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Scheda dati di sicurezza: un documento standardizzato solo nella forma

Scheda dati di sicurezza: un documento standardizzato solo nella forma
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischio chimico

22/05/2018

La scheda di dati di sicurezza è un documento standardizzato nella struttura ma estremamente declinabile nel contenuto. Un intervento analizza le sezioni della scheda e ricorda l’importanza di questo strumento nelle mani degli addetti ai lavori.

 

Bologna, 22 Mag – La Scheda di Dati di Sicurezza (SDS) non è solo quel documento informativo necessario, ai fini del Regolamento 1907/2006 (REACH), a garantire la corretta trasmissione delle informazioni utili per la gestione di un prodotto chimico, ma si può anche definire come il “Manuale di Istruzioni” di un chemical. Una SDS è la “coerente sintesi delle informazioni e dei dati di registrazione, ne riflette pertanto disponibilità e livello di dettaglio e in conseguenza ne declina il contenuto in funzione della tipologia e del tonnellaggio prodotto annuo”. In definitiva una Scheda di Dati di Sicurezza è un documento “al contempo standardizzato nella struttura ma estremamente, e inevitabilmente, assai declinabile nel contenuto”.


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A parlare in questi termini della Scheda di Dati di Sicurezza è un intervento, che si è tenuto al convegno bolognese “REACH  2016. TU2016, REACH e CLP. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP e le novità nella gestione del rischio chimico nei luoghi di vita e di lavoro” (Ambiente Lavoro, 19 ottobre 2016), dal titolo “La scheda di dati di sicurezza, documento standardizzato solo nella forma” e a cura di Fabio Venerdì (Italiana Coke Srl).

 

SDS: un documento standardizzato ma solo nella forma

Il relatore dopo aver ricordato il Regolamento REACH e i problemi e adempimenti correlati alla registrazione delle sostanze si sofferma sul tema della Scheda di Dati di Sicurezza, come “documento standardizzato, ma solo nella forma”.

Questa peculiarità si manifesta primariamente dall’applicazione di quanto riportato all’interno dell’Allegato II del Regolamento REACH in relazione alla dettagliata e puntuale “istruzione operativa da osservare ogni volta che si redige, legge o verifica una SDS”.

E nella relazione viene svolta un’analisi pratica di questa istruzione operativa attraverso la sua applicazione a due casi reali, “quali quello di una sostanza ‘full-registration’ e quello di una sostanza intermedia isolata trasportata, entrambe in condizioni di massimo tonnellaggio annuo possibile” (indicate rispettivamente come Full e IsoT).

 

Analisi delle sezioni della scheda dati di sicurezza

Riprendiamo alcune delle indicazioni riportate dal relatore:

  • Sezione 1 (identificazione sostanza): “sebbene spesso considerata come una delle maggiormente ‘predefinite’, anche la prima sezione di una SDS può subire declinazioni di notevole rilevanza, ovvie nel caso della sottosezione 1.2 sugli Usi Identificati ma di natura più ‘sottile” per quanto riguarda la 1.1 sugli identificatori in funzione dell’applicazione dell’art.18, par. 2, lett. a) del CLP. Nel caso in questione sia Full che IsoT sono presenti in All.VI al CLP e pertanto dovranno necessariamente veder figurare gli elementi identificativi come da relative colonne, incluso l’Index Number (ovviamente assente per le sostanze escluse dall’elenco delle armonizzate)”;
  • Sezione 2 (identificazione pericoli): “la seconda sezione di una SDS è sicuramente quella maggiormente standardizzata nella resa delle informazioni su classificazione ed etichettatura, e viste le dipendenze dirette da CLP e GHS non potrebbe essere altrimenti. I dati di etichetta e pericolo devono essere coniugati in coerenza alle successive sezioni da 9 a 12. Interessante nella diversificazione può invece diventare la sottosezione 2.3, spesso oggetto di attenzione secondaria: per i due esempi trattati ad esempio Full è sostanza solida immessa sul mercato come solida che però in uso può essere adoperata in fase liquida e conseguentemente generare un certo tipo di inquinanti atmosferici, opportunamente da indicare; IsoT invece, di natura UVCB come poi indicato alla successiva Sezione 3, non soddisfa i criteri per essere classificata come PBT/vPvB ma possedendo tra i costituenti una sostanza PBT dovrà recarne informazione in questo sottoparagrafo”;
  • Sezione 3 (composizione): “Full riporterà ‘semplicemente’ gli elementi propri di una sostanza in quanto tale, IsoT invece proporrà l’identità dei costituenti noti che contribuiscono alla classificazione (privi però dell’indicazione di pericolo diversamente da quanto accadrebbe nel caso di una miscela)”;
  • Sezione 8 (controllo dell'esposizione/protezione individuale): “senza ombra di dubbio una delle sezioni di maggior criticità per entrambe le sottosezioni che lo compongono. La 8.1 rappresenta uno degli elementi più ‘ostici’ di una SDS in quanto da diversificare in funzione dello Stato Membro in cui il prodotto viene immessa sul mercato. Di conseguenza in fase di redazione il compilatore dovrà avere ben presenti i riferimenti nazionali del membro UE onde incorrere in una significativa non conformità della Scheda di Dati di Sicurezza. Si ricordi infatti che è obbligo per gli Stati Membri recepire in pieno con opportuno adempimento legislativo quanto disposto in materia dalle Direttive Europee, ma che nulla vieta ad essi di adottare decisioni maggiormente restrittive oppure integrazioni di Valori Limite di Esposizione Professionale per sostanze non presenti negli Allegati CE. Altrettanto interessante per la sottosezione 8.1 è l’aspetto legato a DNEL e PNEC, la cui derivazione rappresenta uno dei passaggi obbligatori per chi è soggetto alla stesura di una CSA”. Riguardo alla sottosezione 8.2 è “opportuno ricordare come i frasari standardizzati spesso non rechino il dettaglio necessario utile a definire le misure di controllo dell’esposizione e che quindi ancora una volta occorra integrarle, ad esempio nel caso dei DPI, riportando i precisi livelli di protezione indicati dalle norme UNI EN”;
  • Sezione 16 (Altre informazioni): “l’ultima parte di una SDS ne costituisce anche uno degli elementi più variabili. In essa devono infatti figurare tutte le informazioni necessarie all’uso ma fuori contesto nelle precedenti quindici sezioni, quali ad esempio le evidenze di modifica rispetto alla precedente Scheda di Dati di Sicurezza. Un altro fondamentale tipo di dati che può essere trovato in questa sezione (qualora non riportato in altre sezioni) è un maggiore dettaglio sugli usi identificati attraverso il sistema dei Descrittori d’Uso qualora non sia prescritta una CSA (nel caso di IsoT) e quindi la SDS non possieda l’estensione dedicata agli scenari (come invece accade per Full)”.

