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Il rifiuto di svolgere una mansione per mancanza di misure di sicurezza

Il rifiuto di svolgere una mansione per mancanza di misure di sicurezza
Anna Guardavilla

Autore: Anna Guardavilla

Categoria: Sentenze commentate

13/09/2019

A quali condizioni e in quali casi il lavoratore più rifiutare giustificatamente di svolgere una mansione per mancanza delle tutele di salute e sicurezza: principi giuridici ed esempi tratti dalle sentenze di Cassazione

 

 

I principi che regolano la legittimità o meno del rifiuto

Una sentenza di quest’anno (Cassazione Civile, Sez. Lav., 29 marzo 2019 n.8911), avente ad oggetto il rifiuto di un macchinista di condurre il treno senza la presenza in cabina di un secondo agente abilitato alla condotta, illustra con chiarezza “l’insegnamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema secondo cui nei contratti a prestazioni corrispettive, tra i quali rientra il contratto di lavoro, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l’inadempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti”.

 

Nell’operare questa valutazione, il Giudice deve considerare “non tanto il mero elemento cronologico quanto i rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, il tutto alla luce dei reciproci obblighi di correttezza e buona fede”.

 

Condizione necessaria per la legittimità del rifiuto, infatti, è che esso “sia conforme a buona fede e non pretestuosamente strumentale all’intento di sottrarsi alle proprie obbligazioni contrattuali”. 

 

Inoltre “tale principio è stato ritenuto applicabile anche nell’ipotesi che l’inadempimento del lavoratore trovi giustificazione nella mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure di sicurezza che, pur in mancanza di norme specifiche, il datore è tenuto ad osservare a tutela dell’integrità psicofisica del prestatore” (si vedano ad esempio le misure cosiddette “innominate”, obbligatorie in applicazione dell’art.2087 cod. civ.; cfr., di seguito, Cass. Civ., Sez. Lav., 7 febbraio 2013 n.2943 sul rifiuto giustificato dalla presenza di amianto).

 

 

 

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Esempi giurisprudenziali

 

Rifiuto giustificato dalla inidoneità fisica alla mansione: Cassazione Civile, 8 marzo 2016 n.4502

 

In questa sentenza sono state riconosciute le ragioni di una lavoratrice la quale reiteratamente rifiutava di “eseguire le disposizioni aziendali impartite (svolgere i turni di servizio al banco del pesce)” in virtù della sua inidoneità fisica allo svolgimento di tale nuova mansione.

 

La Cassazione ha confermato la sentenza d’appello la quale “dichiarava l’illegittimità del licenziamento, con ordine di reintegra nel posto di lavoro e con condanna della società C. al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni non percepite dal momento del recesso sino all’effettiva reintegra, con gli accessori di legge.”

 

In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che i motivi della Società ricorrente fossero “infondati poiché basati sull’inesistente obbligo della lavoratrice di documentare sanitariamente la sua personale impossibilità (o estrema difficoltà) di svolgere il lavoro presso il reparto pesce, ex art.41 (che semmai avrebbe imposto alla C. di far valutare l’idoneità delle nuove mansioni affidate alla lavoratrice, art.41, comma 2, lett b) e d) […]”, laddove in ogni caso l’“incompatibilità o seria difficoltà da parte della lavoratrice a svolgere il lavoro presso il reparto del pesce” era una “circostanza ritenuta dalla Corte di merito sostanzialmente pacifica”.

 

Rifiuto giustificato dalla mancanza di formazione e informazione: Cassazione Civile, Sez. Lav., 31 gennaio 2012 n.1401

Con questa pronuncia la Cassazione conferma la decisione della Corte d’Appello che aveva accolto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa comunicato dalla s.r.l. D. al proprio dipendente operaio N.I. “per avere rifiutato di spostarsi nella nuova postazione di lavoro assegnatagli nel reparto B, continuando a lavorare nel reparto A, nonostante i ripetuti inviti della società […]”.

 

La sentenza ha ritenuto, in particolare, “che il comportamento dello N. di rifiuto di mutare postazione di lavoro fosse giustificato, ai sensi dell’art.1460 c.c., dal mancato adempimento della società alla sua richiesta di specifica formazione e informazione relativamente ai rischi temuti e connessi alla nuova attività e al nuovo posto di lavoro.”

 

Infatti “risulta peraltro dalla sentenza che il lavoratore ha appunto richiesto informazioni e formazione, unica misura in grado di sollecitare, non conoscendo perfettamente l’assetto produttivo del nuovo reparto […] e indicando, con l’assistenza del delegato sindacale, quanto gli risultava, vale a dire un determinata caratteristica dell’impianto ritenuta pericolosa e il fatto che per un’ora al giorno avrebbe dovuto operare in reparto da solo.”

