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Materiali di riporto: attribuzione del Codice CER

Materiali di riporto: attribuzione del Codice CER

Autore: Giorgio Bressi

Categoria: Ambiente

01/03/2016

Esiste una difficoltà oggettiva ed una decisione soggettiva del produttore nell’attribuire un codice CER ai materiali di riporto. Di Giorgio Bressi.

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Nel presente lavoro si vuole affrontare un tema molto delicato e particolare che non viene affrontato adeguatamente nella normativa vigente (e di prossima pubblicazione!): l’attribuzione del più idoneo Codice CER ai materiali di riporto che, per qualunque motivo, devono essere allontanati da un cantiere per lo smaltimento od il recupero in impianti autorizzati off-site.
Si rimanda a quanto già scritto dallo stesso autore sulla normativa sui materiali di riporto e sulla loro definizione, che tuttavia è meglio riportare sinteticamente per chiarire opportunamente le considerazioni che seguiranno.
 
Va premesso che il 16 febbraio scorso è stato depositato il parere del Consiglio di Stato sullo “Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente la “disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164”, che, seppure con richiesta di qualche modifica, ha approvato lo schema di Decreto che va ulteriormente a modificare la definizione di “matrice materiale di riporto”.
La nuova definizione non cambia sostanzialmente la precedente del DM 161/12 che aveva introdotto una definizione di “riporto” molto dettagliata:
“I riporti di cui all’articolo 1 del presente Regolamento si configurano come orizzonti stratigrafici costituiti da materiali di origine antropica, ossia derivanti da attività quali attività di scavo, di demolizione edilizia, etc., che si possono presentare variamente frammisti al suolo e al sottosuolo.
In particolare, i riporti sono per lo più una miscela eterogenea di terreno naturale e di materiali di origine antropica, anche di derivazione edilizio-urbanistica pregressa che, utilizzati nel corso dei secoli per successivi riempimenti e livellamenti del terreno, si sono stratificati e sedimentati nel suolo fino a profondità variabili e che, compattandosi con il terreno naturale, si sono assestati determinando un nuovo orizzonte stratigrafico. I materiali da riporto sono stati impiegati per attività quali rimodellamento morfologico, recupero ambientale, formazione di rilevati e sottofondi stradali, realizzazione di massicciate ferroviarie e aeroportuali, riempimenti e colmate, nonché formazione di terrapieni.
Ai fini del presente regolamento, i materiali di origine antropica che si possono riscontrare nei riporti, qualora frammisti al terreno naturale nella quantità massima del 20%, sono indicativamente identificabili con le seguenti tipologie di materiali: materiali litoidi, pietrisco tolto d’opera, calcestruzzi, laterizi, prodotti ceramici, intonaci.”
In particolare ha mantenuto la quantità massima (20% in peso) dei materiali di origine antropica che possono essere presenti nei materiali di riporto.
Il nuovo schema di decreto contiene in allegato 9 la procedura per la quantificazione dei materiali di origine antropica, che resta comunque un momento fondamentale per valutare la conformità del materiale di riporto che, a parere dello scrivente, resta difficilmente stimabile in modo oggettivo.
Non si vuole tuttavia affrontare ora questo tema, ma quello apparentemente più semplice dell’attribuzione del Codice CER di un materiale di riporto.
Per meglio comprendere il problema si ritiene utile osservare qualche foto scattata in campo nel Comune di Milano, ricco di materiali di riporto.
La domanda che ci si pone è la seguente: quale sia il criterio da seguire nell’attribuire il codice CER più opportuno al materiale scavato.
Le domande che istintivamente si pongono al produttore del rifiuto possono essere le seguenti:
1)    il Codice CER ha attinenza con la quantità massima (20% in peso) dei materiali di origine antropica che possono essere presenti nei materiali di riporto?
2)    Si può applicare un criterio di “codice prevalente”, cioè l’attribuzione a un miscuglio di rifiuti caratterizzabili singolarmente con codici CER diversi, del codice del rifiuto presente in percentuale maggiore?
3)    Se mi trovo su un suolo pubblico i rifiuti abbandonati (a prevalente matrice inerte), devono essere classificati come rifiuti urbani?
 