 

Rimandando alla lettura integrale dell’intervento riguardo alle indicazioni relative alle altre 11 sezioni delle schede dati, continuiamo riportando alcune conclusioni del relatore.

 

La Scheda di Dati di Sicurezza è uno strumento potentissimo

Si indica che quanto si è cercato di illustrare è “quanto sia fondamentale non dare mai nulla per scontato ogni volta che ci si approccia a una SDS. Evidente è la tipologia di sostanza che influenza la disponibilità delle informazioni, ma al contempo è bene non dimenticare come anche sostanze di medesima identificazione non siano mai uguali fra loro e pertanto, anche in condizioni di potenziale analogia, il contenuto di una SDS possa, e debba, essere diversificato”.

E in questo senso risulta quindi palese “l’impossibilità di definire misure generali applicabili universalmente a ogni SDS”.

 

In definitiva nelle mani di un “addetto ai lavori”, la Scheda di Dati di Sicurezza – conclude il relatore - diventa “uno strumento potentissimo: è infatti a partire dalle classificazioni, indicazioni di pericolo e composizione che trovano applicazione le Direttive Seveso, PED e ADR e su cui si basano e lavorano i più importanti modelli e algoritmi di valutazione del rischio chimico; è in funzione delle modalità di manipolazione e immagazzinamento che devono derivare le procedure che dettano la normale gestione di una sostanza, in particolar modo in funzione della sua reattività, ed è a partire dalle modalità di contenimento di un rilascio accidentale che vengono formulate e testate quelle utili ad affrontare nel migliore dei modi un’emergenza, accompagnata se del caso dalle pertinenti misure antincendio e di primo soccorso; è leggendo limiti di esposizione e dati tossicologici che un medico competente può predisporre e poi giustificare gli esiti di un monitoraggio biologico”.

 

Ricordiamo, in conclusione di articolo, anche una prossima scadenza in materia di applicazione dei regolamenti europei sulle sostanze chimiche.

In materia di Regolamento REACH, il termine di registrazione per le aziende che fabbricano o importano sostanze in bassi volumi, tra 1-100 tonnellate all'anno, sarà il 31 maggio 2018. Per rimanere sul mercato dopo il 2018 – come indicato in un documento dell'Agenzia europea per le sostanze chimiche – “le imprese sono tenute a registrare le sostanze fabbricate o importate in quantitativi superiori a 1 tonnellata all’anno e inferiori a 100 tonnellate all’anno, entro il 31 maggio 2018”.

 

 

   

RTM

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Regione Emilia Romagna, Inail, Ausl Modena, “REACH. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP nei luoghi di vita e di lavoro”, pubblicazione che raccoglie gli atti dei due convegni “REACH  2016. TU2016, REACH e CLP. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP e le novità nella gestione del rischio chimico nei luoghi di vita e di lavoro” e “REACH edilizia. L’applicazione dei Regolamenti REACH e CLP nell’ambiente da costruire e nell’ambiente costruito” (formato PDF, 13.34 MB).

 

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ I regolamenti REACH e CLP e i luoghi di lavoro”.



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