 

La Cassazione dà ragione così alla Corte d’Appello la quale “ha altresì evidenziato, su di un piano di valutazione comparativa del comportamento delle parti, ai sensi dell’art.1460 c.c. e alla stregua dell’insegnamento di questa Corte (citando ad es. Cass. nn.4743/98 o 8880/00, ma anche n.21479/05), che il comportamento del lavoratore, attivo sindacalmente, era stato di rifiuto di una determinata prestazione e non di ogni prestazione e ha argomentato come esso fosse ispirato non solo al perseguimento di una tutela personale ma anche del miglioramento della sicurezza collettiva dei lavoratori in azienda.”

 

Rifiuto giustificato dalla presenza di amianto pericoloso per la salute dei lavoratori: Cassazione Civile, Sez. Lav., 7 febbraio 2013 n.2943

La vicenda oggetto di questa sentenza riguarda alcuni lavoratori, dipendenti o ex dipendenti delle Ferrovie,  i quali “erano negli anni 80 addetti alle Officine grandi riparazioni di […], ove fino al marzo 1987 venivano effettuate operazioni di rimozione dell’amianto da vagoni ferroviari, mentre successivamente la società aveva affidato tali operazioni all’esterno, restando in proposito alle Officine il compito di procedere, in un’area dedicata (Zona A e, eccezionalmente Zona B), unicamente a lavori di rimozione di eventuali residui di amianto, prima di effettuare le necessarie riparazioni e manutenzioni dei vagoni.”

 

Dunque, “in tale contesto operativo, già nel maggio-giugno 1988, i lavoratori dell’Officina avevano ripetutamente chiesto, anche astenendosi temporaneamente dalle lavorazioni da effettuare a contatto con l’amianto, interventi aziendali di bonifica degli impianti, effettivamente poi realizzati dall’ente tra il giugno e il novembre dei medesimo anno.”

 

Avendo ragione di ritenere “che l’ambiente lavorativo non presentasse ancora sufficiente sicurezza per la salute degli addetti, le organizzazioni sindacali interne avevano in data 8 febbraio 1989 riproposto all’ente ferrovie dello Stato la richiesta di immediata sospensione del lavoro nei settori ritenuti pericolosi per procedere a più risolutivi interventi.”

 

A fronte del “diniego da parte del datore di lavoro, i lavoratori avevano deciso di astenersi dal 14 febbraio 1989 a tempo indeterminato dalle sole lavorazioni di bonifica dell’amianto, timbrando ogni giorno il cartellino all’entrata e quindi restando in attesa di eventuali richieste di lavori diversi.” Tale astensione “si era protratta fino al 31 marzo 1989”.

 

Pertanto “poiché, a seguito di tali accadimenti”, la Società datrice di lavoro “non aveva corrisposto ai partecipanti all’astensione la retribuzione nei giorni dal 14 febbraio al 31 marzo 1989”, i lavoratori, “sostenendo di avere con l’astensione reagito in propria autoresponsabilità all’inadempimento della datrice di lavoro agli obblighi sulla stessa incombenti in materia di sicurezza, adirono il Pretore […] per ottenere la condanna del datore di lavoro al pagamento della retribuzione a titolo di risarcimento del danno, originato a loro carico da tale inadempimento.”

 

Le domande dei lavoratori furono accolte.

 

Infatti “il Tribunale, soprattutto sulla base dell’analisi di due perizie svolte nell’ambito di quest’ultimo procedimento e acquisite, ha […] rilevato una serie di difetti negli impianti e nella organizzazione del lavoro relativo alle operazioni di bonifica dall’amianto, ritenuti pericolosi per la salute degli addetti a tali lavorazioni e che pertanto, a giudizio del Tribunale, avrebbero giustificato il rifiuto della prestazione nei relativi ambienti lavorativi da parte degli appellati, che in tal modo avrebbero reagito all’inadempimento da parte del datore di lavoro agli obblighi di cui alle leggi citate e più in generale a quelli nascenti dall’art. 2087 c.c.”.

 

La Cassazione, nel respingere il ricorso della Società datrice di lavoro e confermare le ragioni dei lavoratori già riconosciute nelle sentenze precedenti, ha espresso il fondamentale principio secondo cui “nel caso in cui il datore di lavoro non adotti, a norma dell’art.2087 c.c., tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e le condizioni di salute del prestatore di lavoro, rendendosi così inadempiente ad un obbligo contrattuale, questi, oltre al risarcimento dei danni, ha in linea di principio il diritto di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute (cfr. Cass. 18 maggio 2006 n.11664).”

