffe di conferimento.
 
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Nel corso degli anni successivi si sono succeduti numerosi interventi normativi in materia che non si sono però mostrati risolutivi ed ancora oggi sono oggetto di interpretazioni contrastanti.
 
Il primo intervento normativo è costituito dal DL 25 gennaio 2012, n. 2 che all’art. 3, prima della conversione in legge, prevedeva:
 
“…ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al  «suolo»  contenuti  all'articolo  185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, si intendono come riferiti  anche alle matrici materiali di riporto…”.
 
Veniva così definito che:
·         la matrice materiale di riporto se contaminata, doveva essere sottoposta alla disciplina in materia di bonifiche (art. 3, c. 1 D.L. 2/2012 prima della conversione in legge) e non di rifiuti;
·         era possibile utilizzare come sottoprodotti i materiali di riporto di cui all’art. 185, comma 4 (art. 3, c. 2 D.L. 2/2012 prima della conversione in legge).
 
Nella conversione in legge del D.L. 2/2012 (L. 28/2012) l’art. 3 è stato però modificato definendo che:
 
“…per matrici materiali di riporto  si  intendono  i  materiali  eterogenei,  come disciplinati dal decreto di cui all'articolo 49 del decreto legge  24 gennaio 2012, n. 1 (oggi DM 161/2012), utilizzati per la realizzazione di riempimenti  e rilevati,  non  assimilabili   per   caratteristiche   geologiche   e stratigrafiche al terreno in  situ,  all'interno  dei  quali  possono trovarsi materiali estranei.”
 
La disciplina tecnica sui materiali di riporto viene collegata per la prima volta a quella dei materiali da scavo. L’Art. 49 del DL  24 gennaio 2012, “Utilizzo terre e rocce da scavo”, prevedeva infatti l’emanazione di un regolamento per disciplinare l’utilizzo delle terre e rocce da scavo.
 
L’attuazione dell’Art. 49 del DL 24 gennaio 2012 si è concretizzato con l’entrata in vigore del DM 161/12 ed ha introdotto una nuova definizione di “riporto” molto dettagliata:
 
“I riporti di cui all’articolo 1 del presente Regolamento si configurano come orizzonti stratigrafici costituiti da materiali di origine antropica, ossia derivanti da attività quali attività di scavo, di demolizione edilizia, ecc, che si possono presentare variamente frammisti al suolo e al sottosuolo.
In particolare, i riporti sono per lo più una miscela eterogenea di terreno naturale e di materiali di origine antropica, anche di derivazione edilizio-urbanistica pregressa che,
utilizzati nel corso dei secoli per successivi riempimenti e livellamenti del terreno, si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi con il terreno naturale, si sono assestati determinando un nuovo orizzonte stratigrafico. I materiali da riporto sono stati impiegati per attività quali rimodellamento morfologico, recupero ambientale, formazione di rilevati e sottofondi stradali, realizzazione di massicciate ferroviarie e aeroportuali, riempimenti e colmate, nonché formazione di terrapieni.
Ai fini del presente regolamento, i materiali di origine antropica che si possono riscontrare nei riporti, qualora frammisti al terreno naturale nella quantità massima del 20%, sono indicativamente identificabili con le seguenti tipologie di materiali: materiali litoidi, pietrisco tolto d’opera, calcestruzzi, laterizi, prodotti ceramici, intonaci.
 
Anche questo intervento tuttavia non ha risolto tutti i dubbi applicativi in quanto:
·         impone il limite percentuale massimo del 20% in massa di materiale inerte di origine antropica difficilmente stimabile in modo oggettivo;
·         individua un elenco non esaustivo delle tipologie di materiali inerti di origine antropica più comunemente presenti nei materiali di riporto.
 
Il legislatore, con il Decreto del Fare, ha effettuato pertanto un intervento correttivo. Il DL 69/2013 interviene nuovamente sull’argomento modificando l’art. 3 del DL 2/2012 convertito in Legge n. 28/2012.
La nuova formulazione dell’art. 3, a cui era demandata l’interpretazione autentica dei materiali di riporto, oggi, recita che:
 
“1. Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al “suolo” contenuti all’art. 185, commi 1, lett. b) e c), e 4, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’Allegato 2 alla Parte IV del medesimo decreto legislativo, costituite da una miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito e utilizzati per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di reinterri.
 
