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Diversity Management: la flessibilità e gli aspetti di sicurezza

Diversity Management: la flessibilità e gli aspetti di sicurezza

L’orario di lavoro è spesso un aspetto poco approfondito dal punto di vista della gestione delle diversità all’interno delle nostre organizzazioni: gli aspetti di salute personale e organizzativa.


Le forme di telelavoro o recentemente di “ smart working” trovano ancora poca diffusione; i lavoratori autonomi, il settore immobiliare, i servizi finanziari o il settore dell’education sono i settori italiani che possono competere con le popolazioni aziendali scandinave e olandesi.

Il “lavorare da casa” genera indubbi benefici sia per l’azienda che lo pratica, sia per la collettività.

Recenti ricerche hanno evidenziato come la lunghezza dell’orario di lavoro è mediamente maggiore per gli uomini, rispetto alle donne e per i lavoratori autonomi rispetto ai dipendenti. I lavoratori part-time in primo luogo le donne e coloro che lavorano meno di 35 ore alla settimana sono i più soddisfatti rispetto al bilanciamento tra vita e lavoro e presentano la più bassa incidenza di problemi di salute fisici e psicologici.

 

Quali sono le principali implicazioni sulle condizioni psicologiche e di salute del lavoratore?

Coloro che lavorano più di 48 ore alla settimana temono che la loro salute e la loro sicurezza siano a rischio con una frequenza doppia rispetto agli altri lavoratori e addirittura con frequenza tripla rispetto a coloro che dichiarano che le ore di lavoro sono incompatibili con la vita familiare e sociale.

 

Tra gli aspetti che risentono di più dell’affaticamento, ricordiamo la dimensione della percezione del rischio. Il cervello non è mai un analizzatore imparziale ma, attraverso la sua plasticità, si adatta e percepisce, modificando in tal modo la sua stessa struttura.

Stanchezza fisica ed eccessivo carico di lavoro mentale, generano fenomeni correlati a distorsioni percettive passibili di errori nei processi attenzionali e decisori che concernano salute e sicurezza.

In generale, orari di lavoro variabili, come i turni e il lavoro domenicale, sono identificati come le forme più dannose per l’equilibrio tra vita e lavoro.

In particolare nelle realtà dove la produzione è organizzata secondo orari variabili è l’anticipo con cui sono comunicati ai lavoratori i turni, producendo una visibilità limitata degli impegni di lavoro che impedisce una serena organizzazione della vita privata, con evidenti conseguenze in termini di stress e di work life balance.

 

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La continua variabilità dell’orario di lavoro, quindi, come forma di flessibilità assume il significato di stressor per il lavoratore stesso. Una possibile soluzione è quella dell’adozione di una sorte di “banca ore” che permetta ai lavoratori di accumulare un credito in termini di tempo, compensato da ferie prolungate, sembra realisticamente più appannaggio delle società di servizi piuttosto che del manifatturiero e delle aziende di grandi dimensioni, rispetto alle piccole imprese, a causa dei costi di attuazione.

 

Premesso che 9-10 o più ore di lavoro, possono essere già considerate tante, molte volte a queste vanno aggiunte le ore per raggiungere il posto di lavoro. Le ore per andare al lavoro o per tornare a casa. La fetta di vita impegnata in quel giorno sul lavoro diventa di 12 ore.

Il lavoro a turni incide soprattutto sulle problematiche alimentari e del sonno e causa disturbi agli schemi socio-temporali. Il lavoro notturno incide a maggior ragione su queste problematiche, e, fra l’altro, ha anche una serie di effetti collaterali molto importanti: o sul consumo di caffeina, o sul consumo di alcolici e sull’abitudine al fumo, o sugli stili di vita.

La sonnolenza che cosa comporta?

1) Riduzione del livello di vigilanza: siamo meno attenti, meno svegli, meno pronti a cogliere un rumore strano, un cambiamento, un segnale di allarme.

