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Osservazione e sicurezza: lo sguardo dell’etnografo

Osservazione e sicurezza: lo sguardo dell’etnografo
Renata Borgato

Autore: Renata Borgato

Categoria: Valutazione dei rischi

06/06/2018

Quali sono i ruoli che le persone ricoprono e quali sono i comportamenti tipici o ricorrenti relativi a quei ruoli? La centralità dell’osservazione nella prevenzione dei rischi lavorativi.

È ormai scontato che il fattore umano abbia un peso determinante nella riduzione di incidenti e malattie professionali. Di conseguenza, l’osservazione dei comportamenti delle persone assume una particolare importanza.

Se in quest’ottica possiamo dare per scontata la centralità dell’osservazione, non lo è altrettanto il modo con cui lo si fa. La differenza verte sul come si dà la risposta a quella che il sociologo Erving Goffman indica come la domanda che sta alla base di ogni osservazione: “cosa succede qui?”.

 

Possiamo infatti chiederci che cosa ordinariamente “succede qui”. In questo caso basterà indicare i ruoli che le persone ricoprono e quali sono i comportamenti tipici o ricorrenti relativi a quei ruoli. Si cercherà di arrivare a delle generalizzazioni sulle azioni e sui comportamenti.

 

È probabile che questo tipo di osservazione non aggiunga molto a quanto già si sapeva, che essa favorisca una sorta di “miopia organizzativa” e che limiti la capacità di valutare i fatti nella loro attuale realtà e nei loro possibili sviluppi.

 

Un altro modo di rispondere è quello di chiedersi “come si presenta e come viene gestita la complessità in questa situazione contingente?” cioè proprio in questo specifico luogo e in questa specifica situazione.

 

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Si sceglierà questa modalità in caso si sia interessati a conoscere le concrete variabili, gli elementi di devianza, i segnali di possibili criticità. Essa è utile se si è interessati a cogliere gli aspetti imprevisti e non prevedibili nei comportamenti, le reazioni a eventi casuali, gli spiazzamenti, i malintesi, sia di comunicazione che di comprensione, la dissonanza di cornici o di premesse implicite e persino le tensioni e i conflitti presenti, ma latenti nei gruppi, rivelati da indizi sottili.

 

Per farlo, ci si avvale di quello che può essere definito un approccio etnografico, di ricerca sul campo. Quando lo adotta, l’osservatore deve sviluppare la capacità di trasformare gli inconvenienti della complessità in occasioni di apprendimento e di accoglienza reciproca tra il soggetto osservante e gli osservati.

 

Un etnografo [1] è un raccoglitore di esempi, non di prototipi comportamentali. Studia perciò l’eccezione, non la regola, rifiuta il significato generale e astratto, chiede descrizioni in modo da cogliere la percezione dell’interlocutore e, soprattutto, pone domande.  

 

Bateson, in tutt’altro contesto, dice che per svolgere bene il compito di etnografo bisogna partire dalle proprie convinzioni e chiedere al soggetto osservato proprio il contrario di quello che all’osservatore sembra probabile, di mettersi quindi nella condizione di essere smentiti. Questo costringe a uscire dalle proprie cornici interpretative e a individuare quelle degli altri.

 

Le domande vengono poste per capire come persone concrete, in un contesto specifico, interpretano sia la situazione che i ruoli, come in esso si sviluppano i rapporti interpersonali, come quel contesto viene percepito e vissuto.

 

Il risultato per chi osserva è quello di essere insicuro, interlocutorio, di aprirsi a scenari possibili, di essere spiazzato, a disagio proprio perché va in cerca di cornici di senso diverse dalle proprie. Osserva per essere spiazzato, non per rafforzare le proprie certezze. E, se ha osservato bene, finirà per verificare sulla propria pelle la validità della frase di Kant “tutto il pensabile è possibile”.

L’effetto di un approccio etnografico è quello di far scorgere cose che diversamente non si sarebbero viste, di cogliere segnali che diversamente sarebbero stati trascurati.

 

L’etnografia arriva alle generalizzazioni attraverso adeguate descrizioni delle situazioni contingenti, superando con ciò la distinzione – separazione fra “descrizione impressionistica” e “generalizzazione scientifica”: l’oggetto delle generalizzazioni sono i comportamenti nella contingenza.

 

In sintesi, l’obiettivo dell’osservazione etnografica è quello di dare strumenti per effettuare una valutazione dei rischi legati ai comportamenti umani non standardizzata e di individuare articolate misure di prevenzione.

Come si attua un’osservazione etnografica:

Occorre:

  • “seguire come un’ombra nella loro realtà quotidiana (shadowing)” alcuni soggetti (preposti, lavoratori), superando l’urgenza classificatoria.
  • non porsi in atteggiamento giudicante
  • descrivere l’ambiente, le persone che lo occupano, le loro interazioni. Osservare in un’ottica circolare, che guarda le reazioni alle reazioni (se A fa …, B fa…, ma se B fa, A retroagisce…).
  • registrare ciò che succede, non come lo interpreta chi osserva, prendendo nota di quel che accade
  • ascoltare attivamente
  • accettare il disagio di trovarsi di fronte a cornici interpretative diverse dalle proprie.

 

 

Renata Borgato



[1] Per approfondimenti sull’osservazione in generale, vedere Sclavi M., l’arte di ascoltare e mondi possibili, Bruno Mondadori, 2000.



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Rispondi Autore: Attilio Pagano - likes: 0
06/06/2018 (05:54:39)
Condivido quanto dice Renata Borgato e ritengo che l'approccio che delinea sia la base per sviluppare negli osservati la capacità di auto-osservarsi e, in prospettiva, di migliorare il proprio modo di adattare il lavoro alle contingenze specifiche. La sicurezza oggi richiede non tanto di aderire ad astratti modelli di cose giuste da fare, quanto riconoscere come potere lavorare restando entro margini di sicurezza. Questa è l'idea della gestione del rischio residuo con l'esercizio della consapevolezza situazionale.

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