 

Rifiuto giustificato dalla presenza di agenti cancerogeni in mancanza delle misure necessarie a tutelare la salute dei lavoratori: Cassazione Civile, Sez. Lav., 18 maggio 2006 n.11664

Concludiamo questo sintetico excursus (ovviamente non esaustivo) con un breve cenno a questa significativa sentenza, con la quale la Cassazione ha confermato la pronuncia della Corte d’Appello la quale “rilevava che il rifiuto dei lavoratori di continuare a prestare lavoro nel locale «galvanica» era giustificato dalla pericolosità dell’ambiente di lavoro; nel suddetto locale infatti si sviluppavano gas e vapori tossici, tra i quali agenti notoriamente cancerogeni quali il cromo, senza idonea aspirazione, con diffusione di polveri in ambiente di altezza inferiore a tre metri e scadenti condizioni generali di pulizia. In presenza di siffatte condizioni di lavoro non poteva parlarsi di insubordinazione dei lavoratori sanzionata dall’art.55 del CCNL e la sanzione espulsiva era del tutto ingiustificata.”

 

 

Anna Guardavilla

Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro

 

 

Corte di Cassazione Civile, Sez. Lav. – Sentenza n. 8911 del 29 marzo 2019 - Licenziamento disciplinare per il rifiuto del macchinista di condurre il treno senza la presenza di un secondo agente. Misure 'innominate'

 

 

 



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Rispondi Autore: Fabrizio Niccolai - likes: 0
13/09/2019 (11:03:18)
Buongiorno, accogliendo favorevolmente il contenuto delle sentenze a tutela del lavoratore,
domando se la legittimità per un lavoratore di rifiutare l'esecuzione di una lavorazione per mancanza o insufficienza di misure di sicurezza, nell'ambito di un contratto di lavoro, possa essere estesa anche in caso di contratto d'appalto o subappalto? Grazie
Rispondi Autore: Anna Guardavilla - likes: 0
13/09/2019 (11:36:46)
Buongiorno,
tenga conto che un lavoratore dipendente di una ditta appaltatrice opera comunque in forza di un contratto di lavoro con il suo datore di lavoro (appaltatore). Qualora quindi tale lavoratore venisse inviato in esterno a svolgere un'attività senza le tutele collegate ai rischi cui dovesse essere esposto nell'esercizio della stessa (es. pensiamo ad una attività di manutenzione, installazione etc. che presso quello specifico committente dovesse esporlo a rischi specifici del committente o a rischi interferenziali ulteriori rispetto ai rischi specifici (dell'appaltatore) cui il lavoratore è esposto ordinariamente in virtù della sua competenza settoriale, rispetto ai quali ultimi - si spera - questi dovrebbe già ricevere le ordinarie tutele), varrebbero i medesimi principi riportati nell'articolo in ordine al diritto al rifiuto del lavoratore. Il datore di lavoro appaltatore ha nei confronti dei suoi dipendenti tutti gli obblighi di cui agli artt. 17, 18 T.U. e relativi obblighi specifici), con instaurazione dei corrispondenti diritti per il lavoratore (oltre che corrispondenti obblighi di corretta osservanza ovviamente).
Questo sinteticamente.
Cordialmente
AG
Rispondi Autore: Vincenzo casaburi - likes: 0
13/09/2019 (17:46:24)
I lavoratori devono essere tutelati e per la sicurezza e per tutte le altre cose rigurdante il lavoro ecco perche si deve immettere il ripristino dell'art.18 nella costituzione abolita tempo fa dal governo renzi sotto la forzatura di sacconi ncd che non vi era riuscito con Berlusconi
Rispondi Autore: avv. Rolando Dubini - likes: 0
13/09/2019 (20:18:09)
Casomai l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che riguarda la tutela dei lavoratori dal licenziamento e non la sicurezza sul lavoro. L'articolo 18 della costituzione riguarda la libertà di associazione e non è mai cambiato.
Rispondi Autore: Rita - likes: 0
14/09/2019 (11:52:00)
E legittimo rifiutare mansioni non consoni al proprio contratto
Rispondi Autore: gpalmisano - likes: 0
15/09/2019 (20:20:23)
Pienamente in linea con quanto la sentenza nello specifico ha potuto emettere. Pienamente in linea con quanto espresso da Anna Guardavilla nel precedente commento. Se posso permettermi di inoltrare il mio pensiero a riguardo, il cd "rifiuto" deve ritenersi come giusta conseguenza degli atti (misure scelte nel caso specifico) omessi dal datore di lavoro e adottate dal proprio DVR, procedure, ecc... regolarmente trasmesse al lavoratore con i mezzi messi a disposizione dalla legge e nn solo. Sono sempre stato convinto che una politica prevenzionistica deve andare oltre la mera applicazione della legge e inseguire con misure appropriate gli scenari inattesi, opportunamente suggerite, segnalate, avvertite con qualunque mezzo dal lavoratore.

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