2) Aumento dei tempi di reazione: di fronte a un problema, invece di reagire in 20/30 millisecondi, si reagisce in 1 secondo. Pensate solo alla guida di una macchina che cosa vuol dire perdere 1/2 secondi davanti a un evento improvviso: nei migliori dei casi, tamponare la macchina davanti.

3) Maggior rischio di movimenti scoordinati: fateci caso, quando c’è sonnolenza, nell’attimo in cui si riprende il controllo, si hanno a volte dei movimenti scoordinati.

4)Rischio di improvviso addormentamento: il colpo di sonno, il micidiale e drammatico, colpo di sonno.

5) Ottundimento sensoriale: siamo più lenti agli stimoli visivi, uditivi, ecc.

6)  Maggior probabilità di errori, di commettere errori.

 

Un esperimento scientifico della Nasa ha dimostrato che delle brevi pause di sonno durante l’orario di lavoro sono in grado di far aumentare significativamente la performance e la vigilanza. I soggetti interessati allo studio sono piloti di aerei di linea. In particolare è stato osservato che la durata ottimale di un sonnellino è di 26 minuti (preceduto da 6 minuti necessari per addormentarsi) e che dopo il sonnellino la performance misurata aumentava mediamente del 34% e la vigilanza dal 54%. Tale effetto aveva una durata di 3 o 4 ore. Altre indicazioni che ci giungono dagli esperti del sonno, nel caso volessimo inserire questa salutare pratica nelle nostre giornate lavorative, sono:

  1. Per un sonnellino non superare i 40 minuti per evitare il sonno profondo
  2. Se si necessita di un riposo più profondo attenersi alle due ore
  3. Evitare dormite troppo lunghe prima del riposo notturno
  4. Consentirsi un quarto d’ora di “risveglio” dopo il sonnellino
  5. Eventualmente utilizzare dei supporti (tappi per le orecchie, mascherine)

Molte grandi aziende americane hanno al loro interno delle vere nap-room ovvero delle sale dove poter schiacciare un pisolino o meditare indisturbati.

 

All’orario di lavoro e alle problematiche legate a una fascia lavorativa molto ampia, è opportuno tenere in considerazione anche un altro rischio che potenzialmente può incidere nel peggiorare la perfomance del lavoratore e, soprattutto, può amplificare la sua esposizione ai rischi sul luogo dove opera: il rischio alimentazione.

 

Dal momento che la correlazione tra dieta poco sana e conseguenze sull’attività lavorativa sono ben note alla sorveglianza sanitaria, in termini di incremento dei giorni di malattia e una maggiore esposizione ai rischi infortuni, le aziende dovrebbero organizzarsi affinché “le mense e/o i distributori automatici mettano a disposizione una scelta varia che comprenda frutta e verdura già pronte all’uso; dovrebbero permettere un tempo sufficiente al consumo del pasto e promuovere l’attività fisica con azione strutturate”  (fonte INAIL).

 

Questo perché l’alimentazione, come sostiene la stessa campagna europea sulla Sicurezza sul Lavoro dell’Eu-OSHA, è concepita come uno “strumento utile a favorire un invecchiamento sano e attivo del lavoratore”, nonché un’arma in più utile a favorire un sostegno più adeguato ed efficiente dell’impegno lavorativo prolungato, nella giornata.

 

In conclusione, ritengo che lo studio sull’orario di lavoro e degli aspetti a esso correlati, debba avere più attenzione da parte delle Istituzioni e di tutta la Comunità Scientifica; la sua continua variazione spesso è diventata più una regola che l’eccezione e anche la salute e sicurezza del lavoratore non sono esenti da questo ulteriore fattore di allerta.

 

Massimo Servadio

Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni,

Esperto in Psicologia della Salute Organizzativa e Psicologia della Sicurezza lavorativa

 

Bibliografia:

Rosekind, M, Graeber, R, Dinges, D, Connell, L, Rountree, M, Spinweber C, Gillen, K. (1994). Crew Factors in Flight Operations IX: Effects of Planned Cockpit rest on Crew Performance and Alertness in Long Haul Operations (NASA Technical Memorandum 108839). Moffett Field, California: NASA Ames Research Center.



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