 
 
Nel caso della foto 1 si è incontrato un orizzonte stratigrafico di mattoni pieni.
Si tratta di uno scavo su suolo privato quindi il Codice CER più appropriato è il 170102 (Mattoni).
L’unico dubbio nell’attribuzione potrebbe derivare dalla presenza inevitabile di un po’ di terra mescolata ai mattoni in fase di scavo, ma trattandosi di una minima quantità è ragionevole ignorarla.
 
 
Nel caso della foto 2 si ha un cumulo di materiale da demolizione misto composto da terra, laterizi, mattoni pieni, mattonelle, ceramiche, etc.
Qui l’attribuzione del corretto Codice CER è molto più dubbia.
Innanzitutto, indipendentemente dalla sua composizione merceologica, se il cumulo di rifiuti è ritrovato su suolo pubblico, il codice da attribuire è della famiglia 20.
Nel caso specifico potrebbe essere un 200202 (terra e roccia) o, meglio un 200399 (rifiuti urbani non specificati altrimenti).
Se invece il cumulo è il risultato di un’attività di scavo su suolo privato, il codice CER potrebbe essere il 170904 (rifiuti misti dall’attività di costruzione e demolizione, diversi da quelli di cui alle voci 170901, 170902 e 170903) che, essendo molto generico, ben si adatta a molte situazioni. Tuttavia la scelta di un codice a specchio, impone in fase di caratterizzazione di sottoporre un campione rappresentativo (argomento insidiosissimo!) ad analisi chimiche per dimostrare la non pericolosità del rifiuto.
L’attribuzione del codice 170504, nonostante l’abbondante presenza di terra, non sembra corretta perché la presenza di materiale antropico è superiore al 20% in peso e di conseguenza non si tratta di una matrice materiale di riporto, ma di rifiuti interrati.
Meglio è allora utilizzare il codice 170100 (Cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche), anche se non è ricompresa la terra, che tuttavia non deve essere in quantità troppo elevate (prevalenti?).
 
 
Il caso della Foto 3 è uno tra i più difficili. Infatti la presenza di carta, cartone, stracci, plastiche, piccoli manufatti, tubazioni e, ovviamente, terra, ne rendono praticamente impossibile la caratterizzazione.
 
In un caso simile, sempre escludendo il ritrovamento su suolo pubblico, è necessario ricorrere ad un codice dei più generici (170504 o 170904), ma ciò comporterà non solo la necessità di dimostrare la non pericolosità del rifiuto, ma anche la difficoltà di trovare un impianto disposto ad accettare un rifiuto che contiene troppo materiale di scarto.
In casi analoghi è opportuno valutare l’ipotesi di effettuare un pretrattamento in campo (centrato su vagliatura e cernita delle diverse componenti) per avere frazioni più omogenee e più facilmente caratterizzabili.
 
 
Nella foto 4 il cumulo è prevalentemente di terra, sono presenti mattoni pieni, ma anche materiali terrosi, ma di colore ed odore sospetti di contaminazione.
Nel caso specifico si potranno usare il codice 170504 o 170503 (se pericoloso), ma proprio la determinazione della pericolosità del materiale da scavo potrà rappresentare l’insidia maggiore: si potranno ottenere risultati assai diversi a seconda del metodo di campionamento adottato.
 
In conclusione si sono voluti presentare alcuni casi emblematici in cui il produttore di materiali da scavo deve necessariamente effettuare scelte soggettive in fase di smaltimento/recupero del rifiuto.
L’applicazione del buon senso e di standard per il confezionamento di un campione rappresentativo da sottoporre ad analisi chimiche di caratterizzazione in genere premia sempre, ma è indubbio che in caso di contestazioni da parte degli organi di controllo non si hanno certezze nell’attribuire un codice CER ad un ammasso merceologicamente eterogeneo.
 
Giorgio Bressi


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