2.(…).ai fini dell’applicazione dell’art. 185, comma 1, lett. b) e c), del D.Lgs. n. 152 del 2006, le matrici materiali di riporto devono essere sottoposte a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’art. 9 del decreto del Ministro dell’ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale 16 aprile 1998, n. 88, ai fini delle metodiche da utilizzare per escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee e, ove conformi ai limiti del test di cessione, devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati.
 
3. Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi al test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovono i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentono di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.
 
    3 bis. Gli oneri derivanti dai commi 2 e 3 sono posti integralmente a carico dei soggetti richiedenti le verifiche ivi previste“.
 
Il Decreto del Fare se da un lato chiarisce la definizione di materiale di riporto, risolve ogni dubbio sulla qualificazione dei materiali di riporto come matrice ambientale, esclude definitivamente i materiali di riporto dall’ambito di applicazione della disciplina sui materiali da scavo, dall’altro introduce una sostanziale novità: al fine di poter rientrare nel campo di applicazione dell’art. 185, comma 1, lett. b) e c) (terreno non scavato, anche contaminato e suolo non contaminato, scavato e riutilizzato nel medesimo sito), il terreno di riporto deve essere sottoposto al test di cessione.
 
Nel caso in cui il risultato del test sia conforme, il materiale di riporto, anche se potenzialmente contaminato (es. superamento delle CSC), può essere trattato come matrice ambientale a tutti gli effetti.
Nel caso in cui, invece, il materiale di riporto non sia conforme ai limiti del test di cessione, lo stesso costituisce fonte di contaminazione e, quindi, deve essere rimosso, reso conforme al test, ovvero messo in sicurezza.
 
Quest’ultima eventualità si presta a diversi dubbi applicativi:
1)    Limiti di riferimento del test di cessione
L’art. 41, comma 3, della l. 98/2013 richiama il DM 5 febbraio 98 solo ai fini delle metodiche per l’esecuzione del test di cessione. Per quanto concerne invece le modalità di campionamento, il set analitico da ricercare ed i limiti delle concentrazioni, il testo di legge non fornisce alcun riferimento.
Il Ministero dell’Ambiente (Nota tecnica del MATTM prot. n. 13338/TRI del 14/05/2014), a seguito di una richiesta di chiarimenti in merito, ha fornito le seguenti indicazioni:
 
Poiché l’obiettivo dell’articolo è quello di verificare se i materiali di riporto possono costituire una fonte di contaminazione per le acque sotterranee, è evidente che i parametri di interesse devono essere identificati, di concerto con l’autorità di controllo, sulla base delle caratteristiche dei materiali di riporto e dell’origine degli stessi, nonché della potenziale mobilità e tossicità delle sostanze in essi presenti. In tal senso l’elenco di cui al DM 5 febbraio 1998 deve considerarsi meramente indicativo e non esaustivo.
In riferimento, poi, ai limiti di confronto applicabili per il test di cessione, è evidente che, in considerazione dell’obiettivo di tutela delle risorse idriche sotterranee, i limiti con i quali confrontare l’eluato debbano essere quelli di cui alla Tabella 2 dell’Allegato 5 del D.Lgs. 152/06.
(…)
In riferimento alle modalità di caratterizzazione dei materiali di riporto, pur condividendo la necessità di garantire la rappresentatività delle analisi per tutte le frazioni granulometriche che compongono tali materiali, ivi incluse quelle grossolane, si ritiene necessario, in considerazione della estrema eterogeneità dei materiali di riporto una valutazione tecnica preliminare da parte di ARPA, da condursi caso per caso, in merito alle procedure da adottare per la preparazione dei campioni.
 
Sembrerebbe quindi tutto chiaro, ma in alcune regioni di Italia gli Enti di controllo leggono diversamente il riferimento al DM 5 febbraio 1998, che viene applicato in toto, cioè non solo per ciò che concerne le metodiche, ma anche i limiti.
Per quanto riguarda invece la metodologia per la preparazione dei campioni, l’indicazione di procedere “caso per caso” appare molto rischiosa. Per evitare infatti polemiche a posteriori sui risultati sarebbe meglio applicare una norma di campionamento standardizzata (ad esempio UNI 10802, UNI EN 932-1 o altre)
2)    Natura dei materiali di riporto con test di cessione non conforme
Il Test di Cessione è un’analisi che viene generalmente utilizzata nell’ambito della caratterizzazione dei rifiuti. Il riferimento normativo richiamato dalla L. 98/2013 è infatti il DM 5 Febbraio 1998 “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”.
Il fatto che venga richiesta, in via preliminare, la verifica della conformità al test di cessione porterebbe a pensare che, qualora non sia soddisfatta, i terreni di riporto debbano essere considerati rifiuti.
Il comma 1 ed il comma 3 dell’art. 3 della L. 98/2013 portano invece in tutt’altra direzione. Il primo equipara esplicitamente i terreni di riporto alla matrice suolo ed il secondo fornisce le possibili alternative di intervento sui terreni di riporto, tipiche della procedura di bonifica. Tali indicazioni porterebbero pertanto a pensare che il terreno di riporto non conforme sia da equiparare al terreno contaminato e, quindi, debba essere gestito all’interno di un procedimento di bonifica.
Anche in questo caso non si registra un comportamento omogeneo delle diverse Pubbliche Amministrazioni.
3)    Applicabilità dell’Analisi di Rischio
L’art. 3 della L. 98/2013 prevede esplicitamente il rispetto a quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati solo per i terreni di riporto conformi ai limiti del test di cessione.
Per quanto riguarda invece le matrici materiali di riporto che non sono risultate conformi, prevede che esse siano, in alternativa:
a)    rimosse;
b)    rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento   che rimuovano i contaminanti;
c)    sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l'area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.
In quest’ultimo caso, se al dubbio del punto 2), abbiamo risposto che il materiale di riporto con test non conforme è equiparabile ad un terreno contaminato, allora ci si può conseguentemente chiedere se a questa matrice si possa applicare l’analisi di rischio. L’ipotesi è certamente suggestiva ed a parere dello scrivente perseguibile, tuttavia ancor più che nel caso precedente, gli Enti di controllo hanno mostrato alcune perplessità.
Certamente qualora il materiale debba essere almeno parzialmente scavato, la soluzione a) o b) risulta più sicura, anche se magari più costosa.
 
La soluzione a questi dubbi interpretativi dovrebbe, speriamo, arrivare molto presto. Il decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 detto ''Sblocca Italia'', convertito in dalla Legge 11 Novembre 2014 n.164 prevede infatti all’art. 8 “Disciplina semplificata del deposito temporaneo e della cessazione della qualifica di rifiuto delle terre e rocce da scavo che non soddisfano i requisiti per la qualifica di  sottoprodotto. Disciplina della gestione delle terre e rocce da scavo con presenza di materiali di riporto e delle procedure di bonifica di aree con presenza di materiali di riporto” l’emanazione di un decreto per il riordino e la semplificazione di tutta la materia.
In attuazione di tale disposizione, il 19 novembre 2015 è stata pubblicata sul sito del Ministero dell’Ambiente una proposta di regolamentazione recante la “Disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo” ed è stata avviata la consultazione pubblica della durata di 30 giorni.
Ad oggi purtroppo, la proposta pubblicata non risulta risolutiva, mancano per esempio le misure relative alle procedure di bonifica delle aree con presenza di materiali di riporto (attuazione di quanto previsto dall’art. 8 del DL “Sblocca Italia”). E’ necessario pertanto attendere la versione definitiva del testo, integrata con le osservazioni emerse dalla consultazione pubblica, per verificare se i dubbi interpretativi in tema di materiali di riporto saranno definitivamente risolti.
 
Giorgio Bressi e Elisabetta Pavesi
 



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